Una madre single, giovane quanto basta, due figli ancora piccoli. Un marito che se n'è andato, un lavoro che lascia sufficiente tempo libero, forse troppo per pensare, un'amica del cuore che ancora si diverte alla grande e non si impegna mai. Una famiglia un po' stramba, tra madre e suocera che definire particolari è dir poco. Il tutto classificabile sotto l'espressione "radical chic". Questa è la storia di Dora, ricalcata fedelmente dal romanzo da cui il nuovo film di Max Croci è stato tratto, a sua volta derivato dal blog TiAsmo di Enrica Tesio. Una Ambra Angiolini in parte, sbilanciata ma non più di tanto, trafelata ma mai troppo, in una crisi interiore che non diventa mai mistica o destabilizzante. Dopo Poli opposti e Al posto tuo, Max prova a fare il tris e realizza una commedia corale, ma il cui ago della bilancia pende tantissimo verso il femminile. E mentre l'ex marito se ne va a Milano per lavorare, Dora resta nella sua Torino. Lavora sì, ma può permettersi di scegliere. Cura i social per il Museo Egizio di Torino, un'occupazione che normalmente non permette di mantenere due figli, ma almeno ha tempo per loro e soprattutto resta in un "ambiente intellettuale", circondata da persone altrettanto radical chic e da una madre che ha virato la sua esistenza alla natura-patia.
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Un coro sì, ma con tanti soprani
La regola del mercato odierno, per i film italiani, vuole le commedie corali. Ecco che allora Ambra è sicuramente la protagonista di questo film (a partire dalla locandina con tanto di ciuccio ammiccante alla mamma desiderabile), presente com'è praticamente in ogni scena, ma che poi tutto un corollario di altri personaggi le si affianca, e nomi in voga del cinema e della TV fanno bella mostra di sé nel cast. La commedia corale, come da stampino, è servita. Ma come dicevamo, l'ago della bilancia pende parecchio verso il lato rosa: le donne sono descritte di più e meglio - come ha confessato lo stesso regista - e coprono una gamma più vasta come "tipologia". L'unico uomo un po' fuori dal coro qui è Simone, interpretato da Edoardo Pesce, eterno bambino, un po' fuori di testa, bidello e babysitter, fidanzato con la altrettanto radical chic amica del cuore di Dora, Sara, una Carolina Crescentini che poteva essere utilizzata molto di più e meglio.
Non si trascurano le donne un po' più "stagionate", con un affresco di mamma & suocera altrettanto archetipico: una, Pia Engleberth, che dopo aver fatto il Sessantotto con i soldi in tasca è diventata una fanatica ambientalista, l'altra, Giuliana De Sio, che barcolla ma non molla, sempre con il push up a strizzare un decolleté non proprio disteso, e a rimorchiare uomini molto più giovani di lei. La scena più divertente però è quella delle "mamme a grappolo", farina del sacco della blogger Enrica Tesio senza dubbio: solo una donna può dare una classificazione tanto lucida e caustica di altre donne, veritiera quanto basta per far ridere anche i maschietti fino ad allora ignari.
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Archetipo o cliché?
Il guaio della nostra commedia non è tanto quello di ricalcare sempre lo stesso schema narrativo. Le polemiche in atto sull'innegabile verità che ogni film sia uguale a mille altri sono giustissime, eppure non sta lì ciò che paralizza il nostro cinema in una fissità che non lo fa progredire. La parola è "autoreferenzialità". Quel non saper mai parlare al pubblico, tenerlo lontano, a distanza, anche con lo scherno a volte. Dora è un personaggio volutamente e dichiaratamente radical chic, e su questo non si fa la minima ironia nel film. È lontana anni luce dalle tante madri separate o divorziate in Italia, non genera alcuna empatia in tutte quelle donne che crescono i figli quasi da sole. E come lei, tutto il corollario di personaggi, che più che archetipi sembrano macchiette, manovrati da un burattinaio che usa sempre le stesse battute, non scalfisce nemmeno graffiandolo il sapore di un racconto troppo epiteliale. Per divertire bisogna divertirsi.
E appare evidente che il cast fosse affiatato, che il regista sia contento della sua squadra. Però forse questa volta un'occhiatina oltre la quarta parete non avrebbe guastato, perché non si fa spettacolo se non per un pubblico. Poi possiamo raccontare della macchina da presa vivace, di quanto la camera a mano sia narrativa perché rispecchia le inquietudini di Dora... ma se quelle inquietudini non trovano un riscontro nella realtà attuale che vorrebbero descrivere, il messaggio resta chiuso in una bottiglia che nessuno troverà mai.
Movieplayer.it
2.0/5