"Niente è originale. Prendete ciò che vi ispira, o alimenta la vostra immaginazione. [...] Impossessatevi solo di ciò che parla alla vostra anima. In questo modo, il vostro lavoro (furto) sarà autentico. L'autenticità è inestimabile; l'originalità non esiste.".
Le parole di Jim Jarmusch affidate alle pagine del 53º numero di MovieMaker Magazine nel 2004 si sposano alla perfezione al lavoro di Gianfranco Cabiddu - "La mia dedica ideale del film va a Luca De Filippo che con il suo cameo ha voluto salutare un certo modo di fare teatro" - e al suo raffinato La stoffa dei sogni. Una reinterpretazione personale e riuscita de La Tempesta, uno dei tanti capolavori del Bardo dell'Avon William Shakespeare, nella traduzione in napoletano realizzata dal grande Eduardo De Filippo, utilizzando come punto di partenza L'Arte della Commedia del 1964.
In una notte buia e tempestosa - prendendo in prestito uno degli incipit più noti della letteratura moderna coniato da Edward Bulwer-Lytton - una modesta compagnia di teatranti a conduzione familiare, capeggiata da Oreste Campese (Sergio Rubini), naufraga sull'isola-carcere dell'Asinara e si ritrova, suo malgrado, a coprire alcuni camorristi destinati alla prigione che viaggiavano sulla medesima imbarcazione affondata. Un incidente che ha regalato loro una libertà alla quale non vogliono rinunciare tanto da fingersi attori agli occhi del Direttore della struttura penitenziaria, De Caro (Ennio Fantastichini), che costringerà il capocomico a mettere in scena La Tempesta di Shakespeare, in solo cinque giorni, con l'intento di smascherarli.
"Shakespeare è una specie di Vangelo"
La Stoffa dei sogni, prodotto dalla Paco Cinematografica di Isabella Cocuzza e Arturo Paglia, è la prova che un cinema dall'ispirazione colta ma alla portata di tutti, per l'immediatezza e l'universalità dei suoi temi, non solo è possibile ma anche coinvolgente, diretto, ed emozionante. Merito di una scrittura accurata e dei suoi ottimi interpreti. "Ho avuto la grande fortuna di lavorare con Eduardo De Filippo per cinque anni, durante l'ultimo periodo della sua vita. Aveva tradotto La Tempesta in napoletano e decise di interpretare tutti i personaggi maschili nell'incisione audio dell'opera. Un testo che mi è rimasto nella pelle", ricorda in conferenza stampa Gianfranco Cabiddu, "Ho utilizzato come incipit L'Arte della Commedia e nella seconda parte l'opera di Shakespeare. Ho lavorato intensamente con Ugo Chiti che mi ha aiutato a togliere la "pesantezza" dai testi poiché il teatro, sia per Eduardo che per Shakespeare, era pensato per il pubblico". Una sceneggiatura che mostra la trasformazione del testo operata dai suoi personaggi proprio in virtù di quella naturalezza necessaria per sentire e comprendere le parole scritte dal drammaturgo inglese. "Mi commuovo quando La Tempesta viene tradotta in napoletano", racconta Teresa Saponangelo che nel film interpreta Maria, la moglie di Campese, "Si esprime tutta la forza di questa lingua teatrale ed attoriale".
Tornando alla fruibilità di una pellicola come questa e alla difficoltà di trovare spazio nelle sale cinematografiche si è riallacciato poi Ennio Fantastichini che ha sottolineato la necessità di valutare un'opera in base alla sua qualità: "Non si dice più 'Com'era il film?' ma 'Quanto ha fatto?'. Credo che quando si vuole piacere a tutti si vola basso. Non bisogna sempre assecondare il mercato ma difendere la poesia".
"La tempesta ci ha dato la libertà"
Se per il capocomico la sua vita di attore è rappresentata da tanti sacrifici e due ore di incanto sul palcoscenico, tutti i protagonisti di questa commedia nelle loro speranze e dolori, aspirazioni e sentimenti appena sbocciati sono circondati dalla bellezza esiliante dell'Asinara. "Quando è diventata un parco sono andato a visitarla e mi sono imbattuto in una natura prepotente che mi ha ricordato l'isola di Calibano", afferma il regista, "Per me l'Asinara è un personaggio come come l'isola per Shakespeare. Un'esperienza lavorativa dura che ha consentito di creare una simbiosi tra attori e tecnici. Eravamo fuori dal mondo e questo ci regalato un'atmosfera magica. Ho avuto da ciascun interprete delle sorprese. Hanno portato qualcosa del loro percorso nel testo e ne sono diventati anche autori". Una parentesi lavorativa inclusiva come ricorda anche Teresa Saponangelo: "L'isola ci ha unito e costretto a parlarci dato che i cellulari non funzionavano (ride n.d.r.). Questo ha permesso di confrontarci sul nostro mestiere durante cene molto produttive, delle tavolate di attori che vengono dal teatro".
Un testo nel testo, dal teatro al cinema viaggiando su due binari narrativi che trovano la massima espressione nei due protagonisti-antagonisti, Campese e De Caro. Un duetto messo in scena da Sergio Rubini ed Ennio Fantastichini con quell'apparente spontaneità che dietro alla naturalezza di un gesto o di una battuta cela un talento affinato ruolo dopo ruolo. "Ho letto il copione e ho accettato subito la parte aspettando che il film venisse allestito", ricorda Rubini che si sofferma anche sul lavoro sul personaggio, "Non volevo assomigliare a Eduardo, sono partito da me e dal legame provato con Campese fin dalla prima lettura, continuato poi sull'isola perché il mestiere dell'attore è fatto anche della costruzione dell'empatia con scenografia, attori, costumi...". Una produzione coraggiosa accentuata anche dalle tante piccole difficoltà incontrate durante la permanenza isolana ma, come sottolinea Fantastichini, "Se la convinzione è forte i disagi si sciolgono". L'attore ha poi concluso soffermandosi sull'insegnamento regalatogli dal suo Direttore/Prospero: "Il tema dell'andare mi ha fatto scoprire molto anche di me come uomo e padre. Amare è dare la libertà".