Le furie del Sol Levante
Sean Black è un ragazzo difficile; una testa calda, ma soprattutto un amante dell'alta velocità. Appassionato di auto da corsa, si misura in gare estreme a bordo del suo bolide sfidando la legge. Un terreno che scotta, per non essere costretto a trasferimenti coatti attraverso l'America.
Dopo aver causato l'ennesimo incidente, l'unica alternativa al riformatorio è raggiungere il padre a Tokyo per ricominciare. Inutile dire che riuscirà a mettersi ancora nei guai, entrando di prepotenza nel mondo clandestino del drifting. Legato a doppio filo ad una gang di aspiranti yakuza, s'innamorerà della bella di turno finendo in un vortice d'avventure che lo costringeranno ad un'inarrestabile escalation di sfide in nome dell'onore.
Terzo episodio della serie, The fast and the furious: Tokyo drift approda oltre oceano per accogliere nuovi consensi. Completamente rigenerato rispetto ai precedenti episodi, si avvale di un cast tecnico all star - fra cui il regista Justin Lin, campione d'incassi con Better Luck Tomorrow presentato al Sundance Film Festival nel 2002- e di protagonisti pseudo-esordienti; un mix esplosivo, che ben si attaglia all'argomento.
Auto veloci e belle donne per sfide adrenaliniche oltre i limiti. Un film ad alto budget girato fra Tokyo e Los Angeles che ha rinverdito la serie del metallo pesante un po' appannata dal secondo episodio.
Nulla di nuovo se non l'ambientazione, perfettamente in linea con lo sfruttamento del filone Far East, apparentemente unico spunto possibile per sfuggire la banalità delle sceneggiature in circolazione. Così, tra quartieri fittizi e sporadiche riprese originali, Tokyo affascina con la brulicante Shibuya e l'aspra Chiba, tutta tornanti e strapiombi. Sarebbe le fiera del posticcio se gli attori non fossero autentici drifters o quasi, compresa l'esordiente Nathalie Kelley, australiana bellezza fuori luogo come il protagonista, a sottolineare che se sei un gaijin la tua unica possibilità è approdare allo sballo.
Vero o falso, Tokyo resta un pianeta a parte in cui i protagonisti sono pesci fuor d'acqua; invulnerabili sbruffoni che consumano treni di gomme come fossero noccioline ed escono da fumanti cartocci di lamiera ravviandosi le chiome lucenti.
Diseducativo oltre i limiti, questo episodio più degli altri diffonde una cultura della velocità da videogame, in cui la morte non esiste e i piloti sono eroi. Così, dopo il frastuono di motori e sgommate resta il fascino di sfide insensate, così irreali da obliare che gli incidenti d'auto uccidono sul serio.
Ma il cinema è finzione, e augurandoci che lo sappiano anche gli spettatori, il film resta comunque un prodotto di qualità in cui, by-passata la fattura stile Bo & Luke del primo episodio, in cui la massima prova d'attore era quella di Vin Diesel, restano belle scenografie, luci, colori e musiche irresistibili.
Giusto epilogo di un filone in debito di originalità, resta un ottimo scaccia-noia anche per i non appassionati di motori, ma il suo contributo resta comunque misero e il pensiero torna nostalgico a quel Velocità massima, gioiellino di semplicità che ci regalò Vicari.