Gran polverone intorno al titolo del film durante la conferenza di presentazione di XXY alla stampa romana. Esperti di genetica medica presenti alla proiezione, pur riconoscendo un indubbio valore artistico alla pellicola, hanno accusato duramente la regista Lucia Puenzo di aver attribuito alla sua opera un titolo fuorviante che rischia di destabilizzare madri in attesa e persone affette dalla sindrome di Klinefelter, anomalia cromosomica che colpisce un neonato maschio ogni 500 a cui fa riferimento il titolo, ma che è totalmente assente nel film che parla invece di ermafroditismo e di iperplasia surrenalica. Il film, premiato a Cannes nella Settimana della Critica e presentato oggi al Taormina Film Fest, racconta la storia di Alex, adolescente ermafrodita impegnata in una difficile lotta interiore per scegliere la sua sessualità. Accanto a lei due genitori affettuosi e un ragazzino, Alvaro, che proverà a starle vicino scoprendo sfumature della propria personalità fino ad allora sconosciute. La regista, durante la lunga conferenza stampa, risponde alle accuse relative alla scelta del titolo e sposta l'attenzione sui messaggi reali del film: l'importanza della possibilità di scelta e l'affermazione della propria identità.
Lucia Puenzo, il titolo del suo film, XXY, si riferisce alla sindrome di Klinefelter, una patologia che però non c'entra nulla con quanto mostrato nel film perché l'ermafroditismo può avere sì tante cause, ma non certo la sindrome di Klinefelter. Perché questa scelta?
Lucia Puenzo: Abbiamo lavorato in fase di scrittura con medici genetisti e con persone con diversi tipi di diagnosi. Loro stessi ci hanno detto che era bello vedere che questo film non voleva essere un documentario su un caso specifico, ma un film di finzione che andava ad indagare i sentimenti delle persone che vivono certe situazioni. Il film voleva accostarsi all'aspetto dell'intersessualità e lavorare sulla sua poetica implicava non scegliere una diagnosi precisa. Invito tutti gli spettatori a considerare il film per quello che è, cioè un lavoro di fiction.
Perché allora un titolo così fuorviante? Lucia Puenzo: Il titolo vuole essere semplicemente una metafora. In un mondo in cui tutto è uniformità c'è un corpo diverso che lotta per trovare il proprio posto. Più volte nel corso della storia dell'arte numerose espressioni artistiche hanno utilizzato termini in determinati modi, come per esempio Camus che ne La peste usava appunto la peste per parlare d'altro. Non credo che XXY sia un titolo fuorviante perché racconta in qualche modo la diversità rappresentata nel film ed inoltre è un termine conosciuto universalmente. Ripeto, confido nello spettatore che va al cinema ben conscio di guardare un lavoro di finzione. In Francia e in Argentina, dove il film è già stato proiettato, più persone con figli con sindrome di Klinefelter o simili dopo aver assistito alla proiezione si sono avvicinate a me per complimentarsi per come era stato trattato il dilemma da loro stessi vissuto, come genitori o come figli.
Ha avuto contatti con ragazzi affetti da simili patologie durante la scrittura del film?
Lucia Puenzo: In fase di sceneggiatura ho incontrato tante persone con diagnosi diverse per definire la corporeità di Alex, ma poi ho smesso perché mi sono resa conto che la parte medica stava diventando preponderante e io volevo liberare il film proprio da questo aspetto per concentrarmi sui sentimenti di queste persone che vivono una condizione così particolare.
Nel suo film tra i due genitori quello più progressista è senza dubbio il padre. Perché questa scelta?
Lucia Puenzo: Credo che nel mondo ci siano grandi madri ed è abbastanza misterioso il perché nella finzione vengano assegnati certi ruoli. Il film è basato sul libro di Sergio Bizzio, un racconto in cui c'erano figure di genitori molto stimolanti. A me interessava riscattare il ruolo del padre, il modo in cui questi si accosti alla figlia lasciandole libertà totale e di come venga sorpreso dalla figlia stessa quando alla fine gli dice che non c'è nulla da scegliere.
Invece il rapporto tra Alvaro e suo padre è decisamente più burrascoso.
Lucia Puenzo: Non c'è nulla di peggio per un adolescente di un padre che non lo guarda e non si fida di lui. In questa storia da una parte c'è un padre amorevole che si interessa della figlia, dall'altra uno che non crede in suo figlio, nel suo talento. Tra Alvaro e suo padre ci sarà un momento di contatto diretto che sarà molto doloroso per il ragazzo.
Nel suo film è molto importante la possibilità della scelta in un mondo dove tutto viene imposto.
Lucia Puenzo: Vengo da un paese, o meglio un continente, che ha subito una lunga dittatura, dove c'erano tante cose di cui non si poteva parlare. Molti miei amici hanno perso tante persone care per questa limitazione delle libertà personali e penso che questa sia la cosa peggiore per un paese. La bellezza di poter vivere in una democrazia è che si può parlare, ma ancora oggi resistono tabù legati alla sessualità e all'identità. Il tema dell'identità, che è anche un po' il tema fondamentale del film, è ancora molto forte in Argentina.
La location del film è una località di mare uruguayana che appare alquanto inospitale. Perché questa scelta?
Lucia Puenzo: Il film è ambientato in un piccolo paese a un'ora da Montevideo che conosco molto bene perché ci trascorro spesso le vacanze. E' una sorta di grande stabilimento balneare ipotizzato per una città che in realtà non è mai arrivata ad essere. I personaggi del film sono andati lì per nascondersi, lasciando Buenos Aires, e si sono rifugiati in una casa ben chiusa che contrasta con l'immensità che la circonda.
Come ha scelto i protagonisti adolescenti?
Lucia Puenzo: Martin Piroyanski, il ragazzo che interpreta Alvaro, lo conosco da molti anni perché l'ho visto spesso recitare a teatro e ho cominciato a scrivere la sceneggiatura col suo volto in mente. Per il ruolo di Alex c'è stato invece un lungo casting. Alla fine ho trovato Inés Efron in un film argentino nel quale interpretava un ruolo secondario. Aveva tratti più femminili e più fragili rispetto a come avevo immaginato la protagonista del mio film e così ho riscritto la sceneggiatura perché il ruolo le calzasse perfettamente.
Quali sono i suoi progetti per il futuro?
Lucia Puenzo: Sto scrivendo l'adattamento del mio primo romanzo, Il bimbo pesce, una storia d'amore tra due adolescenti, due ragazze di differente estrazione sociale: una vive in un quartiere bene di Buenos Aires e l'altra lavora a casa sua. Inoltre sto scrivendo ancora racconti e sceneggiature per altre persone.