Dopo il passaggio in sala nelle giornate del 21-22-23 ottobre, L'uomo senza gravità sbarcherà su Netflix a partire dal 1 novembre. Da quel giorno 190 paesi conosceranno Oscar e il suo problema di leggerezza, problema di cui abbiamo parlato anche noi nella nostra recensione de L'uomo senza gravità. E leggerezza è stata proprio la parola chiave della conferenza stampa che è seguita all'anteprima del film, una delle preaperture della Festa del Cinema di Roma 2019. In quest'occasione abbiamo incontrato il cast e il regista Marco Bonfanti.
Elio Germano: 'Il mio Oscar, un anti supereroe'
Elio Germano non era fisicamente presente alla conferenza stampa di presentazione perché si trovava a Malta per girare il nuovo film di Sydney Sibilia, che sarà distribuito sempre da Netflix. Germano ci ha tenuto però a dire la sua sulla lavorazione di questo film e sul suo personaggio, e ha mandato un video. "Oscar" - ha iniziato Germano - "è un personaggio molto particolare, in cui, in qualche modo, tutti noi possiamo riconoscerci. Nonostante sia una specie di supereroe, il suo superpotere gli genera una differenza, perché rappresenta qualcosa di sbagliato, proprio come possiamo avere tutti noi, solo che nel suo caso è fin troppo evidente. È, letteralmente, una persona che non sa stare con i piedi per terra. La sua è forse un'eccessiva leggerezza che rappresenta un elemento di diversità, che lo porta a lottare per nasconderlo e cercare di essere uguale agli altri, per integrarsi ed essere accettato. Credo si possa definire Oscar un anti supereroe, perché non utilizza mai il suo "potere" per salvare persone o fare chissà cosa di speciale. L'unico modo che trova è quello di mostrarlo al mondo intero, ma alla fine il mondo non fa altro che mercificarlo, perché, in questo mondo in cui viviamo, tutte le nostre abilità hanno senso soltanto nel momento in cui vengono mercificate, e quindi producono guadagno".
"La lavorazione del film" - ha continuato Germano - "è stata molto interessante da un punto di vista professionale, perché mi sono confrontato con tre grandissimi attrici. Il regista Marco Bonfanti, inoltre, ci tiene a fare un lavoro di prova molto esteso, per trovare il giusto accordo linguistico e per portare un po' questa di parlata comune nel film. La volontà era raccontare con estrema semplicità, tagliando gli orpelli recitativi, questi personaggi nella loro debolezza e fragilità, nel loro essere puri. A tutto questo si aggiunge l'aspetto tecnico, con tutti i macchinari che abbiamo usato per rendere al meglio l'effetto del volo, che hanno rappresentato una prova fisica per me, ma anche un motivo di divertimento e accrescimento professionale".
Il regista Marco Bonfanti
Il regista Marco Bonfanti, che è anche ideatore del soggetto (insieme a Fabrizio Bozzetti) e autore della sceneggiatura (scritta a quattro mani con Giulio Carrieri) ha innanzitutto spiegato la genesi di questo film. "L'idea è partita da una chiacchierata con Anna Godano (produttrice del film, oltre che compagna di Bonfanti) nella quale ci interrogavamo su quali fossero le pochissime certezze di questo pianeta. Tra queste c'è ovviamente la gravità, e quindi il fatto che siamo ancorati a terra. Da subito ho visto un'immagine, quella del bambino che esce dal grembo materno galleggiando come un palloncino attaccato al polso di un bambino, che poi è praticamente la prima del film. Da qui si dipana la storia che copre 45 anni della vita di quest'uomo, Oscar, che è una sorta di teorema della leggerezza ispirato agli scritti di Italo Calvino. In contrapposizione a questa leggerezza c'è una società che io vedo invece improntata alla pesantezza, alla violenza e ai soprusi, più in generale all'impossibilità di essere se stessi. Il film, secondo me, racconta soprattutto il tentativo di quest'uomo di trovare la libertà di essere se stesso, e per farlo utilizza quest'arma che è la leggerezza, che non è superficialità o frivolezza come spesso è concepito nella nostra società. La leggerezza è secondo me una chiave di lettura del reale molto poco sfruttata e che ci dà la possibilità di affrontare le piccole grandi tragedie quotidiane guardandole dall'alto, distaccatamente, senza farsi cambiare interiormente. Il personaggio rimane sempre puro, ingenuo e fragile nonostante tutto quello che gli accade. In questo modo non si fa scalfire perché è più forte degli altri, e questa forza gli viene data proprio dalla leggerezza".
