La verità vi prego sulla storia
Torna sui grandi schermi il cinema d'impegno che, raccontato e configurato con registri stilistici, attraverso rappresentazioni visive e dietro schemi narrativi diversi, cattura l'attenzione del grande pubblico e degli addetti ai lavori e prova a informare i giovani. Dopo il meritato successo di Gomorra, trainato dal bestseller italiano più conosciuto al momento in tutto il mondo, e gli immeritati polveroni sollevati intorno a Fortapàsc, il cinema riscopre e rivalorizza la cronaca, le dà un valore aggiunto espressivo e l'attualizza nello sguardo dello spettatore. Stefano Incerti è un regista poco presente sulle scene nazionali perché le sue opere spesso l'hanno arginato dai riflettori del giornalismo (l'ultimo film, L'uomo di vetro, risale a due anni fa) con lo stesso fervore con cui la sua capacità di raccontare storie tragiche quanto vere ha scavato nella mente di chi ha aperto gli occhi oltre la semplice durata filmica. Complici del silenzio è un film di denuncia, oltre che d'impegno, e travolge il pubblico con la sua asciuttezza e la sua assoluta mancanza di formalismi convenzionati, che avvicinano spesso film del genere a uno stile documentaristico o televisivo che li privano del valore artistico e gli sottraggono quelle potenzialità emotive del grande cinema. Lo sconvolge con le sue verità senza il ricorso a una fenomenologia visuale usata e abusata né a un sensazionalismo emozionale deplorevolmente sciorinato.
La storia nella Storia di Complici del silenzio è quella dell'Argentina tra il 1978 e il 1983, quando l'ennesimo regime totalitario, iperviolento e offuscato di fronte al popolo e agli immigrati italiani, s'irradiava con potenza e prepotenza impareggiabili. La voce di chi seguiva ancora le tracce sempre più oscurate della democrazia veniva sedata nel sangue della morte senza distinzioni di sesso, di età e di nazionalità. Il giornalista sportivo Maurizio arriva, con il collega Ugo, per seguire i Mondiali di calcio. L'atmosfera inizialmente goliardica del protagonista, tutto preso dalla propria relazione sentimentale complicata, dall'occasione di lavoro che lo entusiasma e dallo spirito avventuriero dell'esploratore in terra straniera, cede lentamente il passo a quello che i boati dello stadio, dei fasti sportivi e nazionalisti mediatizzati non permettono di sentire. Quando Maurizio approfitta per rivedere alcuni parenti italiani che si sono trasferiti in Argentina e parla con il cugino Carlos, capisce che la realtà visibile sotto i propri occhi è solo un frammento di quella che il governo ha reso invisibile. L'incontro con Ana e la passione quasi animalesca che lo legherà alla donna, misteriosa e apparentemente insensibile, lo porteranno a uno scontro durissimo con la realtà ignorata perfino in patria. La dittatura minaccia il popolo che non si piega alla violazione dei diritti umani e ammazza i gruppi di guerriglieri che protestano contro la scomparsa della libertà di espressione. Le gabbie nascoste del potere inscatolano uomini e donne e non sempre li rilasciano in vita.
Incerti dirige con una certa sicurezza ma senza alcun piglio ostentativo una pellicola di forte presa, non solo di coscienza. Il suo è uno spaccato storico descritto con progressivo incutere apocalittico, orchestrato in un equilibrato ritmo d'azione e gestito magistralmente dai suoi attori. Il regista ci cala nella infernale bolgia argentina degli anni dei desaparecidos esattamente come il protagonista, un bravissimo Alessio Boni che rinasce al cinema dopo essere stato "dimensionato" dalle fiction per la tv, prende consapevolezza di un contesto di cui non aveva assolutamente conoscenza. Nello stesso modo parallelo gli eventi, drammatici e insanguinati, travolgono e sconvolgono gli spettatori e il protagonista, l'uomo di carta che si fa uomo nel dolore dell'anima e della carne flagellate. Le distorsioni iniziali, che alteravano la vista del giovane e superficiale inviato sportivo, soprattutto del suo segugio Ugo, personaggio che Giuseppe Battiston interpreta alla perfezione con una lubricità leggera quasi alla Ugo Tognazzi, si sfumano e permettono di mettere a fuoco una dimensione, di coppia ma prima di tutto corale, che ancora oggi la memoria e l'immaginario designano alla censura, all'omertà e alla disinformazione cui il silenzio del titolo fa palesemente riferimento. Le storture che indebolirono il formarsi dell'opinione pubblica hanno allo stesso tempo impedito la genesi di una chiarezza di cui le sole madri di Plaza de Mayo furono, e sono, portavoce. Debole l'approccio critico del regista che se da un lato denuncia le atrocità disumanizzate del regime di Videla, che martoriò trentamila vittime e tramortì un numero imprecisato di persone, e accenna a certi compromessi politici criticabili tra il governo italiano e quello argentino, dall'altro si pone in una posizione del tutto neutrale nei confronti della Chiesa, del suo mancato intervento e dei suoi rapporti con le maestranze militari. Soffocando uno schieramento più morale che ideologico, il regista, comunque dotato di grande sensibilità e di grazia e delicatezza espressive, depaupera la sua opera di una visione totalizzante, aspettativa che lo spettatore all'inizio crede vedrà realizzata nello sciogliersi dell'intreccio narrativo. Probabilmente Incerti ha deciso di lasciare al suo pubblico qualcosa di non detto perché non si accontentasse di un finale a sorpresa che va proprio incontro alle richieste di un necessario senso civico pasoliniano. Proprio questo silenzio, che sigla le più dure e crude scene del film (e qui Incerti non ha risparmiato un vorace realismo della messinscena) e si contrappone alle lancinanti grida di dolore, rimbomba infine nelle menti di chi si alzerà dalle poltroncine con la volontà d'interrogarsi e di oltrepassare quello sconforto che il passato e le sue immagini riportano in luce, ma si stagliano in un orizzonte di velata speranza.