La tradizione clownesca in Francia è antica, radicata e importantissima. Tutti conoscono Pierrot e chi ha solo velatamente studiato la storia del circo non può prescindere dagli artisti nati Oltralpe. Fra tutti i grandi nomi, di ieri e di oggi, a cui ispirarsi, c'è il rivoluzionario duo Footit e Chocolat, il clown bianco e l'augusto, sovrani della smorfia, padroni delle basi del comico (botta in testa, caduta e infinite variazioni su questi soli due temi) e artisti specialissimi della Parigi della Belle Époque. Ora Roschdy Zem, meglio noto come attore che come regista, decide di portare sul grande schermo la storia del primo artista nero.
Il meraviglioso mondo del circo
Che le arti circensi siano tornate di moda ormai è assodato. Non è solo in Italia che il Nuovo Circo ha preso piede in qualunque appuntamento pubblico. Una concezione nuova, che guarda al futuro contro lo sfruttamento degli animali e al contempo studia i grandi nomi del passato, come Footit e Chocolat appunto, per restituire loro la gloria che il mondo dello spettacolo "ufficiale" non gli ha dato finora. Non possiamo prescindere da questa rinnovata attenzione per le variegate arti circensi se vogliamo capire l'intento celebrativo di Mister Chocolat. "Un artista è diverso da un operaio dello spettacolo", mi ha detto giusto sere fa uno dei migliori fire juggler italiani. Ed è proprio questo il concetto di base che Zem e i suoi sceneggiatori hanno voluto raccontare: sacro fuoco che arde dentro una persona, che la affranca da un destino che sembrava segnato. Una persona forte, che non aveva mai posseduto niente, nemmeno un nome, coraggiosa abbastanza da sorridere e soprattutto far ridere nel bel mezzo di una incomparabile solitudine.
Non vedrete molti numeri circensi in Mister Chocolat: non ci sono né trapezio né elefanti, a malapena si vede una contorsionista. Lo schermo, o meglio la pista, è riempita solo da Footit e Chocolat, alcemicamente interpretati da James Thierrée e la nuova star Omar Sy. "James Tierrée ha costruito i numeri circensi, le coreografie", ha raccontato Zem presentando il suo film alla stampa a Roma. L'attore conosceva già molto bene il mondo del circo e i grandi della clowneria.
Una versione personale di Chocolat
Oltre alle risate che le gag tra i due protagonisti inevitabilmente vi strapperanno, ci sono costumi e ambientazioni di una Parigi che è rimasta nell'immaginario collettivo. Piume di struzzo e crinoline, i disegni di Lautrec e il gioco d'azzardo, il vizio, le bassezze di una società epicurea e allo stesso tempo benpensante. Chocolat era amato, ma solo perché stava al suo posto, perché ogni sera si faceva prendere a calci da un bianco e se ne stava buono, perché guadagnava molto, ma era pur sempre la metà del suo socio. Pari in pista, non nella vita.
Eppure questo, anche con una certa ridondanza, non è uno di quei film celebrativi che dipingono un eroe senza macchia. "Ho voluto evitare qualsiasi tipo di vittimizzazione e di cadere nel pathos", ha spiegato Zem. "Ho cercato anche di far dimenticare il colore della sua pelle, volevo raccontare un uomo nei suoi momenti di grandezza, ma anche in quelli di decadenza". Ecco che Chocolat beve molto, gioca d'azzardo e sperpera tutto quello che guadagna, frequenta molte donne di malaffare, conquista le signore e va a far visita ai bambini malati di un ospedale per dar loro gioia e speranza. Gli sceneggiatori hanno cambiato molte cose dalla realtà, e a ben vedere sembra che Chocolat sia stato solo una banderuola, che non abbia mai avuto idee sue. "In effetti sembra che lui si faccia solo condizionare dagli altri, ma chi di noi non ascolta gli amici prima di decidere? Lui però non ha amici, è l'unico uomo di colore presente a Parigi in quegli anni", ha analizzato il regista. "Non esisteva una comunità che potesse accoglierlo. È per questo che l'incontro con un altro uomo di colore all'Esposizione genera solo incomprensione. Non c'è nessuno come lui: non ha mai avuto un nome, è stato seppellito come Chocolat, il nome Raphael glielo ha dato il suo primo padrone quando era schiavo. La sua unica funzione nella vita è stata quella di far ridere".
Rivoluzionario suo malgrado
Quindi, secondo la personale visione di Roschdy Zem, Chocolat è stato un rivoluzionario suo malgrado. Forse è stato così. Probabilmente è andato avanti godendosi ciò che aveva e ringraziando di non essere uno schiavo, ma poi qualcosa in lui deve essere cambiato. L'emancipazione porta alla consapevolezza. "Nel libro da cui il film è tratto, lo storico si era limitato ad analizzare articoli dell'epoca", ha raccontato Zem. "L'incontro con Footit in realtà è avvenuto a Parigi, mentre noi facciamo vedere che il grande clown si andò a cercare la sua spalla. Non ci risulta che Chocolat sia mai stato in prigione, ma ci piaceva l'incontro con l'intellettuale haitiano. Ha recitato in teatro, ma non in Otello. Ha interpretato Mosè ed effettivamente non riusciva a imparare il testo. Ha provato e riprovato, avrebbe voluto fare anche cinema, ma non è mai riuscito ad avere un ruolo diverso da quello che aveva nella pista del circo".
Purtroppo nel prendersi le sue libertà, il film prende anche derive un po' scontate e inanella scene pleonastiche. Di certo, restituisce la fama un personaggio che non andrebbe assolutamente dimenticato. E la scelta di fargli interpretare Otello non è casuale: il moro che fallisce nel volersi fare accettare dai bianchi. La riflessione sta nelle parole di Zem: "Anche oggi chiediamo agli stranieri di emanciparsi somigliando a come siamo noi. Non è emancipazione, si chiede solo adattamento. In noi non c'è accettazione della diversità".
Movieplayer.it
3.0/5