Arriva sulla sedia a rotelle, per un qualcosa di imprevisto e ancora non del tutto noto che gli è accaduto negli ultimi giorni. Ivano De Matteo si mescola agli altri presenti, non viene accolto dai soliti applausi, entra nella sala della Casa Del Cinema di Roma dove il suo nuovo film, La vita possibile, viene presentato alla stampa, e osserva. Con quel suo sguardo attento e il sorriso appena accennato che fa capolino dalla barba.
Dai tempi di Velocità massima poco è cambiato. Occhiali, qualche ruga, ma sempre lo stesso fisico prestante e l'esprimersi genuino. "Non doveva essere un film di cento minuti fatto di botte e di sangue, volevo raccontare il dopo. Quando abbiamo deciso di scrivere questa sceneggiatura, mia moglie e io venivamo da tre film precedenti che avevano una storia di famiglie apparentemente normali che poi andavano in distruzione. Ho voluto fare il contrario: da una famiglia distrutta, andare in ricostruzione".
Una nuova vita è possibile: il messaggio di speranza
La prima parola che ci è venuta alle labbra una volta avuto il microfono è stata "Grazie". Perché La vita possibile usa finalmente il linguaggio giusto. Non ci sono termini come "amore" o "gelosia", non si parla di raptus di follia o di liti degenerate. La vita possibile affronta il tema della violenza domestica come va fatto: guardandolo dritto in faccia e chiamandolo con il suo nome. "Una mia amica un giorno ci ha raccontato tutte le violenze subite in casa in circa dieci anni", spiega Ivano. "È iniziato il lavoro di documentazione". De Matteo racconta di molte donne incontrate, di centri antiviolenza visitati e dai quali ha ottenuto documenti e carte, della loro forza "privata, un grande coraggio, un ruolo importante" nel cercare di non chiudere, per essere lì, ad ascoltare chi non ha voce. A volte si emoziona, si confonde, passa da un discorso all'altro, tante sono le cose che vorrebbe dire.
"Sapete che se il marito da cui una donna è scappata chiama il Comune, loro devono dare l'indirizzo di sua moglie? Sapete che se una donna fa una denuncia, l'uomo è libero di andarla a prendere e lei se lo ritrova fuori casa, a 200 metri di distanza?". Racconta le assurdità di un sistema giudiziario che definire lacunoso è un eufemismo, si agita, gli vengono le lacrime agli occhi e le parolacce alla bocca. Quelle che certi uomini meritano, quelle e null'altro. "Come continua questa storia dopo il finale non lo sappiamo, magari poi il marito la trova e la ammazza a martellate, ma io volevo raccontare altro, dare il segnale che si può ritrovare la speranza".Non si nasconde, Ivano De Matteo. Scherza amaramente sul suo fisico prestante, dice che "Gli uomini grossi non è detto che non sentano le cose. Io le sento, eccome!". Si commuove e fa commuovere, parla di famiglia, ma in senso allargato. "Ho voluto chiudere questa trilogia iniziata con La bella gente. Ma qui c'è un intento diverso: là andavo a provocare, c'erano dei dubbi che ponevo a me stesso. Non mi sono mai dato delle risposte e quindi le ho poste al pubblico. Qui volevo fare un film di sentimenti"
Il punto di vista del minore
Il film si concentra sul punto di vista di Valerio (Andrea Pittorino), il figlio di Anna (una Margherita Buy le cui interpretazioni non hanno più bisogno di aggettivi), che viene portato via dalla madre, lontano dal padre violento, in un'altra città, da un'amica "incasinata" (Valeria Golino, l'eccezionale lato leggero del film). "Credo che il bambino sia il modo per uscire fuori da questa donna e non dare dei tratti solo femminili al racconto. Il film voleva essere riempito dalle emozioni di tutti", spiega Valentina Forlan, partner di De Matteo nella vita e sul lavoro e co-autrice di questa storia magnifica. "Volevamo raccontare tre cose: la violenza di un uomo, l'amicizia di una donna e l'amore di un bambino. Il bambino è quello che subisce, oltre alla madre". E il film è una speranza per le tante donne che non lasciano il marito violento per paura di nuocere al figlio, che non si rendono conto che ciò che più conta è portarlo in salvo. "Certo che ho voluto mandare un messaggio a quelle donne!", ci risponde De Matteo. "Senza entrare troppo nel merito del perché la donna rimane in un rapporto violento, perché è qualcosa alla quale non vengo a capo. A volte c'è il senso di colpa delle donne che non si rendono conto, che si chiedono se hanno fatto bene ad allontanare il bambino dal padre. Per assurdo, un bambino può anche rifiutare la madre, arrivare a odiarla. E solitamente ha bisogno di lei, si mette anche a rischio per attirare l'attenzione. Ho lavorato molto sui passaggi psicologici. A volte un bambino va in confusione, non capisce certe scelte e il dubbio può ripercuotersi sulla madre".
