Non riusciamo a smettere di pensarci: il problema principale de La stanza delle meraviglie è l'estetica. Un'estetica talmente fredda e piatta che altera il calore di una sceneggiatura, invece, decisamente coinvolgente. E convincente. Convincete, se la consideriamo come una sorta di dramma fiabesco. Ciononostante, la patina generale, che ricorda i film tv baltici che passano in tv nei pomeriggi estivi, crea uno squilibrio che non possiamo non ignorare. Così, seguendo le tracce di un ipotetico lupo, e seguendo il percorso di accettazione e speranza, la francese Lisa Azuelos adatta l'omonimo romanzo di Calmann-Lévy e sceglie toni garbati e lievi per una vicenda di amore e di amore materno; un amore che prova a spezzare angoscia e oscurità, emergendo dal senso drammatico contenuto nelle parole, negli sguardi, e nei gesti.
Sotto, come detto, le sfumature di una fiaba, in cui si susseguono personaggi, situazioni, ambienti. "Avevo dimenticato che la vita possa essere dolce", dice la protagonista. Già perché La stanza delle meraviglie è un film che cambia pur restando fermo. Due fili legano la narrazione de La stanza delle meraviglie - spesso ridondante, diciamolo - e legano i due centri della vicenda. Come? Attraverso un primo piano che si allarga sui paesaggi (addirittura sulla danza di due splendide balene!) e sul futuro, ma che si blocca in una grammatica cinematografica avvolta da una patina fuori tempo e fuori luogo.
La stanza delle meraviglie: tutto per amore
Che poi i luoghi sono quelli che visita Thelma (Alexandra Lamy), la protagonista. Li visita perché prova a ristabilire una connessione vitale con suo figlio Louis (Hugo Questel), che ha nove anni. Il ragazzo non ha mai conosciuto il papà e ha la passione per lo skate. Thelma è rimasta incinta da giovane, e ora lavora in un'azienda di cosmetici. Si vogliono bene. Sono l'emblema dell'amore tra una madre e un figlio. Poi però cambia tutto, in un istante. Louis viene investito da un camion. Le condizioni sono disperate, finisce in coma.
Le funzioni celebrali, dicono i medici, sembrano funzionare. Ma passano i mesi, e Louis non si sveglia. Servirebbe un miracolo, di quei "miracoli che si fanno insieme". Allora, Thelma trova tra le cose di Louis un diario, chiamato "libro delle meraviglie". Tra scarabocchi, annotazioni e il disegno di un lupo, c'è una lista di cose da fare. "Le 10 cose da fare prima della fine del mondo". Così, spinta da un forte senso materno, Thelma si aggrappa a quel diario e decide di compiere proprio quelle "10 cose", sperando che alla fine il piccolo Louis possa risvegliarsi.
Un dramma... leggero
Nonostante un plot ad alto impatto emotivo, La stanza delle meraviglie asciuga quasi totalmente il fattore emozionale. Di per sé potrebbe non essere una nota stonata (e potrebbe essere infatti una nota stilistica ben precisa), ma lo diventa se l'estetica generale - come detto all'inizio della recensione - viene resa piatta e artificiale. Il dramma c'è dall'altra parte; è coerente e fondamentale perché il film venga poi strutturato, ma Lisa Azuelos non indugia mai sulle vere emozioni della protagonista. Le intravediamo, ma ne restiamo distanti. Quasi, si svincola dal mostrare troppo. Il dolore mosso da un'attesa resa viva dalle "10 cose da fare" rinuncia ad ogni tipo di coinvolgimento emotivo da e verso il pubblico. Anzi, alleggerisce i toni e gli umori, rendendo il tutto... Zen.
Quello della Azuelos, scritto (e si vede) anche dalla stessa autrice del libro, Calmann-Lévy, non cerca quindi la lacrima facile, ma spinge invece sui leitmotiv di una vita che andrebbe vissuta, nonostante tutto. Thelma, sempre al centro del film, è una madre che ci crede, che non demorde, che accetta il dolore estrapolando da esso la forza per andare avanti, e sperare che quel figlio in coma possa essere in qualche modo risvegliato. Per questo, le esperienze che affronta (un viaggio in Giappone, un incontro con le balene, mangiare i funghi allucinogeni) sono una sorta di percorso che potrebbe portare nuove a consapevolezze, sfociando nell'unico finale possibile. La stanza delle meraviglie è film diviso in due: quello che vediamo, e quello che vorremmo provare. Le due cose non coincido, ma resta notevole il profilo della protagonista, lei sì resa umana dalla brava Alexandra Lamy.
Conclusioni
Come scritto nella recensione de La stanza delle meraviglie, la potenza della storia (forse troppo Zen?) si scioglie sotto una messa in scena fin troppo algida e patinata, che rinuncia totalmente a cogliere le molte emozioni suggerite dalla sceneggiatura. Grande prova di Alexandra Lamy, madre che non abbandona la speranza verso quel figlio in coma.
Perché ci piace
- Alexandra Lamy, grande interprete.
- Le location
- La storia...
Cosa non va
- ... che però resta bloccata in una fitta patina.
- Le svolte fin troppo Zen...