Alla prima edizione di Castiglione del Cinema, festival organizzato nella splendida cornice di Castiglione del Lago, in Umbria, ha partecipato anche Laura Delli Colli, presidente del Sindacato Nazionale Giornalisti Cinematografici Italiani che annualmente assegna i Nastri d'Argento. Delli Colli ha intervistato l'attrice Ludovica Martino e ha partecipato all'incontro con le scuole per parlare delle dinamiche del mestiere di giornalista cinematografico e per introdurre agli studenti il profilo dell'attrice Monica Vitti, della quale è stata biografa e sulla cui figura ha pubblicato un libro nel 2022 dal titolo Monica. Vita di una donna irripetibile. A margine dell'evento abbiamo intervistato Laura Delli Colli, condividendo una chiacchierata sulla vita e la carriera di Monica Vitti.
Rivincita dei timidi
Monica Vitti è stata una bambina timida che non ha mai perso la speranza di poter calcare il palcoscenico di un teatro. Si può dire che la sua sia stata un po' la rivincita dei timidi? "Io credo proprio di sì. La storia della sua vita è la storia di una rivincita. È stata un'adolescente bloccata un po' da tutto: dal suo fisico, dal rapporto con la sua fisicità, con un corpo con cui si sentiva a volte un po' a disagio. Tant'è vero che fin da bambina ha avuto i suoi soprannomi: 'Sette Sottane', perché era sempre coperta, poi 'Brutti Sogni', perché spesso da adolescente aveva gli incubi. Però diceva che 'in fondo si faceva delle sceneggiature, esorcizzavo anche il brutto sogno perché quando mi svegliavo mettevo il finale che costruivo'. La timidezza è stata importantissima perché il teatro l'ha aiutata a vincerla. Quando arrivò a poco a poco al cinema, studiare per fare l'attrice e liberarsi della timidezza fu una terapia. La sua rappresentazione delle donne si rivelò una grandissima forza nell'impatto con il pubblico. Così come il rapporto con il proprio corpo, dai primi lavori ai film di commedia nei quali interpretò alcuni personaggi che erano lontani da com'era. Fu una sorta di piccola grande liberazione che coincise anche un po' con la storia delle donne in quel periodo, perché in fondo non erano protagoniste della commedia; la commedia era scritta dai maschi. L'unica grande sceneggiatrice era Suso Cecchi D'Amico ma scriveva per un altro. In quel mondo gli sceneggiatori erano tutti uomini e scrivevano storie in cui le donne, come diceva Sonego, 'non hanno mestieri, o le racconti come mogli o come amanti', sono tradite o traditrici. La commedia raccontava spesso, con la comicità, storie di coppie in cui la dinamica era questa".
Monica Vitti, la straordinaria carriera di un'attrice comica e musa drammatica
Il sogno del teatro e gli inizi
Monica Vitti sognava di diventare un'attrice teatrale: "La sua storia è quella di una ragazzina che ha sempre voluto fare dapprima teatro e poi anche cinema. Anche in questo desiderio trovava il modo per esorcizzare la timidezza e il rapporto con il proprio corpo, con il quale aveva vergogna di mostrarsi. Cominciò tutto durante la guerra. Era bambina e aveva dei fratelli più grandi. Giorgio, uno dei fratelli, la aiutava a fare dei simil spettacolini quando suonava l'allarme e finivano nei rifugi dove c'erano bambini più piccoli. Lei raccontava che si disegnava sulle dita le figurine, magari con le faccette dei personaggi, e poi faceva le voci con il fratello che le allestiva una specie di palcoscenico. Assegnava le voci ai piccoli personaggi che inventava mettendosi un pezzo di carta con cui pareva che ci fosse una ragazza con un fazzoletto in testa. Intratteneva i bimbi. La prima volta che riuscì ad andare sul palcoscenico aveva poco più di 14 anni, scoprì che c'era una filodrammatica dei ragazzi che mettevano in scena uno spettacolo. Diceva: 'Sono invecchiata per la prima volta a quell'età perché misi una parrucca bianca per fare una di 50 anni'. Per una ragazzina a quell'epoca era un'età molto significativa, perché era il personaggio drammatico di una madre. Fu punita per essere andata a fare questo spettacolo. Tuttavia, andava a ripetizioni di inglese a Roma e si fermava sempre, mentre aspettava l'autobus che perdeva regolarmente, davanti al cancello dell'Accademia d'Arte Drammatica. Vedeva i ragazzi dell'accademia e diceva: 'Ma questi sono così allegri e spensierati'. Fece di tutto per entrarci e per imporlo alla propria famiglia, che non voleva assolutamente, convincendoli che fosse un pezzo del proprio futuro. Il nome glielo fecero cambiare i professori, in particolare Sergio Tofano, grande autore e attore nonché suo professore, che le disse: 'Guarda, Maria Luisa Ceciarelli non va da nessuna parte', quindi suggerì questo cambio di nome in omaggio a sua madre che si chiamava Vittiglia, e tagliando un pezzo del suo cognome diventò Monica Vitti, perché Monica era il personaggio di un libro che le era piaciuto. Così cominciò la sua storia in cui alla fine la lasciarono andare al suo destino; non ebbe mai la famiglia con sé".
