Dietro Last Words di Jonathan Nossiter c'è un concetto, da lui stesso spiegato: "La memoria è affidata al cinema. Il film è una fiaba sul recupero della tenerezza davanti una catastrofe. Una catastrofe che può avvenire anche oggi. Le città sono tristi. Dai ricchi ai poveri. E forse grazie ad una risata, si può stare meglio". Durante il nostro incontro stampa, in una Roma di metà giugno, ingrigita da un rumoroso temporale, abbiamo incontrato il regista, insieme alla protagonista femminile, Charlotte Rampling. Con loro, anche Kalipha Touray, giovane non-attore del film nonché filo conduttore della storia. Una storia che ci porta nel 2085, in un mondo distrutto dalla crisi climatica indotta dall'uomo. Quando tutto è ormai perduto, una speranza. Accesa proprio dal cinema, ritrovato sotto le macerie.
Nel film infatti ci sono diverse sequenze di famigerati film, una scelta spiegata così da Jonathan Nossiter: "Andiamo dai Lumière a Totò, non ci sono film contemporanei. Mi sono fermato ai Monty Python. Volevo inserire sequenze eclettiche. È una sorta di linea. Una linea che rintraccia il cinema che amo. Non sono i miei film preferiti, ma sono tra i più grandi della storia. Non è un elenco". In fondo, Last Words è una dichiarazione d'amore verso la Settima Arte. "Il cinema per me è vivo. Non è qualcosa di feticistico, vuoto, intellettuale. Il cinema è amore. E grazie al cinema puoi innamorarti quattro volte in un giorno", prosegue il regista: "Se vedi Monicelli e Fellini c'è uno scambio. Lo spettatore, quando è disposto a ricevere, è invaso da un dialogo possibile solo sul grande schermo. Nel mio film, gli ultimi sopravvissuti riprendono vita grazie al cinema. C'è stato uno scambio vitale, e anche sul set, con le comparse. Non sono comparse, ma esseri umani... attori, non attori, rifugiati di un campo vicino".
Charlotte Ramplig: "La natura si ribella all'uomo"
Last Words, tra l'altro, è ispirato al romanzo di Santiago Amigorena, Le mie ultime parole. A tal proposito, Charlotte Rampling spiega: "Il mio personaggio è nato grazie al rapporto che ho con il regista. Ma anche grazie alla comprensione che ho nei confronti del mondo, e di quanto l'uomo stia maltrattando il pianeta. Ero coinvolta da subito, e il mio personaggio emerge un poco alla volta. Nel film si vede la fine del mondo, e con il sorriso del mio personaggio mettiamo in risalto quanto l'amore può arrestare la fine di tutto. Girare un film così permette di lasciarti andare. E poi... il pianeta non si distruggerà. Distruggerà noi molto prima...".
Nel cast, anche Nick Nolte e Alba Rohrwacher, che hanno affiancato Kalipha Touray: "La presenza di Kalipha era autentica, e dunque ha cambiato il film. Bisogna sentire empatia per essere autentici. Ma lui era la storia, era il film. E quindi non ha avuto bisogno di fingere", spiega la Rampling. Ma che esperienza è stat per Touray? "Non facile, il mio primo film. È stato un po' come il primo giorno di scuola. Non sapevo nulla. Ero confuso, e guardavo ciò che gli altri grandi attori facevano".
L'urgenza di un momento buio
Come spiegato da Jonathan Nossiter, che avrebbe dovuto presentare il film a Cannes 2020, Last Words è un film che si rifà all'idea di artigianalità: "Ho seguito il montaggio, le riprese... sono gesti artigianali. E ora che faccio l'agricoltore capisco la mia indole. Amo lanciare delle cose, e vedere come reagiscono. Che sia una pianta o un attore. Sempre in base al contesto. Ho immaginato dei personaggi che non avevano mai visto un film, oggi poi che siamo tutti videomaker a interpreti. Sono poche le persone che hanno un rapporto sacro con il cinema".
Cosa lo ha spinto a girarlo? "C'è bisogno di un'urgenza. Lo stato ambientale, e la ricerca di un nuovo contatto con gli altri. Il Covid ha cambiato tutto. Abbiamo smesso di essere rispettosi, di essere civili. Di essere teneri tra di noi. Manca ridere e piangere insieme. Questo toglie molto, e quando si guarda un film sul computer è rinchiudere l'arte in un concetto limitato. Il cinema è un atto culturale, ed è essenziale per combattere la brutalità dei nostri tempi. Abbiamo dei governi che stanno emarginando la cultura, la salute, il cibo. Il motore della fine del mondo è questo. Abbiamo paura di toccarci, di conoscerci. Il Covid ha dato un colpo al cinema e ai nostri scambi. Vivo tra il Lazio e l'Abruzzo, sono diventato agricoltore a tempo pieno. Ora non ho voglia di tornare a fare cinema, come agricoltore sono molto felice". Confermiamo: ci mostra davvero fiero e sorridente le sue mani da lavoratore.