La piscina e la terraferma. L'acqua della vasca, sorta di metaforico liquido amniotico impregnato del cloro del titolo (quel cloro che sembra restarti attaccato alla pelle), e l'asprezza della Majella, messiccio appenninico dell'Abruzzo, ovvero la località in cui la protagonista, la diciassettenne Jenny, si vede costretta a ricostruire la propria esistenza, in seguito alla morte della madre e al trasferimento dal litorale di Ostia, dove aveva vissuto fino a quel momento.
Sono i due piani fra i quale si divide Jenny, che ha il volto dell'attrice Sara Serraiocco (lanciata nel 2013 dal film Salvo), in Cloro, debutto alla regia di Lamberto Sanfelice dopo il cortometraggio del 2012 Il fischietto. Un esordio che ha avuto l'onore (e la conseguente visibilità) di una presentazione al Sundance Film Festival e alla 65esima edizione del Festival di Berlino, vetrine prestigiose e tutt'altro che scontate per un'opera prima.
La vita di Jenny, fra il nuoto e la terraferma
Scritto da Sanfelice insieme a Elisa Amoruso, Cloro propone un altro ritratto di vita disagiata e di quotidiano malessere, in cui alle difficoltà finanziarie si uniscono l'incomunicabilità e il senso di solitudine di una famiglia incapace di rimanere unita. C'è il padre, Alfio (Andrea Vergoni), che in seguito alla morte della moglie è entrato in depressione, ha perso il lavoro ed è stato costretto a trasferirsi con i suoi due figli in Abruzzo, ospiti nella baita di montagna dello zio Tondino (Giorgio Colangeli). Uomo troppo debole e inerte per risollevarsi dalla propria miseria, Alfio non è in grado di prendersi cura dei propri figli; così ad impugnare le redini della famiglia (o di quel che ne resta) è Jenny, la quale si fa assumere come cameriera in un hotel di montagna per turisti amanti dello sci. Al suo interno, però, l'hotel ha anche una piscina, e qui Jenny decide di rifugiarsi la notte, al termine del proprio turno, per provare la coreografia messa a punto insieme alla sua amica e compagna di nuoto Flavia (Chiara Romano), mentre nei pochi momenti di libertà si occupa del fratellino Fabrizio (Anatol Sassi).
È questa, in sostanza, la materia narrativa di un film come Cloro: una pellicola minimalista fin nel midollo, in cui lo sviluppo drammaturgico si limita a mettere in scena situazioni ordinarie, talvolta perfino banali, per descrivere la routine dei suoi personaggi, che si tratti del faticoso tragitto verso casa (perché Jenny e Fabrizio hanno perso l'ultima corsa dell'autobus), del lavoro nelle camere d'albergo o delle cene consumate da fratello e sorella nella loro piccola abitazione, fra innocenti dispetti ed effimeri momenti di spensieratezza. Frammenti di vita di tutti i giorni calati in un'atmosfera spesso grigia e soffocante dai toni cupi della fotografia di Michele Paradisi, con le rare eccezioni del bianco abbacinante degli scenari innevati nei pressi dell'hotel di Jenny.
Un racconto di formazione di scarso mordente
La montagna, proiezione degli ostacoli (talvolta insormontabili) di un'adolescenza interrotta bruscamente da nuove, soffocanti responsabilità, diventa così il terreno sul quale Jenny deve misurare se stessa e i suoi livelli di resistenza, facendo fronte giorno per giorno allo squallore di una condizione nella quale è suo malgrado intrappolata. Per contrasto, è nella piscina che Jenny, finalmente libera da obblighi e costrizioni, può tornare ad essere se stessa, o lasciare libero sfogo alla propria sessualità negli amplessi subacquei con il rude Ivan (Ivan Franek), il guardiano notturno dell'hotel. Il limite di Cloro, tuttavia, resta la sostanziale incompiutezza del percorso di una protagonista che, intrappolata in un ideale limbo, non attraversa un'autentica evoluzione, né tanto meno sembra mutare il proprio atteggiamento in rapporto con il piccolo Fabrizio.
L'immediato termine di confronto, per il film di Sanfelice, risulta essere non a caso il pregevole Sister di Ursula Meier, altro dramma familiare di ambientazione montana in cui a riempire la scena sono una ragazza (Léa Seydoux) ed un comprimario più giovane (e in Sister, l'apparente "fratellanza" fra i due personaggi era messa in luce fin dal titolo). Ma laddove il film della Meier, pur con una struttura simile, riusciva a colpire maggiormente la sensibilità dello spettatore, dimostrandosi un'opera di notevole forza emotiva, Cloro rivela al contrario un meccanicismo un po' sterile nel modo in cui la trama continua a girare a vuoto, difettando di una reale capacità di coinvolgimento e rinunciando alla possibilità di impostare una riflessione più densa e profonda sui drammi della protagonista.
Movieplayer.it
2.5/5