Se oggi i generi cinematografici non esistono più, l'horror continua ad essere la cornice migliore per raccontare l'ambiguità umana. Lo anticipava lo stesso Paolo Strippoli, alla vigilia della presentazione del film alla Mostra del Cinema di Venezia, quanto "l'horror non fosse solo un dispositivo di tensione, bensì uno spazio simbolico per racontare fragilità e identità". Ecco, da questo spunto, su sceneggiatura firmata insieme a Jacopo Del Giudice e Milo Tissone, arriva La valle dei sorrisi. Non c'è dubbio sia un film-rivelazione, per diametro, scrittura e, perché no, anche per via del finale, indicativo di un terrificante momento storico, in cui il dolore viene estromesso dalle nostre vite tramite una ridondante atrofizzazione emotiva.

Di questo, in fin dei conti, parla La valle dei sorrisi: il professore di educazione fisica Sergio Rossetti (Michele Riondino) prova a scacciare il trauma della morte di suo figlio fuggendo a Remis, paesucolo sperduto tra le montagne. Qui, un paio di decenni prima, si è consumata una terribile tragedia comunitaria: un treno è deragliato uccidendo decine di persone. Tuttavia, il prof Rossetti scopre che a Remis sono tutti arzilli e felici. Al contrario suo, solito scolarsi diverse bottiglie di whiskey nel bar gestito da Michela (Romana Maggiora Vergano). Proprio Michela, colpita dalle ombre lunghe del professore, consiglia lui di rivolgersi a Matteo Corbin (Giulio Feltri), introverso studente della sua classe. Il ragazzo, la cui vita è essenzialmente gestiti dal padre Mauro (Paolo Pierobon), sembra avere poteri taumaturgici: con un abbraccio riesce ad assorbire i dolori delle persone, regalando una coadiuvante e irrinunciabile beatitudine.
La valle dei sorrisi: tra dolore e fisicità
Sono due gli elementi che, più di altri, possono spiegare al meglio La valle dei sorrisi. Da una parte c'è la fisicità, e un ritorno al contatto. Lo stesso Strippoli, durante la nostra intervista, spiegava che "gli abbracci sono una diretta reazione alla distanza virtuale. L'abbraccio è un simbolo anti-social". Quella fisicità poi sfruttata dal professor Rossetti, ex campione di judo che, attraverso lo sport, prova a scalfire l'oscurità di Matteo, avvicinando il film ad un romanzo di formazione disfunzionale e, nemmeno a dirlo, orrorifico.
L'altro tema è chiaramente il dolore, da scacciare ricercando un'effimera dimensione asettica, in cui l'emotività viene assorbita da qualcun altro, come nel caso del film, o da qualcos'altro. Infatti, stessa cosa avviene con i social, che Giulio Feltri, intervistato, definisce come fossero "Una grotta dove ti puoi nascondere se stai male. Questo avviene a Remis nei confronti di Matteo. L'abbraccio nel film si può definire come una scappatoia, nel quale butti tutto su una persona sola".
La spiegazione del finale (attenzione, spoiler!)

Ed è qui, in questo continuo scambio fisico, abbraccio dopo abbraccio, che La valle dei sorrisi compie il salto in avanti, aprendosi all'esplosivo finale. Due punti innanzitutto per delineare al meglio la spiegazione: scopriamo che il figlio di Sergio è morto suicida, impiccandosi. Un'immagine che il professore fatica a dimenticare. Qui l'assunto è importante: inutile scacciare il dolore, la catarsi è vitale per assorbirlo e metabolizzarlo. L'altra scoperta che arriva alla fine del film riguarda Matteo, che non è il figlio naturale di Mauro Corbin, essendo stato trovato dall'uomo proprio tra le macerie dell'incidente ferroviario. Il ragazzo, che attraverso l'amicizia con il professor Rossetti muove un moto di ribellione alle regole imposte (è venerato come fosse un santo), si sentirà ad un certo punto abbandonato dall'insegnante, rivelando la sua vera, demoniaca natura.

Il suo corpo, nell'ultima seduta, verrà letteralmente consumato dai cittadini di Remis, travolti dal dolore e in crisi d'astinenza per non aver più ricevuto abbracci. Il professore, che sembra aver ormai accettato il proprio trauma, liberandosi di fatto dall'"incantesimo", decide di lasciare Remis, aiutando però Mauro a ritrovare Matteo. Il ragazzo, immobile e spettrale, è stato portato dai cittadini nella stazione ferroviaria abbandonata, il suo luogo "prediletto". Il "padre", deciso a chiudere la questione, rendendosi conto della vera indole del ragazzo, proverà ad ucciderlo, venendo però a sua volta ucciso da Sergio Rossetti. Un colpo di scena funzionale, che arriva dopo un dettaglio da cogliere: il professore torna a rivedere suo figlio morto penzolare davanti ai suoi occhi (c'è il riflesso nella pupilla). Il dolore è troppo intenso e troppo potente da poter essere sopportato, spingendo Sergio ad "abbracciare", di nuovo, quella scorciatoia emotiva annientando i propri sentimenti. Un finale tutt'altro che ottimista, ma anzi spietato, lucido e, a guardar bene, profondamente contemporaneo.