"Il senso del film sta in un sorso di vino", sostiene il claim pubblicitario di Butterfly Zone - Il senso della farfalla. Ma a volte, se si butta giù qualche calice di troppo, i sensi incominciano a divenire confusi e annebbiati. È un po' l'effetto che si prova dopo la visione di questo inedito caso di "fantasy enologico", che trasforma le pregiate bottiglie del Caresse de Roi (prodotte dalla Tenuta Ronci di Nepi) in un portale ultradimensionale verso l'Aldilà. Non pago, il regista Luciano Capponi, inserisce nella sua opera prima - che gli è valsa il Premio Méliès come miglior film fantasy al Fantafestival 2009 - anche gli alieni, un serial killer fantasma e il Santo Graal, citando il surrealismo di Dalì, ma sconfinando più spesso nell'atmosfera farsesca.
Il film è stato accolto tiepidamente dai critici, proprio come il vino di un'annata poco riuscita, la cui mistura di vitigni risulta essere caratterizzata da un bouquet di sapori contrastanti e poco armoniosi. Luciano Capponi si è però difeso bene in conferenza stampa - cui ha preso parte assieme al produttore Giuseppe Franco e al cast rappresentato da Barbara Bouchet, Francesco Martino, Pietro Ragusa e Damir Todorovic - evitando le polemiche e rispondendo sempre con spirito (è proprio il caso di dirlo). Per "fare la pace" al termine dell'incontro è stato regalata a tutti i giornalisti una confezione del prestigioso Caresse de Roi. Quest'ultimo, siamo sicuri, non avrà fatto venire il mal di testa a nessuno....
Giuseppe Franco: Non nascondo che si tratta di un'impresa molto difficile, a causa delle caratteristiche del nostro sistema distributivo, che concede spazio solo alle grandi produzioni con forti nomi di richiamo. Per le opere indipendenti è oggi molto difficile affermarsi, inoltre l'attuale momento di crisi economica aggrava ancora di più la situazione. Ma alla fine siamo riusciti a concludere un accordo con il circuito Uci Cinema e il film uscirà anche in alcune sale cittadine. Mi ritengo particolarmente soddisfatto perché ho creduto molto in questo progetto che, indipendentemente dalle reazioni della critica, è già riuscito a ottenere il consenso del pubblico in numerose anteprime e proiezioni ai festival.
Vorrei invece sapere dal regista Luciano Capponi, nonché autore del soggetto e della sceneggiatura, com'era nata l'idea di questa storia così bizzarra e inusuale.
Luciano Capponi: Penso che ogni autore nella vita scriva sempre al stessa cosa e poi la colori in maniera di volta in volta diversa nelle sue opere. Questo film riflette il mio modo peculiare di vedere il mondo. Tutti noi nasciamo, viviamo e moriamo in maniera assolutamente inconsapevole. Credo che la serenità sia il valore cui debba aspirare ogni uomo. Mi sono sentito dire da alcuni critici che Butterfly Zone - Il senso della farfalla è un'opera difficile. Eppure il pubblico ha finora risposto in modo eccezionale a tutte le proiezioni di prova, e credo che questo, alla fine, sia la cosa più importante. Potrei rispondere con una metafora: la Comunità europea impone che siano commercializzate solo le zucchine lunghe diciotto centimetri e larghe quattro. Io invece ho piantato un seme italiano e ho fatto crescere la pianta in tutta libertà, senza costrizioni. Il mercato impone che siano realizzati prodotti rispondenti a determinati standard; io invece amo seguire una maggiore libertà espressiva.
Butterfly Zone - Il senso della farfalla si caratterizza soprattutto per la mescolanza di generi differenti, dal fantasy, al thriller, passando per la commedia. Quali erano le sue intenzioni?
