Hideo Kojima e il suo cinema. Tra connessioni, gaming e quel "35% di film italiani"

Sul palco di Lucca Comics & Games 2025, l'autore ha spiegato la sua poetica: tra tecnologia, connessioni, fiducia come metodo, pandemia come spartiacque, Luca Marinelli e Alissa Jung come "scintille drammatiche".

Un ritratto di Kojima

Il "cinema" serve a tenere lontano il male, "i videogiochi" per portare a noi il bene, sono stati i nostri primi amici, li abbiamo inventati noi. Ovunque vi fossero delle persone, là si trovavano anche "il cinema" e "i videogiochi". Sarebbe cominciato così Death Stranding, se solo fosse stato ambientato a Lucca, perché a Lucca Comics & Games 2025, Hideo Kojima ha porta in scena la sua grammatica del cinema vissuto dentro il videogioco.

Il celebre creatore\regista ha raccontato nel corso di una conferenza esclusiva di connessioni dopo un'epoca di isolamento, di set senza scenografie e di attori in tute grigie che, nonostante tutto, respirano come in un film, con accanto Luca Marinelli e Alissa Jung. E poi la rivelazione che ha già acceso la critica e il pubblico italiano: "Di quel 70% di film che ho dentro, il 35% è fatto di cinema italiano". È la dichiarazione d'amore di un autore che, per parlare di mondi futuri, continua a guardare - con devozione - alla grande tradizione del nostro schermo.

Cinema contro remoto: la lezione dell'isolamento

Molto nella carriera di Hideo Kojima si può chiamare "cinema". Durante il Lucca Comics & Games 2025 l'autore ha avuto modo di raccontare e spiegarci l'idea che ha animato le sue creazioni, le sue visioni, i suoi progetti. Ma prima è tornato più volte sullo stesso snodo: la pandemia. Definendola come un'idea astratta di "connessione" che già animava il primo Death Stranding, Kojima ha esordito spiegando come da questa situazione di estrema crisi, abbia imparato molto. Quando il mondo si è chiuso e "Tokyo era silenziosa", quell'intuizione si è fatta corpo: si poteva lavorare da remoto, ma mancava la prossimità umana di cui l'arte ha bisogno, secondo lui.

Da lì, la riscrittura dell'idea per Death Stranding 2: On the Beach: non la connessione digitale come fine, bensì il contatto reale come urgenza. È lo stesso filo che riavvolge sul palco di Lucca: "Abbiamo internet, il metaverso... ma l'umanità ha bisogno di muoversi, di sentirsi vicina".

Kojima ha reiterato la sua diffidenza verso una creatività interamente mediata da schermi: il lavoro remoto è stato necessario, ma ha raffreddato la scintilla dell'improvvisazione. Se il primo Death Stranding prefigurava un mondo di collegamenti fragili, DS2 vuole rimettere al centro la fisicità della troupe.

È qui che la sua idea di "cinema nel videogioco" si radicalizza: non basta un workflow impeccabile, serve una compagnia umana. Un concetto riaffermato anche in analisi internazionali dedicate al progetto, che legano l'etica del contatto di DS2 alla traiettoria esistenziale dell'autore durante e dopo la pandemia.

La genealogia di un'estetica

Kojima ha raccontato in più sedi di sentirsi "fatto al 70% di film". A Lucca aggiunge il dettaglio che fa rumore: "Il 35% sono film italiani". Non è un'iperbole di cortesia: è un indizio critico. Che cosa significa, oggi, assorbire l'Italia nella scrittura di un videogioco globale? La dichiarazione di Kojima si contestualizza fra presenza di Marinelli e Jung come tasselli vivi di questo innesto culturale. Attori come autori, centralità del corpo, il volto come paesaggio morale, uso di flashback per cucire il presente con un passato che non passa, un'idea cara tanto al cinema d'autore italiano quanto alle serialità più mature.

Il tributo all'Italia, però, non è solo affettivo. È drammaturgico. Marinelli racconta di aver vissuto il set come un film vuoto da riempire, con la stessa disciplina del cinema: stessa attenzione al respiro, allo sguardo, al rapporto di coppia; Jung parla di libertà e responsabilità, di come i flashback le abbiano permesso di "mettere in scena" traumi senza didascalia.

