Se c'è una cosa che non manca a Locked Down è il coraggio. Coraggio di saper mettere in scena un racconto che si inserisca perfettamente nel periodo storico recente che stiamo vivendo, senza voler nascondere il cambiamento profondo che non solo la società, ma anche la stessa industria cinematografica è (stata) costretta ad affrontare. Disponbile per il noleggio premium su Infinity, il film di Doug Liman con protagonisti Anne Hathaway e Chiwetel Ejiofor è allo stesso tempo una commedia e un heist movie. Una commedia perché i due sono Paxton e Linda, marito e moglie, ormai prossimi a separarsi e che non possono lasciare casa a causa del lockdown londinese. Sono costretti a convivere con loro stessi e i loro difetti, cercando in qualche modo di superare il momento di difficoltà. Ed è anche un heist movie perché i due hanno l'occasione di rapinare un importante diamante, proprio approfittando della situazione. Non vogliamo rovinarvi il finale, ma il film scritto da Steven Knight (già autore di Locke e Peaky Blinders), alla fine dei conti, oltre che a unire generi così diversi, riesce a diventare metafora di qualcosa di più grande. La rapina di un gioiello acquista un sapore diverso e più intimo e personale. Succede, nel corso del film, che ci si accorge di un tema importante: Locked Down è l'heist movie che racconta la pandemia.
Un nuovo modo di fare cinema
Due attori protagonisti, una casa, molte videochiamate. Sono gli elementi fondamentali che danno vita a Locked Down e, a dirla tutta, sono anche le basi per poter girare un film in questo periodo storico. Sin dalle prime immagini del film si percepisce questa patina di eccezionalità: sono film, questi, che nascono a fatica, grazie a un budget risicato e seguendo un attento regolamento di norme igienico-sanitarie e la dimostrazione è proprio sulla tecnica cinematografica. Camera a mano per donare quell'intimità nello sguardo, inquadrature precise, molte conversazioni che avvengono via telefono o tramite il computer. Sembra ormai qualcosa di totalmente normale, finché siamo noi a farlo, ma è ancora straniante vedere quest'eccezionalità all'interno dei film. Eppure, a suo modo, questa è la maniera migliore per raccontare una storia ambientata ai giorni nostri. Si potrebbe usare una scorciatoia e far finta, semplicemente, che la pandemia non sia mai esistita (è il caso di Malcolm & Marie che non ne fa mai menzione), ma sarebbe come barare. Se il cinema è anche una finestra sulla vita, allora l'approccio di Locked Down appare più funzionale e coraggioso. È un nuovo modo di fare cinema, che però ritrova uno stimolo che mancava da tempo nell'industria hollywoodiana: il basso budget, la troupe ridotta, il riuscire a raccontare una storia nonostante i limiti (auto)imposti. È come tornare alle origini della storia del cinema o agli esordi a costo zero di talentuosi registi, quando gli scarsi mezzi sprigionavano un'inventiva rara, mettendo in primo piano il talento delle maestranze al posto della tecnologia. Locked Down è uno dei primi film a riappropriarsi di questa purezza.
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Il genere è possibile
La commedia è la forma più accomodante per poter sfruttare questi limiti. Ed è anche il genere di punta per riuscire a sdrammatizzare e capovolgere la tragicità della vicenda. Non a caso anche i primi film girati qui in Italia, durante il periodo delle restrizioni, sono state due commedie (Lockdown all'italiana e In vacanza su Marte). Più che una scelta sembra quasi una necessità rivolta al pubblico che da una storia audiovisiva vuole dimenticare per un paio d'ore la difficile realtà che si trova ad affrontare quotidianamente. Un altro paio di maniche, invece, è cercare di costruire un film di un altro genere, uno che solitamente ha bisogno di diverse location, di comparse. Di un mondo senza pandemia. Quella di Locked Down è una sfida duplice: riuscire a dare vita a una storia appassionante che ha come obiettivo una rapina e usare i pochi mezzi disponibili per metterla in scena. Non vi diremo come accadrà il tutto (a voi scoprirlo), ma non possiamo che sottolineare l'ottimo feeling tra i due attori protagonisti che riescono da soli a reggere il peso dell'intera storia. Il film di Doug Liman, un nome che gli appassionati degli action conoscono molto bene (suoi The Bourne Identity, Edge of Tomorrow e Mr. And Mrs. Smith), dimostra che è possibile creare un cinema di genere e che è proprio da questa tipologia che si deve ripartire.
Raccontare la rapina della pandemia
In un gioco di scatole cinesi, Liman e Knight riescono a mettere in scena il significato della pandemia proprio attraverso la rapina. Perché, col procedere della storia, più veniamo a conoscenza del passato dei protagonisti, più arriviamo a capire che l'heist movie non è usato per raccontare il furto che organizzano Linda e Paxton, ma di quello che la pandemia ha compiuto su di loro (e, in generale, su tutti noi). Su ciò che ci ha privato, sulle abitudini che ci ha fatto cambiare. Rubare il prezioso diamante è sicuramente un atto di ribellione e contro la legge, ma sembra la conseguenza al limite per cercare di riappropriarsi di una vita fermata. Come in tutte le commedie c'è anche un lato umano da sottolineare, quello della storia di una relazione che dovrebbe riaccendersi, di vecchi rancori che si scoprono superabili in questo "nuovo mondo", al contrario di quanto poteva sembrare precedentemente. Il diamante, l'oggetto prezioso, diventa quindi il cuore umano che serve ai protagonisti per superare il momento di difficoltà, per rinascere in maniera nuova. Ed è così che, attraverso le esagerazioni che solo la finzione cinematografica può giustificare, Locked Down diventa un film che riesce a raccontare la storia di tutti. Della rapina nei nostri confronti e del colpo che serve per ricambiare il favore.