Un'attrice moderna
Monica Vitti era un'attrice moderna e differente dai canoni dell'epoca. Qual era la caratteristica principale che la rendeva aggiornata rispetto ai tempi? "La fisicità, anche se lei non sapeva di essere così moderna. Si vedeva diversa ma in realtà era avanti perché fu, volontariamente o no, un'anticonformista assoluta nel suo modo di vivere e rappresentarsi, una coincidenza perfetta. Perché si è sempre detto che fu 'il quinto colonnello della commedia all'italiana'? Perché cominciò a mettere mani alle sceneggiature, a raccontarsi e raccontare i suoi personaggi rendendoli più attuali, più normali, più vicini, anche al fatto che una donna potesse decidere di non diventare madre, di non avere figli; era una cosa un po' fuori dai tempi, perché il percorso delle donne era assolutamente legato ad una tradizione. Rispetto alle altre attrici lei non nasceva dalle passerelle di moda e dei concorsi di bellezza, anche perché non avrebbe mai potuto partecipare; aveva un modo d'essere così diverso dalle maggiorate, quelle che, ai tempi, arrivavano dalle passerelle. Lei coincideva con un'eleganza e uno stile diversi. Ad esempio, da ragazza vestiva molto di nero quand'era all'accademia, senza particolare trucco, i capelli li portava normali, spesso raccolti".
L'incontro con Michelangelo Antonioni
"Fu curioso. Lui andò a vederla perché cercava un'attrice che fosse giusta per i film che voleva fare, e un suo aiuto gli disse: 'Vieni a teatro con me, andiamo a vedere quest'attrice'. Antonioni la vide e ne rimase abbastanza folgorato. L'aiuto gli disse: 'Sai che lei è anche una che doppia i tuoi film?'. In effetti, aveva doppiato spesso dei personaggi, prostitute perlopiù. Nel caso specifico era una benzinaia, perché aveva una voce strana, con la quale ebbe sempre un rapporto conflittuale, non le permetteva di entrare in accademia. Doppiava per vivere perché era andata via dalla famiglia, trasferitasi all'estero insieme ai fratelli. Perciò si manteneva facendo anche doppiaggi mentre studiava e cominciava a lavorare. Antonioni insieme al suo aiuto si diressero al doppiaggio e lui la vide da dietro e la ascoltò. Quando finì le disse: 'Ma lo sa che lei ha una bella nuca?', perché aveva dei capelli raccolti. 'Lo sa che potrebbe fare del cinema?'. E Vitti, molto spiritosa, gli rispose: 'Ma sempre di spalle?'. Aveva una grandissima ironia che le permise di entrare nel meccanismo della commedia dopo i famosi quattro film con Antonioni. Si scoprì con una vena un po' d'autrice, perché spesso modificava le sceneggiature, aggiungeva un dialogo o una battuta e interpretava dei personaggi con i quali diventava estremamente consapevole di temi femminili e anche, tra virgolette, femministi, senza saperlo. E la rendevano diversa dalle altre attrice. Ecco la modernità. Le sue storie a volte sono datate, perché in alcune trame con Sordi accadono delle cose che non potrebbero essere messe oggi in una commedia. Ad esempio, le botte che prende sulle dune di Sabaudia, la controfigura era Fiorella Mannoia. Una cosa che oggi non potremmo vedere in tempi di femminicidi, la cultura è diversa. Un film del genere non si sarebbe giustificato, se non con un senso critico. Le storie erano datate ma nella commedia si rideva con quelle botte e lei le usava per far capire che c'era una violenza assurda anche nel rapporto di gelosia che legava le coppie. L'uomo poteva tradire e una donna non poteva innamorarsi di un altro, non era pensabile".