Death Stranding: così Hideo Kojima approda sulla spiaggia... del cinema Death Stranding: così Hideo Kojima approda sulla spiaggia... del cinema

Se il videogioco è un medium del tempo lungo, Kojima ne fa un melodramma del dettaglio: appoggia il cuore della scena su un oggetto, un gesto (una sigaretta? un contatto? un passo sulla sabbia?) e lascia che il resto accada fuori campo, rimandato alla sensibilità del giocatore. È un principio di messa in scena che chiama in causa proprio quella tradizione italiana che fa del non detto un'arma narrativa.

Il palco di Lucca come set per Hideo Kojima

Il Teatro del Giglio, gremito, è stata la sosta terrestre di questa connessione chiamata World Strand Tour: un pannello di appunti condivisi. Qui Kojima ha riletto il suo processo in termini rigorosamente cinematografici: la motion capture come sistema produttivo in cui "hai operatori, monitor, un set: è già un film"; i suoi attori annuiscono e concordano, sottolineando come il "regista" abbia orchestrato inquadrature invisibili e raccordi emotivi prima ancora che digitali.

Nel racconto di Jung, la lavorazione sembrava un teatro contemporaneo: la faccia invasa da telecamere, i muscoli sottili del volto che diventano sceneggiatura, i flashback come dispositivo narrativo al posto dei monologhi. "Non volevo monologhi, volevo che tutto passasse attraverso di loro, le loro espressioni, le loro emozioni", ha detto Kojima riferendosi alla coppia Neil-Lucy. Il risultato è una regia che chiede agli attori non solo di interpretare, ma di produrre immagine.

L'altra parola-chiave nel suo cinema è stata fiducia. "Li metto in queste strane tute, quindi ho bisogno che si fidino di me. Non posso riprendere tutto lo scenario quando giriamo: lavoriamo per sequenze. Parliamo, ceniamo insieme, facciamo yoga facciale... si crea un legame", hanno spiegato sia Kojima, che Marinelli e Jung. È un metodo quasi rosselliniano nella sua essenza umana: togli il superfluo, tieni l'attore e la relazione.

La coppia Neil-Lucy: flashback al posto dei monologhi

Kojima lo dice netto: "Nei film di Hollywood ci sono molti monologhi; io ho voluto ricreare tutto attraverso loro". Il riferimento al cinema italiano, qui, torna per via laterale: il flashback non come pausa, ma come colpo di luce che riorganizza l'intero racconto - un principio caro tanto al cinema d'autore nostrano. Se DS2 davvero "mette al centro la fiducia", come afferma l'autore, allora dare tutto fuori scena perché lo spettatore ricomponga è un atto di fiducia radicale.

Lucca, inoltre, è stata l'ultima curva del World Strand Tour 2: pannelli, Q&A, proiezioni del documentario Connecting Worlds, conferenze stampa e un sentire diffuso di abbraccio reciproco fra autore e pubblico.

L'uscita di Death Stranding 2: On the Beach è stata fissata per l'estate 2025 e il percorso di avvicinamento ha spesso scelto contesti cinematografici (festival, panel, talk) per ribadire l'identità filmica del progetto. Dalle vetrine globali ai fotogrammi mostrati in fiera, l'impressione è che DS2 voglia porsi come film da abitare, prima ancora che come gioco da finire: un'esperienza dove corpo, volto, voce diventano i veri effetti speciali.

"Ci vediamo presto"

L'intervento di Kojima è stata una poetica produttiva sul come fare cinema senza schermo, e poi restituirlo allo schermo altrui, quello del giocatore. Il set di mocap si comporta come un palcoscenico nudo: gli attori generano luce con i muscoli del viso, i tecnici misurano il battito, il regista orchestra assenze come se fossero scenografie. Da qui la diffidenza verso il remote-only: il cinema, dice Kojima, ha bisogno di una compagnia. Il videogioco, se vuole accedervi, deve diventare compagnia.

Nel congedo in cui ha espresso il suo desiderio di "ritornare a Lucca", l'autore ha restituito infine la ragione più semplice per cui si raccontano storie: restituire qualcosa a chi guarda. Se chiede ai giocatori centinaia di ore della loro vita, spera che in cambio rimanga addosso un sentimento, una postura nuova verso il mondo: non soltanto sollievo, ma cura. È la promessa che lega il suo cinema interiore al nostro sguardo. E, per un pomeriggio lucchese, è sembrato davvero che quella promessa - come un ponte tra spiagge lontane - fosse mantenuta.