L’abbaglio: Roberto Andò e il (suo) western per rileggere le illusioni del Risorgimento

Il regista ricompone la squadra de La stranezza e riporta sul set Servillo, Ficarra e Picone. Con loro racconta l'epopea dei Mille in Sicilia. Il risultato? Buona prospettiva, ma a volte sbilanciata. In sala dal 16 gennaio.

I protagonisti de L'abbaglio

La Sicilia è "un popolo che si rivela soprattutto nei silenzi e nelle parole che non dice". Gattopardiana, appassionata, indolente è la vera protagonista della nuova impresa di Roberto Andò, L'abbaglio, una digressione storica sulla spedizione dei Mille. Un affresco, che a partire da un episodio poco noto del nostro Risorgimento, riapre il dibattito sulla questione meridionale e su un Sud tradito dai compromessi a cui gli ideali di giustizia dovettero adeguarsi per realizzare un'unità zoppicante e malconcia.

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Una scena di combattimento tratta dal film L'abbaglio.

Il regista di Viva la libertà! riunisce qui il trio di interpreti (Ficarra, Picone e Toni Servillo) che aveva sapientemente lanciato ne La Stranezza, di cui L'abbaglio rappresenta quasi un seguito ideale con qualche concessione in più al registro drammatico.

Tra western e ritratto storico

Scritto con Ugo Chiti e Massimo Gaudioso, che avevano affiancato il regista anche nell'universo pirandelliano de La stranezza, L'abbaglio rielabora con elementi di fantasia una vicenda reale della spedizione dei Mille, rimasta a lungo nell'ombra, ma che nel 1963 si era meritata un racconto di Leonardo Sciascia. Giuseppe Garibaldi (Tommaso Ragno) inizia da Quarto l'avventura dei Mille circondato dall'entusiasmo dei giovani idealisti giunti da tutte le regioni d'Italia, e con il suo fedele gruppo di ufficiali, tra i quali un colonnello palermitano, Vincenzo Giordano Orsini (Toni Servillo).

Tra i soldati reclutati ci sono anche due siciliani, Domenico Tricò (Salvatore Ficarra), un contadino emigrato al Nord, e Rosario Spitale (Picone), un giocatore d'azzardo incline a barare e in fuga dai debiti di gioco. Ai due inconsapevoli malcapitati di unire l'Italia non importa un bel nulla, la loro unica preoccupazione è tornare a casa. Dopo lo sbarco a Marsala la bizzarra coppia non ci pensa due volte a darsela a gambe; per i due disertori inizia così un vagabondaggio alla ricerca di letti di fortuna, tra paesini abbandonati e conventi dal sapore boccaccesco.

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Ficarra e Picone nella scena dello sbarco a Marsala nel film L'abbaglio.

Al loro peregrinare si intrecciano le vicende delle truppe garibaldine, che dopo il primo duro scontro con l'esercito borbonico appaiono in evidente inferiorità numerica. In queste condizioni è quasi impossibile fare breccia nella difesa nemica e arrivare a Palermo, ma Garibaldi escogita un piano ingegnoso: una manovra diversiva affidata al colonnello Orsini, che con uno sparuto e improbabile manipolo di feriti e soldati dovrà far credere al comandante svizzero dell'esercito regio, Jean-Luc Von Mechel, che Garibaldi stia battendo in ritirata verso l'interno dell'isola.

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Toni Servillo in una scena del film

Della claudicante colonna Orsini fanno parte anche Domenico e Rosario, i due disertori sopresi durante la loro fuga e riportati tra le fila dell'esercito. Inizia così un viaggio surreale tra beffatori e beffati, travestimenti e battaglie epiche in una Sicilia che qui diventa terra di frontiera. Non è un caso che Andò lo abbia definito il suo western, dove si diverte a citare John Ford, solo che al posto del lontano Ovest si staglia la campagna siciliana attraversata dai canti popolari. La abitano i volti di baroni, briganti, contadini, picciotti illusi dalle promesse, madri e mogli che piangono i propri giovani figli e mariti caduti in nome di un'ideale di libertà destinato a essere tradito.

L'abbaglio: la commedia e l'epopea delle illusioni

Seppur intimamente legato al film precedente più di quanto non si possa o voglia immaginare (la sicilianità, il lavoro sulla parola) L'abbaglio si allontana dalle istanze letterarie de La stranezza per avventurarsi nel territorio più complesso del ritratto storico-politico. Strutturalmente ne rappresenta la versione più sbiadita, sacrificando l'equilibrio lì tanto riuscito tra comico e drammatico e qui più sbilanciato a favore di una solennità vuota, tutta consegnata ai monologhi di Toni Servillo.

È a lui che Andò delega la dimensione più riflessiva e tragica; Orsini è il luogo del dubbio e la sua parola il simulacro di tutto ciò che sarebbe potuto essere e non è stato. Lui, che in gioventù a Palermo ha imparato cosa siano "la giustizia e la verità umana", si ritrova adesso a fare i conti con un popolo che "ha perso ogni speranza di cambiare il corso della storia, i siciliani non credono più in niente".

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Toni Servillo in una scena de L'abbaglio

A Ficarra e Picone riserva come sempre il registro comico: il loro viaggio è quasi un'epica del ritorno a casa, alle radici di un Sud stropicciato dalle illusioni. Inconsapevoli, piccoli e beffardi antieroi custodiscono in sé la capacità di esplodere in tutto il loro dramma di personaggi disillusi travolti dal destino della grande Storia. Resta la lezione della commedia all'italiana amarissima e derisoria epopea dei vizi e delle virtù di un paese (l'Italia) di folli, cinici, idealisti, furbi, generosi e appassionati. E allora non rimane che aggrapparsi ad un'unica speranza di riscatto, facendo proprie le parole che Orsini rivolge al suo sottotenente: "Voi siete giovane, tenetevela stretta quella speranza di cambiare il mondo".

Conclusioni

Con L’abbaglio Roberto Andò riunisce la squadra de La stranezza: tornano gli sceneggiatori, Ugo Chiti e Massimo Gaudioso, e il trio di interpreti principali, Toni Servillo, Ficarra e Picone. Ne viene fuori un’opera più complessa della precedente: se lì comico e drammatico servivano a ricreare il mondo pirandelliano, qui l’alternanza dei due registri ha il compito di restituire l’affresco storico politico di una pagina della nostra storia risorgimentale, lo sbarco dei Mille a Marsala. Dentro trovano spazio una rilettura amara degli ideali romantici di giustizia e libertà e il ritratto di un Sud che vide morire quelle illusioni. Un western che trova nella commedia all’italiana il suo compimento.

Movieplayer.it
3.0/5
Voto medio
4.0/5

Perché ci piace

  • La rilettura del Risorgimento da una prospettiva diversa da quella romantica con cui i libri di storia ce l’hanno sempre raccontato.
  • L’omaggio alla Sicilia, come terra di frontiera protagonista di un western sui generis.
  • Ficarra e Picone si rivelano ancora una volta la scelta giusta, interpreti perfetti di una comicità amara.
  • Il racconto di un Sud e delle illusioni perdute.

Cosa non va

  • L’equilibrio tra comico e drammatico è spesso sacrificato a favore del secondo, con uno sbilanciamento che taglia nettamente il film in due parti non sempre in grado di dialogare tra loro.