Recensione Sogni di gloria

Nella provincia del malessere a colpire è soprattutto la capacità del Collettivo John Snellinberg di esplicitare problemi comuni a molti trentenni/quarantenni italiani senza mediazione, con quella schiettezza brutale tutta toscana.

Giulio, Giulio e la provincia toscana

Niente è eterno, tranne la morte e... la cassa integrazione. Nell'Italia di oggi le speranze di trovare un impiego si affievoliscono e a farne le spese sono i trentenni costretti a fare i conti con le famiglie d'origine, da cui non si separano non tanto per ragioni affettive quanto per per necessità, e con il loro modus vivendi. I protagonisti di Sogni di gloria, film in due episodi che guarda alla gloriosa commedia all'italiana anni '60, condividono una frustrazione di fondo dovuta alla mancata realizzazione personale. Il primo è costretto a sottoporsi alla pantomima di una lotteria mensile promossa dall'inutile Centro per l'Impiego per ottenere un'occupazione temporanea, il tutto propiziato da estenuanti messe a cui la zia lo costringe a partecipare; pur essendosi trasferito in un altro continente per studiare enologia, il secondo non si è ancora liberato del giogo della famiglia e, come gli ricorda l'iraconda sorella, nonostante lo sbandierato talento dei cinesi per i numeri, si è scelto un corso di laurea che gli garantisce la disoccupazione certa. In più è innamorato di un'italiana che, stanca della sua nullafacenza, non ne vuol più sapere di lui. Per i due Giulio il riscatto arriverà attraverso vie inaspettate.

Tempo di bilanci

Sogni di gloria: Xiuzhong Zhang in una scena del film
Sogni di gloria: Xiuzhong Zhang in una scena del film
Dopo aver riletto il poliziesco all'italiana nell'energico La banda del Brasiliano, il Collettivo John Snellinberg ci riprova alzando il tiro con un film più complesso e maturo. Come nella miglior tradizione della commedia italica, in Sogni di gloria si ride amaro. Il cinismo toscano trova terreno fertile nella provincia afflitta dal vuoto pneumatico, dove ai giovani non resta che adeguarsi ricavandosi una nicchia di sopravvivenza più o meno sostenibile. Giulio (Gabriele Pini, nuovo volto della disoccupazione cinematografica toscana) è in balia degli zii che, intimoriti dalla sua crescente sfiducia nella religione e dalla minaccia di sbattezzarsi, mettono in piedi un'improbabile truffa dalle conseguenze inaspettate. Quanto al Giulio cinese, la casualità lo porta a trovare nel gioco delle carte una valvola di sfogo in cui concentrare le energie stringendo un legame paterno con Maurino (Carlo Monni), un giocatore segnato dalla vita che lo trascinerà in un torneo all'ultimo ammicco. All'interno dei due subplot principali di Sogni di gloria, si intrecciano temi variegati, esposti con sottigliezza. L'apparente leggerezza maschera un'acuta riflessione sul peso delle aspettative dei genitori nei confronti dei figli, sul tentativo di ritagliarsi un ruolo nella società, sul rapporto con la religione, sull'accettazione del diverso e sul fallimento esistenziale. Senza scomodare concetti come la raffinatezza - il Collettivo John Snellinberg potrebbe prenderlo come un affronto - non possiamo non notare come la scrittura di Lorenzo Orlandini e Patrizio Gioffredi, a uno sguardo attento, risulti tutt'altro che banale.

La commedia all'italiana secondo John Snellinberg

Sogni di gloria: Gabriele Pini in un'immagine del film
Sogni di gloria: Gabriele Pini in un'immagine del film
Pur affondando le radici in un sostrato ben noto, il Collettivo dimostra di avere ormai le spalle solide per intraprendere un percorso artistico indipendente. Gli elementi della tradizione vengono rielaborati prendendone le distanze alla ricerca di un'identità personale. Orfani dei vari Gassman, Manfredi e Tognazzi, Gioffredi e soci sfruttano il volto stropicciato di Carlo Monni contrapponendogli una nemesi carismatica come Giorgio Colangeli e circondandolo di interpreti poco noti, ma capaci di bucare lo schermo (oltre alla conferma di Gabriele Pini, a riservare una bella sorpresa è Luca Zacchini, a cui il Collettivo regala uno dei personaggi più intriganti del film). La crescita è evidente non solo nella qualità della scrittura, ma in ogni settore. La maggior consapevolezza tecnica spinge Gioffredi a calmierare i virtuosismi citazionistici mettendo la macchina da presa al servizio dei personaggi. Il risultato è una pellicola asciutta, in apparenza perfino dimessa, ma capace di stupire al momento opportuno con trovate argute. Nella provincia del malessere a colpire è soprattutto la capacità degli autori di esplicitare problemi comuni a molti trentenni/quarantenni italiani senza mediazione, con quella schiettezza brutale tutta toscana. A strappare qualche risata ci pensano i personaggi più macchiettistici come il parroco malato di calcio, l'implacabile Disumano, interpretato da Luca Spanò, e le giocatrici di carte incallite. I maniaci del citazionismo non mancheranno di notare i numerosi omaggi al cinema americano degli anni '80 e apprezzeranno in particolar modo l'eleganza geometrica dei titoli di testa seventies, accompagnati dalle musiche dei Calibro 35.

Conclusione

Chi apprezza la vena sardonica toscana ed è attratto dai film che raccontano il presente senza falsi idealismi, con Sogni di gloria troverà pane per i suoi denti.

Movieplayer.it

3.5/5