"Amo i fratelli Taviani e Francesco Rosi", così si è presentato il regista iraniano Arash T. Riahi prima ancora di sedersi per presentare il suo documentario Everyday Rebellion - L'arte di cambiare il mondo, realizzato insieme al fratello Arman. Riahi ha parlato del suo film in compagnia di Inna Shevchenko, leader delle Femen, il cui percorso di attiviste viene presentato nel film insieme ad altre forme di protesta - tutte improntate all'idea della non-violenza - da Occupy Wall Street all'Onda verde iraniana.
"Tre fratelli di Francesco Rosi è un film incredibile" - ha continuato Riahi - "Quando l'ho visto è cambiato completamente il mio punto di vista sul cinema. Ho capito che è uno strumento complesso, con cui si possono comunicare tante cose. E con il cinema italiano ho anche imparato che si può piangere al cinema. La prima volta che ho pianto davanti a un film è stato con La notte di Michelangelo Antonioni".
Un film pluralista
La prima curiosità che viene in mente vedendo Everyday Rebellion - L'arte di cambiare il mondo è relativa alla varietà di luoghi che vengono mostrati e anche - se vogliamo - all'enorme diversità delle proteste che si sono svolte nel mondo negli ultimi anni e di cui si parla nel film: da quelle nate in paesi con un'industrializzazione avanzata e in cui la contestazione nasce dalla crisi economica (la Spagna degli Indignados e gli USA di Occupy Wall Street), ai paesi arabi in cui la crisi ha aperto il campo a rivendicazioni riguardanti una maggiore apertura democratica (dall'Egitto all'Algeria, passando per la Siria), fino a piccole organizzazioni che rielaborano l'attività politica in forme dissacranti (le Femen che, nate sulla spinta di un gruppo di ragazze ucraine, mostrano il loro corpo nudo per rivendicare un ruolo diverso per la donna).
"L'importante in Everyday Rebellion è il pluralismo, - ci dice Arash Riahi - le varie forme di strategie non violente che si sono sviluppate per protestare contro certi poteri. Alcuni movimenti sono orizzontali, altri no, ma tutti quanti condividono la strategia della non-violenza. E io e mio fratello siamo convinti che i mass media, pur parlando di queste forme di protesta, non le abbiamo mai mostrate e raccontate in modo serio e approfondito. Per questo abbiamo voluto realizzare Everyday Rebellion - L'arte di cambiare il mondo. Ad esempio, le Femen usano il loro corpo come uno strumento, come forma di opposizione rispetto al modo in cui viene usato di solito il corpo femminile. Il loro corpo nudo diventa un modo per spiazzare, imbarazzare e ribaltare il concetto che di solito si ha della donna vista come oggetto. È interessante poi notare come, viaggiando da un paese all'altro, da una forma di protesta all'altra, ci siamo resi conto di quanto siano in connessione tra di loro. Uno strumento usato per la prima volta in un certo paese è stato rielaborato in un altro e riletto secondo le specifiche condizioni politico-sociali di quel dato paese".
La non-violenza tra storia e biografia
Alla base di Everyday Rebellion - L'arte di cambiare il mondo c'è una radicata convinzione, quella che qualsiasi tipo di rivolta debba avere alla base l'idea della non-violenza. Così la pensa Riahi: "Comportamenti violenti conducono sempre ad altra violenza. Da Gandhi in poi solo le rivolte non violente hanno prodotto i risultati sperati. Cosa avremmo dovuto fare? Mostrare quello che viene mostrato in tutte le televisioni del mondo, cioè i reciproci atti di violenza che si contrappongono l'uno all'altro? No, non potevamo farlo, perché noi crediamo che la non-violenza sia l'unica strada praticabile". L'opzione deriva anche dalla storia personale dei due fratelli registi: "Siamo nati in Iran, ma ci siamo trasferiti in Austria all'inizio degli anni Ottanta. Siamo rifugiati, scappati dopo la Rivoluzione Islamica iraniana, con nostro padre che è stato in carcere per cinque anni. È stato allora che abbiamo sviluppato la convinzione che solo la non-violenza possa ribaltare la violenza del potere, un potere che nel nostro paese non aveva limiti rispetto alle sue forme di violenza e di fronte a cui, quindi, era impossibile e velleitario rispondere con altra violenza".
Perché le Femen
Nel corso della conferenza di presentazione di Everyday Rebellion - L'arte di cambiare il mondo è intervenuta più volte Inna Shevchenko, chiamata più volte a spiegare le finalità politiche delle Femen, gruppo femminista di cui è la leader indiscussa. "È interessante che ci chiediate delucidazioni sul nostro gruppo, perché capisco che continua ad apparire scomodo. Le Femen sono nate nel 2008 per iniziativa di alcune studentesse ucraine che si ritrovavano a Kiev per motivi di studio. Eravamo alla ricerca di un lavoro e di un futuro migliore, ma ci rendevamo conto di quanto questo fosse difficile soprattutto per noi donne che ancora siamo viste, nella società ucraina e non solo, come oggetti sessuali o come 'angeli del focolare'. Abbiamo cominciato perciò, tra il 2008 e il 2010, a sviluppare una serie di azioni di protesta fino a capire quanto in fondo dovesse andare il nostro attivismo. Non da subito abbiamo deciso infatti che dovessimo spogliarci. Solo ad un certo punto abbiamo capito che era necessario, che era l'unico modo per dare fastidio alle autorità. Il nudo continua a essere un tabù. È accettato solo se asservito al potere degli uomini, ma nel momento in cui noi ci presentiamo nude, con delle scritte sui nostri corpi contro la religione o contro i vari regimi del mondo e ci poniamo con aggressività e violenza verbale, allora diamo fastidio al potere maschile. Questo proprio perché l'uomo vuole una donna asservita che accetti di fare tutto quello che le viene ordinato. Basta vedere la televisione italiana dove le donne vengono mostrate nude anche se devono pubblicizzare solo una marca di yogurt. Ebbene, noi la nostra sessualità abbiamo deciso di mostrarla in modo provocatorio e attivo, ribaltando in certo modo il femminismo degli anni Settanta in cui la femminilità veniva spesso nascosta. No, il nostro corpo è la nostra arma per mettere in discussione la legge e il potere maschili. Negli anni abbiamo fatto diversi passi avanti e molte donne hanno cominciato a capire le finalità della nostra lotta politica. Ma tanta strada c'è ancora da fare, perché il grande tabù non è il nudo femminile, ma il fatto che la donna sia libera, indipendente, che possa contare politicamente e che il suo luogo non sia solamente quello della famiglia".