"La sensazione di sbagliare ogni cosa che fa è il sentimento portante del mio personaggio", interviene Margherita Buy, mai vista prima così energica e decisa nelle risposte. Quando si tocca l'argomento della violenza sulle donne, il suo sguardo si accende di una luce che chi scrive non le ha mai visto prima. "Ho incontrato persone che subiscono delle violenze nel quotidiano, nel luogo che dovrebbe essere per loro il più sicuro: la famiglia. Conosco bene il problema, quindi è stato per me molto liberatorio".
L'immedesimazione totale di Ivano De Matteo
"Come autore sto dentro ai personaggi, tutti, e quindi a volte sul set sono crollato". Perché La vita possibile si apre con una scena molto forte, l'unica in un film fatto di delicatezza e speranza. E il ruolo più difficile, quello dell'infame picchiatore, Ivano se lo è voluto sentire addosso. "Ci sono delle frasi nel film che sono vere. La lettera che legge la donna. Il ruolo che faccio io... quelle orrende frasi che lui le grida sono prese dalle trascrizioni di alcuni atti processuali, ma sono tagliate, non potevo farvele sentire tutte. Sarebbe stato troppo. Basta già che un uomo dica alla sua donna 'non vali niente' mentre la sta malmenando per capire che quello un uomo non lo è. A me già quello fa male, per me è già abbastanza duro. Se avessi messo di più, avrei ottenuto l'effetto contrario. Perché poi la gente si scherma davanti al vero orrore".
E ancora si commuove, mentre racconta, mentre rivive nei suoi occhi i racconti delle donne di cui ha raccolto le confidenze. Nel confessare la violenza subita, ci sono sempre anche intimità e pudore. E se Ivano De Matteo è riuscito a cogliere questi aspetti è perché queste donne deve averle capite davvero. "Quando fai un certo tipo di film, resti anche abbastanza scosso. Queste donne vengono abbandonate dalle istituzioni. C'è una solitudine prima del dramma, poi c'è una chiusura, un isolamento. A volte basta una parola, un consiglio, anche sbagliato, ma serve sapere che c'è qualcuno che ti ascolta. Dobbiamo cominciare a ricreare un tessuto sociale che si accorga dei disagi dell'altro, che riconosca quanto la violenza sia orribile".
Il regalo più grande Ivano lo fa quando parla degli uomini: "La lettera che il marito scrive ad Anna è vera. Molte donne cadono nei tranelli di un uomo che sembra pentito. In quel momento l'uomo ci crede davvero, è come un grande attore o una sorta di schizofrenia. Le lettere che ho letto sono drammatiche, si è portate a cedere". Ma come dice Valeria Golino, "In questo film ciò che manca è proprio l'odio, è come se non ci fosse". Perché Ivano De Matteo ha capito che ciò di cui c'è davvero bisogno è la speranza. Di una vita nuova, diversa, difficile, ma possibile.