Due ottimi interpreti come Antonio Folletto e Catherine Spaak, un impianto visivo ricercato e al servizio della storia, un rapporto di amicizia forte, sincero e autentico. Questi gli ingredienti de La vacanza, il film di Enrico Iannaccone in sala dal 3 settembre, l'incontro emozionante di due personaggi tormentati sullo sfondo di un'estate che sta finendo. Abbiamo raggiunto il regista per una chiacchierata sulla realizzazione e i temi del suo film (di cui abbiamo parlato nella nostra recensione de La vacanza), facendoci raccontare la scelta dei due ottimi interpreti, le peculiarità di una scrittura che deve affrontare il difficile tema della malattia, e l'approccio alla messa in scena e al cinema in generale.
Scrivere la storia di Carla e Valerio
Partiamo dal principio: come nasce l'idea per La vacanza?
Pur muovendo solo parzialmente da un'esperienza personale, l'idea del film nasce dall'osservazione dei rigogliosi frutti che paradossalmente nascono nel momento in cui due individui condividono la stanchezza ed il silenzio. Venendo a mancare ogni maschera e non avendo la forza di giocare a qualsivoglia guerra dialettica, la nudità emotiva prende il sopravvento. Ed è lì che si annida la verità del singolo.
Il cuore del film sono i due protagonisti. Hai scritto i personaggi già con i rispettivi interpreti in mente o glieli hai cuciti addosso in un secondo momento?
Catherine era una scelta inevitabile. Non avrei potuto che scrivere il ruolo di Carla pensando a lei, in quanto simbolo di una solenne leggerezza capace di illuminare anche le più oscure profondità. Il complesso ruolo di Valerio - caratterizzato da una molteplicità di registri umorali - andava necessariamente affidato al miglior attore della sua generazione che, per mia somma fortuna, risponde al nome di Antonio Folletto.
A cosa bisogna stare attenti quando si scrive una storia che racconta la malattia? Quali le trappole da evitare?
Il primo rischio, a mio personalissimo avviso, è quello di trattare una materia di per sé scivolosa con i guanti ruvidi del pietismo. La malattia, in quanto dura realtà concreta, esige concretezza ed oggettività nell'affrontarla. Tanto una granitica durezza quanto una pietosa e lacrimogena delicatezza corrono il rischio di non rispettarla e, soprattutto, di affrontarla nel modo più errato senza mai centrare il punto. Del resto, il senso primigenio di pietas è ben altra cosa rispetto a quello spurio di pietà.
Il lavoro sul set
Le location de La vacanza sono perfette per amplificare il senso di malinconia della storia, i paesaggi sembrano rispecchiare la condizione mentale dei personaggi. Come le hai scelte?
L'idea di girare in Cilento mi è apparsa da subito giusta per raccontare una storia di solitudine e progressivo distacco dagli "altri". L'incontro tra i protagonisti avviene in un luogo di vacanza generalmente sfruttato dal turismo per un breve segmento di tempo. Un utilizzo ludico e temporaneo della natura per poi tornare alla propria routine quotidiana. Valerio e Carla invece si conoscono e riconoscono in quella stessa natura solo quando essa torna alla sua silente ed incorrotta maestosità. Come due inservienti che, quando il pubblico, la compagnia e l'orchestra sono ormai andati, si godono la grandiosità di un teatro d'opera vuoto.
Mi piacciono molto le scelte che fai sulla messa in scena e la composizione dell'immagine. È un lavoro che nasce sul set o già in fase di scrittura?
Nasce in fase di scrittura per due motivi reciprocamente speculari: da un lato perché, quando scrivo, non riuscirei a non sviluppare contestualmente lo storyboard; dall'altro perché ogni singola inquadratura deve essere, secondo me, un quadro significante atto a veicolare in maniera precisa il concetto che sottende. Va da sé che si possa talvolta dar spazio all'intuizione del momento aggiungendo un'inquadratura non prevista.
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Il cinema di Enrico Iannaccone
Quali sono i tuoi modelli e le tue ispirazioni, sia dal punto di vista della scrittura che della messa in scena?
Più che di modelli parlerei di "pensieri felici". Il cinema di Luis Buñuel, Ingmar Bergman, Michelangelo Antonioni e Marco Ferreri (per citare solo i primi della lista) ha sempre rappresentato per me una fonte inesauribile di studio, tanto nell'uso dell'immagine quanto nella profondità e nella struttura della scrittura.
Prima de La vacanza ti eri dedicato al mondo dei documentari. Cosa ti ha spinto a tornare su una storia di finzione?
Non essendovi la possibilità storico-economica di realizzare uno o più film all'anno, tra un lungometraggio e l'altro mi diverto a realizzare documentari. È un linguaggio che adoro perché permette di "giocare" in modo diverso con la realtà, non mediante la terzietà della finzione ma mediante la manipolazione immediata del cosiddetto mondo tangibile.
Stai già lavorando a qualcosa per il futuro? Progetti in cantiere?
Molti, nella speranza di realizzarli con la continuità desiderata. Il motto è: "il prossimo dev'essere più bello del precedente e più brutto del successivo".