Le bambole di Kitano
L'outsider del cinema giapponese, Takeshi Kitano, abbandona in questa sua ultima opera, il suo inconfondibile modo di fare cinema, fatto di: astrazione, sarcasmo, violenza improvvisa e desimbolizzata, per dedicarsi ai temi classici del teatro delle marionette giapponese: il Bunraku. E' proprio con una rappresentazione del Bunraku che la pellicola ha inizio: un teatro in cui è inscenato un amore impossibile di fronte alle coercizioni sociali e alle tradizioni, un amore sempre in odor di tragedia. Ma ben presto le marionette diventano reali e vengono rappresentate da tre storie parallele e struggenti, con in sottofondo un Giappone in dialettico contrasto tra tradizione e modernità.
Due amanti divisi dalle differenze sociali, vagabondano verso una impossibile felicità, un vecchio boss yakuza rincontra l'amore della sua giovinezza che ancora lo attende e una pop star, in seguito a un incidente che l'ha sfregiata, scopre la devozione di un fan che si è tolto la vista per lei. Le tre dolorose storie d'amore sono raccontate attraverso una serie di discontinui e suggestivi flashback che guidano l'azione dei protagonisti durante le quattro stagioni, di cui il regista presenta mirabilmente i colori e le simbologie in un rapporto visivamente mozzafiato con la natura giapponese.
I colori, la fotografia ed i costumi sono difatti il fulcro di un film elegante e suntuoso, dove vige l'assoluto dominio dell'immagine sulla parola. Questo estetismo, troppo spesso abbinato al concetto di formalismo di maniera, di cui il film trasborda e tramite il quale Kitano marca la differenza più netta con i codici narrativi della cinematografia occidentale, è insito nel teatro stesso che si vuole rappresentare, quindi inevitabile; è il contatto che la cultura giapponese mantiene con l'uomo della strada. Una storia tradizionale giapponese quindi, ma non un archetipico prodotto filmico giapponese, non un Kurosawa, per intenderci. E si, perché proprio quando si ha la sensazione che Kitano, ci trasporta con grande maestria, verso il terreno della meditazione, della stilizzazione e della tradizione, il suo tocco si fa sempre più presente e caratterizzante, quasi distaccato in ultima istanza, nel proporci con lo stesso registro sintattico la violenza, l'amore, l'ingiustizia e il destino. Un film forse non per molti, ma la speranza è che non sia neanche per molto pochi.