Il cinema indipendente italiano pesca nella memoria e va a raccontare, con amara nostalgia, gli anni Cinquanta di una Sicilia dove l'amore deve fare i conti con la nuova consapevolezza della donna. Beppe Cino realizza così un omaggio personale alla sua terra, cercando di frantumare gli stereotipi attraverso i quali è stata troppo spessa descritta dal cinema e dalla letteratura. Liberamente tratto dal romanzo Argo il cieco di Gesualdo Bufalino, Quell'estate felice è stato presentato nell'ultimo anno e mezzo in numerosi festival europei col titolo Maria Venera, raccogliendo una serie di premi, molti dei quali andati ad Olivia Magnani per la sua interpretazione di un'eroina sui generis che nella Sicilia degli anni '50 ha il coraggio di affermare la propria indipendenza e la determinazione di donna disposta a mettere da parte i sentimenti per guardare al futuro. Abbiamo incontrato il regista a Roma per saperne di più di questa sua opera che ha trovato finalmente una distribuzione, seppure molto limitata, nelle sale.
Beppe Cino, perché ha scelto di portare sullo schermo il romanzo di Gesualdo Bufalino, Argo il cieco?
Beppe Cino: In Bufalino ritrovo in buona parte il mio stesso modo di vedere le cose. Ho scelto questo libro da un lato perché mi interessava raccontare gli anni '50, che considero l'ultimo bastione del nostro passato. Da quell'epoca in poi è cominciata una corsa micidiale che ci ha portati anche a cose straordinarie come internet. Ho voluto volgere uno sguardo d'addio al passato e il film è pensato come un ultimo valzer. Viviamo in una società che vive molto il presente e non si azzarda mai a pensare che questo presente è costruito sul niente. Quell'estate felice è un'opera intrisa di tante cose, il cui fuoco principale è rappresentato dal percorso del personaggio di Maria Venera. C'è però anche la descrizione della nostra società, dei rapporti di coppia e della stratificazione delle classi sociali, con in primo piano la subalternità di quelle contadine rispetto a quelle aristocratiche. Dall'altra parte, col mio film volevo fare pulizia degli stereotipi. La Sicilia ha dato molto alla letteratura e al cinema italiano, ma c'è sempre stato questo potere dello stereotipo. Oggi si fanno fiction in serie sulla Sicilia e sulla mafia, ma pullulano sempre delle stesse mascherine. Il film inizialmente gioca con gli stereotipi, ma a un certo punto cambia direzione.
Quali sono le differenze del film rispetto al romanzo?
Beppe Cino: Il film è liberamente ispirato al libro di Bufalino, che è caratterizzato da un forte sentimento nostalgico nei confronti di una stagione felice che è l'estate del protagonista.
Rispetto al romanzo, ho voluto prolungare il percorso, ho ispessito il carattere dei personaggi e ho dato maggior rilevanza a quello di Maria Venera, che nel film diventa una donna più forte, che ribadisce continuamente la propria indipendenza, anche attraverso la decisione di abortire. Ho poi scelto di far aprire e chiudere il film in una sala cinematografica, dove il protagonista ormai vecchio rivede il film della sua vita. E' una sorta di omaggio personale a Bufalino che era un grande cinefilo.Qual è l'immagine della Sicilia che esce da Quell'estate felice?
Beppe Cino: Il cinema siciliano è ricco di stereotipi. Nella parte iniziale del film ho cercato di giocare proprio con questi stereotipi, con le maschere tipiche dei film degli anni '60, strizzando quindi l'occhio a una stagione cinematografica del nostro paese per molti versi straordinaria. Ad un certo punto però, il film cambia completamente, grazie al personaggio di Maria Venera che, tra le altre cose, fa intravedere una presa di coscienza che maturerà nei decenni successivi della sua vita. Attraverso di lei, intendevo dare forza a un'identità, a una consapevolezza femminile che si allontana da un certo tipo di cinema.
Cosa rappresenta la scena finale?
Beppe Cino: La scena finale ci dice che i giochi sono ormai finiti, è un po' un addio alla vita da parte del protagonista. L'apparizione degli amici che hanno segnato l'estate più felice della sua vita, suscita in tutti noi un sentimento di grande emozione.
In quell'immagine, il protagonista ormai vecchio si confronta con l'incapacità che gli ha impedito di cogliere il tram dell'amore che gli è passato accanto a quei tempi. Il fantasma di Maria Venera rappresenta invece la capacità di autocoscienza femminile rispetto allo stereotipo delle donne siciliane.E' vero che il film doveva essere un prodotto per la tv?
Beppe Cino: Sì, nel '93 stavamo per farlo per RaiUno, poi ci furono resistenze da parte mia per quanto riguardava la sceneggiatura e non si fece più. L'approccio con i produttori non è mai asettico, c'è sempre un concorso di forze che determina l'accettazione o il rifiuto di un progetto. Sono felice però che ci siano ancora isole di discreta autonomia. Insomma, si cerca di morire in piedi.
Come ha scelto il cast?
Beppe Cino: Non vorrei peccare di presunzione affermando che il cast del film è davvero straordinario.
Mi piace scegliere gli attori con la mia testa, in maniera autonoma, e credo che tutti i film dovrebbero avere ogni volta dei volti nuovi. Auspico un turn over di facce, la chance per un attore di recitare una sola volta, perché amo i film fatti di caratteri e facce vere. Quando ho offerto il ruolo di Maria Venera ad Olivia Magnani mi ha chiesto perché avessi pensato proprio a lei. Le ho risposto "A fine film ti accorgerai che ho rubato parte della tua anima." Non si può cambiare sguardo a una faccia, ci sono elementi visivi e psicologici che ognuno si porta appresso, e credo che Olivia abbia nel suo viso la capacità di essere icona di questo film. Ha uno sguardo e una fisicità che non si possono ritrovare in nessun altra attrice della sua generazione, e forse anche per questo ha difficoltà a lavorare.