La forza di un sogno, quella di fabbriche dove gli operai si recano con il sorriso sulle labbra, dove i turni sono più brevi e lasciano spazio alla cultura personale, e la bellezza è un valore irrinunciabile. L'etica del lavoro, l'impegno politico, la vita privata di uno degli imprenditori più importati dello scorso secolo sono al centro di Adriano Olivetti: La forza di un sogno, fiction in due parti che andrà in onda lunedì 28 e martedì 29 ottobre su Rai 1, prodotta da Rai Fiction e Casanova Multimedia. Tocca a un carismatico Luca Zingaretti, diretto da Michele Soavi, raccontare quest'uomo idealista e pieno di talento che con la sua creatività e intraprendenza impietrì gli americani presentando il primo calcolatore elettronico negli anni 60 e che, fino alla morte, inseguì sempre il sogno di mettere il profitto al servizio della bellezza, della cultura, della solidarietà in nome di un'azienda al servizio della comunità. Una figura evocatrice di Steve Jobs, come ha notato Marcella Logli di Fondazione Telecom: "Ho lavorato in Apple, e non mi sono mai stupita di vedere un'azienda con biblioteche e asili, perché Olivetti ci aveva pensato molto prima". Nel cast anche Stefania Rocca, Francesco Pannofino, Francesca Cavallin, Elena Radonicich, Massimo Poggio e Yoon C. Joyce: tutti, meno la Rocca, erano presenti alla conferenza stampa milanese, assieme al produttore Luca Barbareschi, al regista Michele Soavi, agli sceneggiatori Silvia Napolitano e Franco Bernini, a Laura Olivetti, figlia di Adriano e presidente della Fondazione a lui dedicata e a Eleonora Andreatta, direttore di Rai Fiction.
Com'è nata l'idea della fiction? Luca Barbareschi: Il mestiere del produttore si basa sull'intuizione ma quell'intuizione, per quanto brillante, è destinata a restare tale se non ci sono partner in grado di realizzarla. Per fortuna la Rai si è dimostrata interessata a questo biopic sul grande imprenditore. Volevamo fare un film sull'Italia che sogna, un'Italia con un'etica del lavoro, che dimostrasse che le cose funzionano se a farle è chi ne ha le competenze. Volevo interpretare io stesso Olivetti, ma avrei tolto lucidità al progetto di cui mi occupavo come produttore. Ed è stato un bene, perché Zingaretti è riuscito a portare in scena Adriano Olivetti con tale bravura da scongiurare il rischio di rendere fastidiosa la rappresentazione di fatti personali: il risultato è un film che ha calore.
Ha amato il biopic su suo padre? Laura Olivetti: È stata una bellissima esperienza vedere il film e oggi, se escludiamo i miei genitori, al posto dei volti dei miei zii e degli altri conoscenti che compaiono nella fiction vedo i volti degli attori, prova di quanto siano stati bravi nell'impersonarli. Michele Soavi è figlio di mia sorella, Adriano era suo nonno, ed è evidente che questo film che ha fatto su di lui è fatto con amore. La storia è molto romanzata, si è scelto di rappresentare archetipi come il buono, il cattivo, il traditore. Alcuni sono personaggi immaginari, come Dalmasso e Barale, e alcuni aspetti, come quello dello spionaggio, sono stati evidenziati. Tuttavia è vero che i servizi segreti inglesi e americani hanno sempre tenuto sott'occhio mio padre per via delle sue idee e del suo talento imprenditoriale.Perché una fiction su Olivetti adesso? Eleonora Andreatta: È una fiction molto importante per la Rai, soprattutto in questo momento. Adriano Olivetti era un imprenditore eccezionale, un uomo che sapeva guardare al domani e portò grande innovazione nelle fabbriche sottolineando l'importanza del rispetto dell'operaio. Il suo esempio può suggerirci come uscire dalla crisi in cui versa l'Italia oggi, l'esempio di un un grande pensatore politico persuaso che la crescita personale facesse crescere, a sua volta, la comunità. La sua fiducia nella bellezza e nell'importanza di costruire oggetti fabbricati secondo l'innovazione estetica e tecnologica lo condussero al grande successo che fu la macchina da scrivere compatta Lettera 22 prima e al computer dopo, secondo una visione che poi ha condiviso anche Steve Jobs.
Cosa l'ha colpita di più del personaggio? Luca Zingaretti: L'attore deve parlare attraverso il proprio lavoro, per cui ne approfitterò per leggervi una lettera che mi ha spedito una ragazza trentenne licenziata dalla sua azienda, un'azienda che amava e rispettava e che l'ha tradita. Questa stessa donna è la nipote di un operaio di Olivetti che ne ha sempre evocato il rispetto nei confronti del dipendente. Il suo modo di intendere il rapporto lavoratore-dipendente è ciò che mi ha colpito di più.
È stato difficile scrivere la storia di Olivetti? Silvia Napolitano e Franco Bernini: Quando ci ha contattati Luca Barbareschi eravamo molti contenti del progetto ma era anche un'enorme sfida quella di narrare la vita di un gigante com'era Olivetti, che ha letteralmente risollevato l'Italia dalla macerie. Macerie reali, quelle del dopoguerra, e ci è riuscito grazie alla forza dei suoi valori. Abbiamo volutamente evidenziato l'ambiguità intorno alla morte di Olivetti, deceduto per infarto a soli 59 anni. Ai tempi Olivetti subì un vero e proprio assedio finanziario, gli altri imprenditori lo consideravano un neo da estirpare per via delle sue idee e di come trattava i lavoratori. Per questo motivo è stato anche inventato il personaggio dell'imprenditore Dalmasso, interpretato da Pannofino: doveva rappresentare tutti gli industriali di quel periodo che ce l'avevano a morte con Olivetti.
Cosa ci potete dire dell'esperienza in Adriano Olivetti - La forza di un sogno? Francesca Cavallin: Ho cercato di interpretare Paola in modo da renderle onore, perché lei era una persona, non un personaggio. Ed è stata una donna importantissima nella vita di Olivetti, lui la sposò perché era una donna curiosa della vita e soprattutto moderna: viaggiava da sola, si riparava l'automobile da sé, era colta. Ed era anche una donna molto controversa.Massimo Poggio: Anche Mauro Barale, il mio personaggio, è inventato, ma sono molto fiero di questo film perché sono piemontese, e questa è una storia piemontese.
Yoon Joyce: Io interpreto l'inventore del primo calcolatore. Durante le riprese a Praga si congelava, ma sono molto grato a questa produzione perché finalmente non mi hanno chiesto di parlare con le "l", come se fossi un cinese che non sa bene l'italiano. Per fortuna il mio personaggio è italo-cinese ed ero commosso quando, dopo aver domandato se dovevo parlare "da cinese" mi hanno detto: "Quale "l", parla normalmente". E ho potuto recitare senza dover per l'ennesima volta sentirmi dire dal produttore di turno [con accento romano]: "Dai su parla come i cinesi", ["Veramente io sono coreano"].. "Ma sì, cinesi, giapponesi, coreani, quella roba, dai". Ringrazio davvero la produzione!