Al regista, poi, è stato chiesto di spiegare in che modo ha convinto Elio Germano a interpretare Oscar (visto che Germano è solito selezionare accuratamente i suoi personaggi) e che tipo di lavoro ha fatto con gli attori. "Tutti sono stati fantastici" - ha continuato Bonfanti - "ed anche Elio lo è stato. Ho ravvisato un elemento di straordinarietà soprattutto nel lavoro fisico, era sempre chiuso con le spalle, sempre introverso e intimidito, e anche nel modo di camminare. Sono convinto che la camminata sia un elemento fondamentale per giudicare l'interpretazione di un personaggio, e lui che cammina sulle punte come se dovesse volare via da un momento all'altro ma poi rimane sempre a terra, è stato bravissimo. Oltretutto ha acquisito un accento bergamasco delle montagne perfetto, non so come abbia fatto. Sì, Elio sceglie molto i suoi progetti, e infatti mi ha voluto incontrare perché gli era piaciuto molto il mio film L'Ultimo Pastore. De L'Uomo senza Gravità è stato subito intrigato dalla possibilità di fare un personaggio diverso rispetto a quello che fa abitualmente, anche se ha fatto tante cose. La prima volta che ci siamo incontrati per parlarne lui mi ha detto che avrebbe voluto fare un personaggio che osserva il mondo violento che gli viene addosso, io gli ho detto che era una grande idea, infatti ha fatto tutto questo lavoro con gli occhi, che sono sempre tenerissimi, irresistibili".
Le tre generazioni di donne al fianco di Oscar
La vita di Oscar è segnata dal rapporto con tre donne fondamentali: la nonna Alina (Elena Cotta), la mamma Natalia (Michela Cescon) e l'amore d'infanzia mai dimenticato Agata (Silvia D'Amico). Tutte e tre hanno svolto un ruolo importante per la storia di Oscar, e molto diverso su set. "Io sono stata felicissima di interpretare questo personaggio" - ha dichiarato Elena Cotta - "perché ho trovato congeniale questo modo favolistico di raccontare le cose, mi piace un mondo in cui ci si può esprimere con la fantasia, per questo mi sono innamorata del testo, della chiave di lettura che ne ha fatto Marco, con leggerezza, garbo e divertimento. Devo dire che mi sono divertita tantissimo, con Michela Cescon ci siamo fatte delle risate incredibili, ci divertivamo, lavorare è stata una gioia, e questo è stupendo, ed è anche una garanzia di buon risultato".
"Come sempre tutte le cose che appaiono leggere dietro hanno un lavoro enorme" - ha invece analizzato Michela Cescon - "quindi sì, siamo stati bene e ci siamo divertiti, ma abbiamo lavorato duro. Ci veniva chiesto di sembrare molto naturali però nello stesso tempo di non appesantire mai, di non esagerare e perseguire la leggerezza, proprio come nel film. È vero che il film è leggero, ma contiene dei forti elementi di profondità. Bonfanti ha voluto una grande precisione, nel senso che noi non diciamo parole in più, non improvvisiamo niente, quello che è stato scritto nella sceneggiatura poi è stato rappresentato. Ritrovare quella sfumatura che sembri naturale ma leggera è stato faticoso, oltretutto con orari duri, anche fisicamente: ore al trucco, il mio personaggio attraversa 40 anni, e c'è voluto un lavoro notevole. Con Elena abbiamo vissuto anche esperienze molto toste, ma è stata una gioia portare il film a termine". "Confermo" - ha concluso Silvia D'amico - "abbiamo lavorato con molta precisione. Il nostro messaggio di leggerezza passa da un percorso molto preciso, sudato e concreto. Per quello che riguarda il personaggio di Agata è vero che il regista Marco Bonfanti tiene molto a come camminano gli attori, infatti mi ha mandato a un corso di portamento, perché dovevo camminare sui tacchi, che poi non si vedono mai, ma lui parte da lì. Per un attore lavorare con così tanta precisione è un privilegio. Ci ha tenuto a farci conoscere i bambini che avremmo interpretato, per prendere da loro purezza e ingenuità e poi dimenticarcela, cioè averla ma non metterla in scena perché i nostri personaggi hanno questa leggerezza e questa ingenuità che riaffiora soltanto in alcuni momenti precisi, tutto il resto del tempo, da adulti, tendono a nasconderla. La leggerezza finale ne esce come una grande conquista, non come una cosa data per certa".