Lo straordinario caso di Temple Grandin
Presentato al RomaFictionFest 2010 nella sezione Concorso Internazionale TV Drama, Temple Grandin rappresentava fino a pochi giorni fa, quando sono stati anticipati i titoli clou della prossima stagione televisiva, una sfida importante per Sky Cinema, che ha acquisito il tv movie insieme agli altri prodotti internazionali You Don't Know Jack e The Sea Wolf. Le 15 nomination agli Emmy Awards, un'incetta davvero impressionante sia per Temple Grandin sia per You Don't Know Jack, entrambi targati HBO, premiano, ancora prima della loro messa in onda, l'attività di scouting di Sky, che assicura al pubblico italiano la visione di prodotti di altissima qualità che diversamente non verrebbero resi noti. Sorprende poi una singolare coincidenza: a dirigere il film con protagonista Al Pacino in lizza per gli Emmy è Barry Levinson, regista del famoso e indimenticabile Rain Man, che verrà in mente a chiunque guardi Temple Grandin, e del meno conosciuto e più recente Adam.
Il film è un ritratto delicato e originale di una savant, una donna autistica dotata di straordinarie capacità e s'ispira alla storia vera di Temple Grandin, una sessantenne americana con due lauree in Psicologia e in Zoologia e un master in Scienze Animali e una tenace attivista del movimento in tutela dei diritti degli animali e delle persone autistiche. La donna ha superato un'infanzia turbolenta, durante la quale le era stata diagnosticata la schizofrenia infantile, e un'adolescenza dura, fatta di incomprensioni, pregiudizi e rifiuti. Grazie all'aiuto della famiglia, a una singolare immaginazione e a una ostinata determinazione la scienziata autistica, che ha ispirato anche uno dei racconti de "Un antropologo su Marte" del celebre e apprezzato Oliver Sacks, è riuscita a scardinare il concetto dell'autismo come malattia debilitante e delimitante.
Diretto in maniera assolutamente autentica e visionaria da Mick Jackson, regista di The Bodyguard e di numerosi episodi di varie serie televisive, il film racconta gli anni in cui Temple Grandin realizzò, con non poca sofferenza, di essere "diversa, ma non inferiore". A 4 anni non parlava ancora e i medici erano convinti che non ci sarebbe mai riuscita e durante l'adolescenza la madre dovette iscriverla a una scuola privata per allontanarla dai coetanei che la schernivano invece per la parlantina veloce e impulsiva e la temevano per i comportamenti aggressivi. Al college, dopo essere stata spronata dal professor Carlock, il primo ad aver intuito che vedeva "il mondo in modo diverso" e che era una "pensatrice visuale", inventò una strana macchina degli abbracci, non potendo accettare quelli umani, e progettò un innovativo sistema che permetteva alle mandrie di mucche destinate al macello di non soffrire crudelmente prima della morte nei mattatoi.La parabola favolistica della protagonista, di cui non sfugge la profonda rete di sensi metaforici (lei, ingabbiata in una sindrome, che apre la gabbia dei macelli, varcando porte immaginarie mentre soffre la fobia di quelle scorrevoli) arriva dritto al cuore degli spettatori senza riduzioni edulcorate né affondi sentimentali: è l'evoluzione faticosa di un personaggio che conquista una dignità che la società generalmente trascura di rispettare.
A intrecciarsi con il tema principale, sviluppato con abilità e sensibilità da Christopher Monger e Merritt Johnson (già sceneggiatore di alcuni episodi di In Treatment) dai libri Emergence, scritto a quattro mai dalla stessa Grandin insieme a Margaret Scarciano, e l'autobiografia Thinking in Pictures, alcuni snodi non meno importanti per l'economia narrativa: il difficile rapporto figlia-madre (con l'intensa interpretazione di Julia Ormond), la relazione "professore"/allieva che ricorda Scoprendo Forrester - con un eccezionale David Strathairn, l'amicizia tra persone diversamente abili, che vedono e sentono oltre.
La trama di Temple Grandin non si può restringere con schematismi del genere drammatico, perché riesce a equilibrare finemente momenti emozionanti e commoventi e battute e situazioni dotate di un umorismo intelligente. A brillare in un ruolo controverso che si concentra su una impeccabile gestione della fisicità l'attrice Claire Danes, che contribuisce all'ottimo risultato di una produzione che ci ricorda che qualcosa sta cambiando nel rapporto televisione-cinema e che il piccolo schermo si sta svincolando dal rapporto vampiristico, che fino a poco fa l'aveva caratterizzato rispetto al "fratello maggiore", percorrendo la strada che potrebbe portare il pubblico al superamento di una concezione che l'ha sempre incastrata nella "gabbia" stretta di arte minore.