La proiezione della paura
Il cinema che riflette su se stesso non è certo una novità, anzi è uno dei tratti più caratteristici della modernità e della post-modernità della Settima arte. L'unico mutamento significativo cui si è assistito negli ultimi decenni è l'amplissima diffusione "popolare" della componente meta-cinematografica, che se prima era confinata soprattutto entro meditazioni autoriali e intellettuali, adesso ha finito per divenire un elemento ormai quasi ineludibile del cinema di genere. A beneficiare di questa nuova dimensione autoriflessiva è stato soprattutto l'horror che, almeno a partire dalla lezione di Wes Craven e dagli esperimenti di pseudo-reality inaugurati con The Blair Witch Project, ha incominciato a interrogarsi in maniera teorica su meccanismi costitutivi del genere. La svolta però è arrivata dall'Oriente, precisamente con Ringu di Hideo Nakata, in cui si affermava in maniera inequivocabile come l'origine dell'orrore e dalla paura fossero ancorate al supporto visivo e all'atto di guardare. Da qui in poi è giunta una folta schiera di horror asiatici, in cui l'elemento fobico scaturiva proprio dal supporto mediale, sia che si trattasse di una videocassetta come nella serie di The Ring, sia di Internet come in Pulse, oppure del telefono cellulare come in The Call, solo per citare i titoli più famosi.
A questa dimensione meta-cinematografica sembra essersi approcciato anche l'ultimo cinema horror tailandese, e in particolare lo sceneggiatore Sopon Sukdapisit, che ha esordito con l'interessante Shutter, in cui le figure ectoplasmiche si manifestano solo attraverso la consistenza dell'immagine fotografica. Per il suo esordio alla regia Sukdapisit decide con Coming Soon di tornare a una storia in cui, di nuovo, la persecuzione dello spirito vendicativo si trasmette attraverso il contatto visivo. Questa volta il plot gravita attorno a uno sfortunato film, Evil Spirit, il cui set è stato funestato da oscure vicende. Proprio come in un altro recente horror tailandese, The Screen At Kamchanod di Songsak Mongkolthong, la maledizione spiritica si incarna in una pellicola cinematografica che procura la morte di chiunque la guardi. Ambientato quasi interamente in un cinema, Coming Soon si focalizza su alcune figure simboliche cui ruota l'industria audiovisiva, tra cui un regista, un pirata (che finisce, come per contrappasso, risucchiato dalla immagini che voleva "rubare") e soprattutto un proiezionista, Chen, che scopre la maledizione e tenta di arrestarla. Le riflessioni di carattere più propriamente teorico vengono in realtà affrontate da Sopon Sukdapisit con la naïveté tipica del cinema tailandese di genere, affidandosi a situazioni canoniche (la love story tra Chen e una dipendente del cinema) e lasciando a volte il campo a momenti ironici e grotteschi. Ciononostante Coming Soon riesce a elaborare alcune situazioni visivamente efficaci, soprattutto per quel che concerne la sovrapposizione tra la dimensione filmica e la realtà oltre lo schermo, con effetti in alcuni casi stranianti e suggestivi.