Luciano Capponi: Ho voluto fondere insieme, diversi registri, dal comico, al tragico, al fiabesco, al farsesco, passando per il teatro dell'assurdo. Il protagonista, Vladimiro, è un eroe che sa già di essere destinato a una brutta fine. Nonostante ciò, continua a lottare e a vivere. In questo senso è diverso dai soliti eroi americani tutti d'un pezzo. Per dirne una, non ho mai visto Arnold Schwarzenegger interpretare un personaggio che avesse un attacco di enterocolite! Ma la vita vera non è così. Le nostre esistenze sono fondate sull'improvvisazione continua. Si può passare con facilità da una risata a una lacrima nello spazio di un attimo. È questa la sensazione che ho cercato di riprodurre all'interno del mio film.
Luciano Capponi: Guarda caso ho scritto proprio un trattato su queste differenze! Nel corso della mia carriera, ormai più che trentennale, ho spaziato tra cinema, radio, tv e musica. Ogni mezzo espressivo possiede i suoi propri linguaggi specifici. Sul palcoscenico, ad esempio, i dettagli sono sottolineati dalle azioni degli interpreti. Sul Grande schermo, invece, è la macchina da presa che deve enfatizzare i particolari. In ogni caso penso che la musica sia il medium più onnicomprensivo, perché ha il vantaggio di non doversi servire della parola. Questa considerazione è ripresa anche in un dialogo che metto in bocca al personaggio di Amilacare: "Il pensiero parla, l'anima respira".
Ci sono stati dei film, oppure delle opere di letteratura, che la hanno ispirata nella creazione di Butterfly Zone?
Luciano Capponi: Di sicuro ci saranno state moltissime opere che mi hanno influenzato, in maniera più o meno consapevole, ma non so dirle quali. Nel corso della nostra esistenza siamo continuamente sottoposti a influenze di ogni tipo. Per quel che ne so potrei essere stato ispirato anche da una particolare reazione del mio cane! Non saprei descrivere il modo in cui è nata l'idea per lo sviluppo del soggetto. Semplicemente un giorno, mentre camminavo per strada, ho pensato: "Perché non il vino?".
Come mai ci sono così tanti riferimenti calcistici nei dialoghi del film?.
Luciano Capponi: Penso che il calcio sia la Bibbia del XXI secolo, assieme alla televisione. Il medium televisivo con il suo linguaggio finisce per plasmare la realtà, e una parte consistente di questa realtà il calcio, come possiamo notare tutti in questi giorni con i Campionati del Mondo. Ai livelli professionistici più elevati il calcio è ormai divenuto schiavo delle logiche dello spettacolo e i membri che ne fanno parte sono a tutti gli effetti una casta come quella politica. Anche per questo motivo ho deciso di dar vita, assieme a campioni del calibro di Gianfranco Zola e Nevio Scala, all'iniziativa benefica rivolta all'infanzia No Fair No Play, con cui abbiamo riaperto anche lo Stadio Massimino di Catania dopo il terribile omicidio di Filippo Raciti.
Luciano Capponi: All'inizio Paolo Villaggio mi aveva dato la sua disponibilità per la parte del professor Chenier, ma in seguito si è tirato indietro a causa delle incertezze dal punto di vista distributivo. Poi a Cinecittà ho incontrato per caso Francesco Salvi e gli ho detto, così all'improvviso: "C'è un vino che se lo bevi ti fa andare nell'Aldilà. Che ne pensi?". Lui si è dimostrato subito entusiasta, e così è diventato il mio professor Chenier. Con Barbara Bouchet è stato ancora più divertente. Quando mi ha telefonato la prima volta pensavo fosse uno scherzo, ma lei con un tono molto serio mi ha subito detto : "La parte deve essere mia, oppure ti uccido!". Per il ruolo del protagonista avevamo fatto un provino anche a Riccardo Scamarcio. Alla fine la scelta è ricaduta su Pietro Ragusa, che mi ha lasciato di stucco dopo aver improvvisato con me per diversi minuti sul tema degli acari! La stessa cosa è successa con Francesco Martino, cui all'inizio avevo pensato per la parte del protagonista. Per quanto riguarda il grande campione Patrizio Oliva, che è mio amico, ho sempre saputo che aveva un talento naturale come attore e sono riuscito a reclutarlo per il film. Lui era talmente preso dal suo ruolo da telefonarmi in continuazione per chiedermi delucidazioni sui suoi dialoghi. Io gli ho detto semplicemente di comportasi nel modo più naturale possibile, come quando faceva colazione, e lui per tutta risposta è venuto sul set con cappuccino e brioche! Con Damir Todorovic è stato amore a prima vista, abbiamo raggiunto subito un'intesa quasi telepatica e non abbiamo avuto bisogno di provare quasi mai. Giorgio Colangeli, invece, è arrivato sul set soltanto gli ultimi due giorni di ripresa. Visto che noi lavoravamo già da quaranta giorni, è rimasto molto sorpreso che tutta la troupe fosse ancora molto allegra, ma si tratta semplicemente del mio modo di dirigere... Cosa hanno da dire invece gli attori sul regista?
