Se Dio Vuole ecco una commedia. Questo, utilizzando biecamente il titolo, è il primo commento che salta in mente dopo aver visto il battesimo dietro la macchina da presa di Edoardo Falcone. Già sceneggiatore di altre storie leggere come Nessuno mi può giudicare, Stai lontana da me, Confusi e felici e Ti ricordi di me?, il neo regista dimostra di conoscere a memoria gli schemi del genere applicandoli, questa volta, alle sue personali esigenze. Il risultato è una storia più che gradevole costruita non sulle singole gag, il cui effetto negativo ha portato a fin troppi film spesso slegati e privi di una logica narrativa, ma mettendo in primo piano situazioni e personaggi. Una rivoluzione, si fa per dire, che la comedy americana ha scoperto da molti decenni, così come la migliore commedia all'italiana.
Così, dopo essersi lasciati andare per molto, forse troppo tempo, ad una sorta di commedia slapstick, registi e sceneggiatori sembrano essere tornati a puntare sulle storie, oltre che su un racconto leggermente sferzante con cui mettere in luce l'uomo d'oggi. Sia ben chiaro, siamo lontani dallo stile autoriale e inconfondibile di Dino Risi e Mario Monicelli ma, provando e tentando, si sta riscoprendo il piacere di una strada abbandonata da un po'. Forse da troppo. Così Falcone sceglie di affidare l'intera responsabilità narrativa, oltre che le inevitabili situazioni comiche, a due personaggi opposti e complementari come Alessandro Gassman e Marco Giallini che, dopo Tutta colpa di Freud, tornano sullo schermo per formare una strana coppia capace di imporre ritmo e velocità ad una storia dall'avvio lento.
Tornano di moda Don Camillo e Peppone?
Come Billy Wilder e Ernst Lubitsch hanno dimostrato, non c'è nulla di più efficace per creare la commedia leggera che mettere i propri protagonisti in situazioni inaspettate o a confronto con una personalità opposta. Questo, senza stare a scomodare i grandi per confronti che non sono nemmeno pensabili, conferma l'esistenza di una regola aurea del genere da applicare quasi in automatico. Ed è esattamente quello che fa Falcone, a modo suo e con gli strumenti a disposizione. Gli elementi essenziali del suo racconto sono i personaggi di Tommaso, famoso cardiochirurgo tutta regione e niente cuore, e Don Pietro, prete dallo stile moderno e dal linguaggio disinvolto. Il primo ha lo sguardo imprevedibilmente duro e distaccato di Giallini, mentre il secondo vive dell'abitudine alla teatralità di Gassman. E a caratterizzarli con semplicità e immediatezza fin dall'inizio sono proprio i loro rispettivi palcoscenici sui quali si esibiscono.
Per Tommaso, immerso in una scenografia da medical drama, il "costume" di scena è rappresentato da camice e mascherina, uno stile che riporta alla memoria quasi inevitabilmente Il medico della mutua Dott. Tersilli. A Don Pietro, invece, tocca in sorte la divisa di religioso al passo con i tempi, ossia una bella presenza esaltata da uno stile sicuro, capace di renderlo mattatore assoluto di un'arena spirituale nel contenuto e pratica nella forma. Inevitabile, dunque, che lo scontro tra i due porti a creare delle scintille di comicità, nonostante il sopraggiungere di riflessioni finali piuttosto prevedibili. La forza di quest'incontro, però, non risiede certo nella costruzione della "morale" conclusiva del film, quanto nella dimostrazione che alcuni schemi, come quelli applicati nell'Italia del dopoguerra da Guareschi e dai suoi eterni contendenti Don Camillo e Peppone, sono ancora di gran moda e incredibilmente efficaci. Tanto per dire che anche nel cinema il vintage fa tendenza.
I tabù della nuova borghesia
L'altro elemento dal quale è impossibile prescindere nella struttura narrativa di una commedia,come abbiamo detto, è rappresentato dall'avvenimento imprevisto che, quasi sempre, diventa la causa scatenante di situazioni più o meno probabili. Nel caso di Se Dio vuole, questo è rappresentato da un nuovo tabù che, la neo borghesia, ossia quella cresciuta a colpi di sessantotto per cui l'apertura mentale e l'accettazione delle diversità sono un fiore all'occhiello, ammette con una certa resistenza. Così, pigiando un po' sul tasto dell'esagerazione e dell'estremismo, come è giusto che sia per la commedia, Falcone pone un interrogativo fondamentale: è peggio avere un figlio gay o un figlio prete? Ovviamente non si pretende una risposta, anche perché l'interrogativo è di per se assurdo.
Aiuta, però, a definire i tratti e i confini di un a classe "culturale" ben precisa che, pur se sostenuta da un'istruzione più che superiore e da carriere spesso altisonanti, in un modo o nell'altro trasforma vecchi schemi, ripresentandoli sotto forme più gradevoli. Così, in una società dove è ancora necessario definire il diritto di manifestare se stessi liberamente, l'omosessualità diventa un argomento politicamente corretto, mentre il nuovo tabù è rappresentato quasi inaspettatamente dalla religione. Bizzarrie di un paese che, nonostante il cambiare dei tempi non cambia se stesso? Anche questo è un quesito di una certa importanza cui Falcone e il suo film non vogliono certo rispondere. Piuttosto, riacquistando in parte la sua funzione di osservatore, il cinema e la commedia provano a farsi nuovamente specchio e parodia della realtà.
Movieplayer.it
3.0/5