Il rapporto con il pubblico
L'amore del pubblico per Monica Vitti non si è mai spento, nemmeno nel periodo in cui l'attrice visse lontana dai riflettori. Come si spiega questo legame così forte? "C'è un fatto oggettivo. Tanti personaggi che non ci sono più hanno un'immagine lontana dal pubblico. Un paio di esempi? Battisti, che non c'è più da tanti anni eppure le sue canzoni si sentono tutti i giorni o Mina che per scelta non si mostra. Entrambi sono personaggi super presenti nell'immaginario. Paradossalmente l'assenza, in un mondo in cui invece è tutto popolarità perché si è super presenti con i social, è un elemento che aiuta anche con le persone. Io credo che il pubblico sia molto legato ai suoi film. Magari arrivano poco ai ragazzi, perché spesso sono stati poco rappresentati per motivi di diritti nei palinsesti. Ci sono stati dei fattori oggettivi che hanno reso tutto questo difficile ma io credo che la sua storia e l'affetto del pubblico sia rimasto vivo perché è stata molto rispettata anche nella malattia. Sarebbe stato facile per i fotografi appostarsi sotto casa e rubare uno scatto. Non è vero che è stata in clausura per vent'anni, ha vissuto super protetta da suo marito che è stato veramente eccezionale, si dedicò in una maniera assolutamente unica per proteggerla, creando un diaframma che nessuno ha mai violato per un rispetto assoluto. La portavano fuori a volte, con una sedia, la mattina presto. Tutti sapevano dove abitava, anche se sul citofono non c'era scritto ma si sapeva che in quella casa viveva Monica Vitti. Però è stata rispettatissima".
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La potenza del cinema
Nel ricordo collettivo entra in gioco anche la forza del cinema, grazie al quale anche le persone che se ne sono andate restano insieme al proprio pubblico:"Le star del cinema lasciano qualcosa al pubblico che si è molto affezionato e al quale hanno dato tanto, come Alberto Sordi. Se oggi si entra nelle scuole medie, ed è capitato, perché me lo raccontava il figlio di Nino Manfredi, Luca, e fai un test, come ha fatto lui, per capire la popolarità degli attori di quel periodo, chiedendo: 'Mi dite un Alberto popolare che voi conoscete?', il primo nome è Alberto Angela. Il secondo è Alberto Tomba e poi si arriva a Sordi. Forse se fosse stata un'altra generazione tutti avrebbero detto Alberto Sordi perché era l'Alberto 'nazionale'. Significa che tanti personaggi sono stati un po' ignorati, i diritti di certi film hanno fatto dei giri talmente strani per cui a volte presentarli è un problema. Per esempio, a Castiglione sono stata io a consigliare La ragazza con la pistola per Monica Vitti perché è un film di grande attualità, a dispetto dei tempi. Quando la vedi nelle immagini finali sembra una donna che potrebbe essere fotografata oggi in qualsiasi città, non solo a Londra; per com'è vestita senza seguire nessuna moda, per i capelli. Ha un impatto universale. La ragazza con la pistola è uno dei film che sono stati restaurati e quindi recuperati dai festival, non quando lei è scomparsa ma probabilmente quando ha compiuto novant'anni o in occasione di una ricorrenza, e sono stati recuperati. Spesso il problema dei film che non si vedono è anche questo, perché magari ci sono dei diritti che son passati di mano e quindi i film sono difficilmente recuperabili".
Vabé, damme del tu
Laura Delli Colli è stata la biografa di Monica Vitti. Un ricordo personale che custodisce dopo tutti questi anni? "Potrei rispondere quando lei mi chiamò per scrivere il primo libro che abbiamo fatto nel 1986. Ero molto giovane e la prima cosa fu la scelta tramite l'editore, che mi disse: 'Guarda, c'era una rosa di nomi ma vuole che lo fai tu'. Io in effetti l'avevo incontrata da giovane cronista e mi sentii da un lato onorata e dall'altro impaurita ad incontrare una donna che all'epoca era molto forte, era accompagnata dalla leggenda di un carattere particolare e tosto. Ricordo che nemmeno agli esami di maturità provai quell'ansia di salire le scale quando mi diede un appuntamento. Lei disse: 'Scusi, perché vuole scrivere un libro su di me?'. Io la guardai, sgranai gli occhi e dissi: 'No, non va bene così. Io so che sono stata chiamata per un appuntamento'. Allora lei tacque un momento e poi esplose in una grande risata e mi disse: 'Vabbè, damme del tu va. Però dobbiamo lavorare insieme e non devi usare il registratore perché la mia voce non la voglio sentire. Scrivi poco perché ti racconto le cose'. Era una cosa folle, io uscivo dalla porta con la fretta di scrivere tutte le cose che mi aveva detto. Però ho conservato tanti appunti che sono andati in parte nel primo libro decidendo, tanti anni dopo, di raccontare il personaggio. Recupero la prima domanda: mi sono resa conto, rileggendo il libro pubblicato quando più o meno, il caso ha voluto che lei se ne andasse, di aver pubblicato una storia che può servire anche ad una ragazza contemporanea di qualsiasi provincia o periferia che pensa: 'Vorrei fare l'attrice ma sono timida'. Eppure lei ce la fece, ed era una bambina assolutamente chiusa, timida e non aiutata da nessuno. Il senso lo ritrovo nel rileggere quel libro. Alcune ragazze sono venute all'ultima Festa del Cinema e mi hanno detto: 'Mi fai una dedica? Ho letto questo libro, è una storia bellissima'. Penso che forse vada letto anche in questa chiave".