Pietro Ragusa: L'incontro si è svolto esattamente come lo ha descritto Luciano. Credo sia molto importante il fatto lui stesso faccia in prima persona i provini agli attori, senza affidarsi a intermediari. Anziché leggere il copione, mi ha chiesto di improvvisare una conversazione andando a braccio, e gli sono piaciuto. Anche sul set abbiamo lavorato sempre a stretto contatto. Lui è stato con noi dall'inizio alla fine. La cosa più interessante è stata forse la grande libertà che ha concesso a tutti gli attori, rendendoli capaci di cogliere gli stimoli improvvisi che provenivano dal set.
Barbara Bouchet: La prima volta che sono andata a casa di Luciano sono rimasta molto colpita da questo uomo, non solo perché dotato di un talento polivalente (essendo scrittore, regista, musicista), ma soprattutto per il suo particolare senso dell'umorismo. Gli ho chiesto di assegnarmi una parte che uscisse al di fuori degli schemi della sex symbol che per molti anni mi sono stato cucito addosso. Volevo per la prima volta calarmi nel personaggio della cattiva, magari anche imbruttita. Quando mi ha proposto il ruolo della donna baffuta "alla Salvador Dalì", come l'ha definita Luciano, ero semplicemente entusiasta! Sul set ci siamo comportati come una grande famiglia, e non abbiamo fatto altro che divertirci.
Francesco Martino: All'inizio ero stato contattato per interpretare il ruolo del protagonista, ma in seguito Luciano, dopo un provino anche nel mio caso basato sull'improvvisazione, mi ha proposto il ruolo della spalla Amilcare. Per me è stata una grossa opportunità perché prima d'ora non avevo mai interpretato un personaggio così "esuberante". Essere diretti da Luciano è un'esperienza molto liberatoria, perché incita i suoi attori a divertirsi. La recitazione per lui deve essere un gioco, come suggerisce anche l'etimologia del verbo inglese "to play"
Damir Todorovic: La cosa più bella che possa capitare nel mio lavoro è quella di sentirsi liberi, e con Luciano ho provato proprio questa sensazione di libertà e di divertimento. È stato molto interessante, inoltre, calarsi nel ruolo di serial killer e cercare di comprendere le motivazioni della sua mente deviata.
Un film come Butterfly Zone lascia molti spiragli aperti all'interpretazione dello spettatore, e in questo mi è parso di capire che si affidi anche all'improvvisazione del cast. Era sua intenzione quella di realizzare un film volutamente aperto a svariate chiavi di lettura?
Luciano Capponi: Si tratta di una domanda molto mentale, dunque ho un po' di difficoltà a rispondere. È un po' come chiedere al fiume che è arrivato a metà corso se aveva determinato scientemente il tragitto precedente. Improvvisare però non significa uscire fuori copione o prendersi una libertà espressiva. Un attore per improvvisare deve possedere un grande equilibrio e un grande mestiere. Solo in questo caso attraverso l'improvvisazione si riesce a raggiungere una perfetta sintonia tra attore e regista.