Le ferite di New York
Alan Johnson (Don Cheadle) è un dentista affermato con una famiglia perfetta; il suo problema - e che cerca di affrontare "imbattendosi" per strada con una graziosa e paziente psicanalista (Liv Tyler) - è la carenza di amicizie maschili, che lo induce a percepire il suo idilliaco ménage familiare come oppressivo, e a guardare con sospetto alle attenzioni della sua bella moglie. Quando incontra Charlie Fineman (Adam Sandler), ex compagno di stanza al college, Alan coglie l'occasione per riapprofondire il rapporto con lui, e ritrova il piacere di farsi una birra dopo l'altra, di dedicarsi a passatempi ad alto tasso ludico e di godersi un'interminabile maratona notturna con i film di "Mel" (Brooks). Ben presto, però, quello che, nell'amico ritrovato, sembrava un accattivante atteggiamento giovanile e spensierato, si rivela sintomo della grave forma di stress post-traumatico da cui Charlie è afflitto: sua moglie e le sue tre figlie erano a bordo di uno degli arei dirottati dai terroristi per effettuare gli attacchi dell'11 settembre 2001. Da allora Charlie ha lasciato il lavoro, ha troncato i rapporti con i suoceri, si è munito di scooter, di playstation e di proiettore e ha trasformato la sua casa e la sua vita in un rifugio da ricordi che fanno troppo male.
Alan, che inizialmente aveva invidiato la sua libertà, si fa carico dell'onere di fornire a Charlie l'aiuto di cui ha evidentemente bisogno, e i suoi sforzi, uniti a quelli della sua amica psicanalista, serviranno a fargli affrontare finalmente il passato. Con conseguenze imprevedibili.
A ridosso del sesto anniversario dell'attentato al World Trade Center, debutta nelle nostre sale questo Reign Over Me, in cui il versatile Mike Binder torna a cimentarsi in un dolente character drama dopo i recenti tentativi non troppo riusciti di Litigi d'amore (2005) e di Man About Town (2006). Il film è ben più coeso, sincero, divertente ed emozionante dei predecessori, grazie in primo luogo alla qualità delle interpretazioni dei due protagonisti: Cheadle si destreggia da par suo in un ruolo non facile e piuttosto ambivalente al fianco di Sandler, che, a sua volta, abbraccia con grande umanità un personaggio che avrebbe potuto facilmente ridursi a macchietta e regala un monologo intensissimo e straziante che vale il prezzo del biglietto. E che, per inciso, è anche il punto più alto di una sceneggiatura che, nel complesso, manca decisamente di sottigliezza: Binder si riscatta immortalando piacevolmente i colori, i suoni, le canzoni, i volti di una New York irrimediabilmente ferita, in cui la solidarietà è l'unico conforto possibile - e giustifica persino un finale un po' troppo conveniente e accomodante.
Movieplayer.it
3.0/5