A quasi 85 anni compiuti, Liv Ullmann è splendida. I capelli raccolti in una nuvola bionda, gli occhi blu sgranati, il sorriso dolce, la musa di Ingmar Bergman affronta il mondo con curiosità ed entusiasmo e ascolta con attenzione tutte le domande dei giornalisti che la circondano. D'altronde l'aspetto umano di ogni situazione è ciò che la attrae di più e ha guidato tutte le sue scelte, lavorative e non. L'attrice norvegese (ma nata a Tokyo) è anche dotata di grande autoironia che sfodera mentre confessa: "Non mi sento per niente infastidita a essere definita musa, meglio esserlo che non esserlo, no?"
Liv Ullmann si trova a Firenze, ospite del Festival dei Popoli 2023 per presentare il documentario a lei dedicato, Liv Ullmann: A Road Less Travelled, di Dheeraj Akolkar. "Amo la Toscana, i suoi edifici, la sua gente, la generosità e sono felice di essere qui oggi in un festival che celebra il documentario, un genere che indaga la natura umana" spiega l'attrice, regista e attivista per i diritti umani, che in passato è stata diretta dal toscano Mauro Bolognini ne Gli indifferenti e Mosca addio e da Mario Monicelli in Speriamo che sia femmina, ambientato nella campagna toscana. "Ricordo con nostalgia la casa di Elena, il mio personaggio" prosegue. "Non c'era il telefono, che meraviglia! Ci tornerei immediatamente. Le persone parlavano, litigavano, si ascoltavano. Odio tutta questa tecnologia che ci distrae dagli altri esseri umani, a volte entro in una a casa e non so neanche come accendere le luci".
L'Italia ha avuto una parte essenziale nella formazione dell'immaginario di Liv Ullmann, che dichiara con slancio: "Il cinema per me è l'Italia. Sono cresciuta in una piccola città in Norvegia, mio padre è morto quando avevo sei anni. Da adolescente non ero molto popolare popolare, così andavo spesso al cinema da sola. Ho visto Umberto D., Ladri di biciclette, Miracolo a Milano, mia madre non mi aveva mai detto che esisteva questo mondo. La mia fantasia ha cominciato a galoppare, è stato come un risveglio. Vittorio De Sica ha permesso ai poveri di far sentire la loro voce, li ha resi protagonisti di qualcosa di meraviglioso. I film italiani hanno plasmato il mio immaginario".
Il sodalizio con Ingmar Bergman
La carriera di Liv Ullmann è legata indissolubilmente a quella di Ingmar Bergman. E viceversa, come lei ci tiene a sottolineare, ricordando che dal momento del suo ingaggio in Persona, nel 1966, l'attrice è apparsa in tutti i film di Bergman eccetto uno, Fanny e Alexander. "Sono io che ho scelto di non interpretarlo, in quel momento non me la sentivo perché era troppo triste, ma è un film meraviglioso" spiega. "Ma sono sempre stata presente mentre lui scriveva e parlava con me di ogni sceneggiatura"_.
Persona rappresenta l'inizio del loro sodalizio, ma anche di una sorta di simbiosi autobiografica, che si riflette in tutta l'opera del maestro svedese. "Persona parla di un uomo vicino alla cinquantina insoddisfatto del modo in cui il mondo lo vede" chiarisce Liv Ullmann. "Ingmar si sentiva così e ha scelto una giovane donna di 25 anni che lo rappresentasse. Nel film successivo, L'ora del lupo, interpreto una giovane donna innocente che vive con un uomo più anziano. Alla fine delle riprese di Persona ero terrorizzata dall'idea di cinema di Bergman. Ero incinta di nostra figlia e volevo tornare a casa, in Norvegia, dove lui è venuto a riprendermi per convincermi a tornare".
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L'avventura di Hollywood
Amante dei viaggi, Liv Ullmann non si è mai persa d'animo e dopo la rottura con Ingmar Bergman si è concessa un'avventura hollywoodiana recitando in western, musical e commedie, senza però lasciarsi travolgere dalle sirene dell'industria americana. "Hollywood era così divertente" esclama l'attrice frugando nei ricordi. "Ero così giovane e non riuscivo a credere che stesse succedendo proprio a me. Mi riempivano di complimenti, ma in fondo al cuore sapevo che era una parentesi e che sarei tornata in Norvegia a recitare a teatro". Poi aggiunge: "A Hollywood ho girato Orizzonte perduto, uno dei 50 peggiori film mai fatti, ma quando ho finito sono tornata a casa e ho recitato in Scene da un matrimonio, diretta da uno dei migliori registi al mondo. Non ho mai fatto un lifting (ride, ndr), ma vivevo in una casa enorme in cui ospitavo gli amici. Ho interpretato buoni film e flop, ma appartengo all'Europa".
Anche dopo il suo ritorno in Norvegia, gli Stati Uniti hanno continuato a corteggiare Liv Ullmann. C'è stato un momento in cui l'attrice scandinava ha ricevuto una proposta per partecipare a Sex and the City, serie di cui si proclama fan. "Non ho accettato, anche se la proposta mi ha lusingato" confessa. "Ho letto il copione, ma alla fine ho deciso di non farlo perché ero di gran lunga la più anziana del cast". E anche se IMDb dà per certa la sua partecipazione alla seconda stagione di Nove perfetti sconosciuti, Ullmann rivela di aver detto anche a Nicole Kidman: "Quella fase della mia carriera ormai si è chiusa, a questa età non reciterò più. Mi sarebbe piaciuto scrivere un terzo libro, The Blue Hour, ma mio marito è malato, non ho il tempo e la serenità per dedicarmi alla scrittura".
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Uniamo le forze per dire no alla guerra
Come si scopre dal documentario A Road Less Travelled, a fianco dell'attività artistica e creativa, Liv Ullmann si è sempre schierata a difesa dei diritti umani. Dapprima ambasciatrice Unicef, in seguito ha fondato la Women's Refugee Commission, per aiutare le donne profughe e i loro figli. Oggi non può che seguire con sgomento le due guerre che infiammano l'Est Europa e il Medio Oriente mietendo vittime, per lo più civili. "Credo che questo sia uno dei momenti più orribili e difficili. Non trovo le parole per descriverlo" confessa. "Le guerre non hanno eroi, né da una parte né dall'altra, solo vittime. Non si è degni di essere chiamati eroi se ammazziamo i bambini. A deciderle sono i politici, ma noi siamo più numerosi. Dobbiamo far sentire la nostra voce, dobbiamo protestare per esprimere il nostro dissenso".