Iniziamo la nostra recensione di Love Life contenti che il film di Kōji Fukada arrivi in sala in Italia, che lo faccia a ridosso del passaggio alla Mostra di Venezia 2022 (il 9 settembre grazie a Teodora) sfruttando la visibilità che l'evento può dargli e che sia la prima opera del regista giapponese a essere distribuita nel nostro paese. Contenti per l'inizio del cammino del regista nelle nostre sale, ma anche perché abbiamo apprezzato il film, e la sua regia nello specifico, e pensiamo che possa comunicare i suoi temi anche al pubblico nostrano, perché a dispetto di alcune dinamiche più propriamente legate alla cultura giapponese, affronta sensazioni e drammi universali.
Tragedie che cambiano la vita
Motore del racconto messo in piedi da Fukada è una tragedia, una di quelle che cambiano irrimediabilmente la vita. La protagonista di Love Life è infatti Taeko, che conduce un'esistenza tranquilla e serena con il nuovo marito Jiro e il figlio Keita, finché un evento tragico non arriva a stravolgere la sua vita e non finisce per riportarla in contatto con l'ex marito Park, di cui non aveva notizie da anni. Non udente e senza una casa, Park è il padre biologico di Keita e Taeko non riesce a fare a meno di aiutarlo, di riavvicinarsi a lui per riuscire ad affrontare il dolore che prova e il senso di colpa che la travolge, che non riesce a condividere con il marito Jiro e i suoceri.
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La solitudine del dolore
È una dinamica interessante quella messa in piedi da Kōji Fukada per il suo film, perché non approfondisce il dolore in quanto tale, ma la solitudine che si prova nel non riuscire a condividere la sofferenza che si prova: Taeko (una misurata Hirona Yamazaki) non trova in Jiro il supporto di cui ha bisogno e si riavvicina all'ex marito Park, che può condividere le dolorose emozioni che sta vivendo e il suo stesso dramma. Love Life è quindi anche un film su come affrontare il dolore, che, avverte il regista attraverso uno dei suoi personaggi, non va superato e dimenticato, ma metallizzato e gestito, pur con il necessario supporto.
Il senso di Fukada per il racconto
Love Life non è un film complesso dal punto di vista narrativo, ma Kōji Fukada dimostra una solida padronanza del racconto e della messa in scena: campi lunghi, inquadrature statiche ma intense, almeno un paio di sequenze che restano in testa anche al termine della visione. Il tutto arricchito dall'idea, forte ed efficace, di accompagnare il tutto con la canzone di Akiko Yano che dà il titolo all'opera, sua fonte d'ispirazione iniziale, per il testo significativo nel descrivere le sensazioni che gli premeva mettere in scena. Da lì è partito Fukada, da quella canzone e da quel testo, lasciandola sedimentare per tanti anni in attesa di trovare la storia e le immagini adatte a renderle giustizia e valorizzarla. Ed è riuscito a farlo, a giudicare dalla bellissima sequenza che chiude la pellicola.
Conclusioni
Nel riepilogare la recensione di Love Life, il film di Kōji Fukada in concorso a Venezia 2022, non possiamo che sottolineare la delicatezza ed eleganza con cui l'evento chiave della storia viene trattato, avvalendosi di un cast misurato e in parte. Buona la regia di Fukada, che costruisce una messa in scena solida e sobria, ma capace di colpire lo spettatore.
Perché ci piace
- La regia solida di Kōji Fukada, fatta di campi lunghi e inquadrature ben costruire.
- Il cast, sobrio e in parte.
- La riflessione sulla solitudine nel non riuscire a condividere il proprio dolore.
Cosa non va
- La storia è semplice e funzionale e non ha particolari guizzi dal punto di vista narrativo.