Non ci sono dubbi, se c'è un autore che meglio di tutti è riuscito a raccontarci l'attuale ossessione per le nuove tecnologie è proprio Aaron Sorkin. E se qualcuno ce l'avesse detto anche solo qualche anno fa, certamente non gli avremmo creduto, perché lo sceneggiatore di serie TV di culto come West Wing o The Newsroom, proprio attraverso queste straordinarie opere, non ha mai nascosto tutto il suo odio per la tecnologia, per i computer e per l'universo delle chat e dei social.
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Eppure, prima con lo straordinario The Social Network di David Fincher (che gli ha fruttato l'Oscar per la migliore sceneggiatura più altri 30 premi in tutto il mondo) e poi con questo altrettanto stupefacente Steve Jobs diretto da Danny Boyle, Sorkin continua a sorprendere per la lucidità con cui riesce a comprendere, analizzare ed infine "umanizzare" qualcosa che ormai è parte integrante della nostra quotidianità. Sono infatti due film simili The Social Network e Steve Jobs, quasi gemelli, ma nonostante questo non si sovrappongono mai; anzi insieme si completano ed offrono una panoramica ancora più ampia non solo su due grandi CEO, due grandi innovatori e due grandi protagonisti degli ultimi decenni, ma sull'impatto che la loro visione ha avuto sulle vite di coloro che li circondavano e, di riflesso, su tutti noi.
L'uomo dietro il mito
È innanzitutto per questo motivo che è sbagliato parlare di questo Steve Jobs come di un biopic, perché Sorkin non solo sceglie di limitarsi soltanto a tre momenti della incredibile carriera e vita di Jobs, ma soprattutto perché lo sceneggiatore ne abbraccia la visione iconica e quasi mitica, e ci regala così un uomo scontroso e odioso ma incredibilmente carismatico da cui tutti sembrano dipendere e di cui tutti, nessuno escluso, cercano continuamente l'approvazione. È così nel film di Boyle, ma in fondo è così anche nella realtà di oggi, a quattro anni dalla morte del fondatore della Apple.
Si è dibattuto molto, e tanto se ne parlerà ancora, su come esca fuori la figura di Steve Jobs da questo film: fan e "discepoli" sicuramente avranno da ridire su alcune scelte piuttosto dure e coraggiose, al contrario i nemici probabilmente non apprezzeranno un finale forse fin troppo buonista. Ma c'è una cosa sui cui tutti potranno probabilmente essere d'accordo: il fascino di un uomo notoriamente difficile, esigente e certamente presuntuoso non è mai stato più vivo, e non c'è nemmeno un attimo del film in cui non si sia assolutamente certi che l'uomo costantemente al centro della scena è sì uno stronzo, ma anche un vero genio visionario. Un uomo che ha consapevolmente cambiato il mondo e l'ha fatto con immensa fatica e con grandi sforzi.
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Il genio dietro l'uomo
C'è un momento nel film in cui viene detto che costruire computer non è come dipingere quadri, ma il protagonista rivendica l'esatto contrario. A chi gli chiede cosa sappia fare realmente, lui semplicemente risponde: "I musicisti suonano uno strumento. Io tutta l'orchestra."
Qualche anno prima, in The Social Network lo Zuckerberg di Jesse Eisenberg diceva: "Io e i miei colleghi facciamo cose che nessuno in questa stanza, inclusi e soprattutto i suoi clienti, è intellettualmente e creativamente capace di fare."
Se quindi un noto tecnofobico come Sorkin si è interessato per ben due volte ad argomenti apparentemente così lontani dalla sua poetica è perché pur non ritrovandosi nel mezzo utilizzato da questi due innovatori, sicuramente si ritrova in almeno altri due aspetti: talento - assoluto, cristallino e visionario - e megalomania.
Perché in fondo lo stesso Sorkin non è così diverso da Steve Jobs: anche lui ha avuto non pochi problemi personali diventati di dominio pubblico; ha una impressionante schiera di fan e altrettanti oppositori; è un maniaco del controllo ed un uomo dal carattere difficile. Soprattutto non ama confrontarsi con la realtà, non ama porre limiti alla sua visione ma preferisce piuttosto sognare e ricercare costantemente la perfezione. Sorkin rinuncia coscientemente al realismo a cui preferisce sempre e comunque l'idealismo, ma le sue sceneggiature sono talmente perfette che potrebbero benissimo essere considerate un esempio di quel "campo di distorsione della realtà" associato al fondatore della Apple.
E non è certo un caso che praticamente quasi tutte le sue opere siano ambientate sempre e comunque backstage, perché a Sorkin non interessa tanto il "prodotto finito" (sia Facebook che i prodotti Apple compaiono molto poco su schermo, in Studio 60 e Sports Night raramente vediamo la trasmissione vera e propria) ma ama invece mostrare il processo di creazione o le conseguenze della stessa su tutti coloro che hanno in qualche modo partecipato. La cosa curiosa è che nelle sue opere molto spesso questo prodotto finale è frutto di grande collaborazione, quando notoriamente Sorkin lavora da solo, al massimo relegando ad altri, spesso anche accreditati come co-sceneggiatori quando di fatto non lo sono, solo il lavoro di ricerca. Non solo quindi nei suoi script Sorkin racconta se stesso, ma racconta una versione ideale ed idealizzata del suo processo lavorativo.
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L'amor che move il sole e l'altre stelle
Se proprio l'idealismo è uno dei motivi per cui più spesso lo sceneggiatore viene attaccato ("nessuno parla così nella realtà!"), il vero tallone d'Achille di Sorkin è evidentemente un altro: l'amore. Se nessuno o quasi ha avuto da ridire sul magnifico e tristissimo finale di The Social Network - in cui probabilmente l'ottimismo sorkiniano viene bilanciato dalla poetica pessimista di Fincher - sono stati in molti invece a non apprezzare il finale così spudoratamente buonista e sognante del film di Boyle. Difficile non capire il perché di tante critiche, ma è anche impossibile non far notare che Sorkin, con la significativa eccezione di cui sopra, è sempre stato così, anche nelle sue opere più celebri e celebrate.
In West Wing per esempio il suo leggendario Presidente Jed Bartlet, magistralmente interpretato da Martin Sheen, non è solo il Commander in Chief ideale - liberale ma cattolico, saggio ma coraggioso, determinato e mai avventato - ma una figura autoritaria ma amorevole e paterna verso tutti i suoi collaboratori e protagonisti dello show e verso gli spettatori. Il suo amore è presente in ogni singola scena della serie e non soltanto quello che prova nei confronti della First Lady o delle figlie nè l'amicizia per il compagno d'avventure Leo; non è nemmeno soltanto l'orgoglio paterno che prova per i vari Toby, C.J. o Josh, ma è l'amore e il profondo rispetto che prova verso la propria carica, verso gli Stati Uniti stessi, verso i suoi elettori e concittadini.
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Jobs e Zuckerberg visti da Sorkin non sono affatto figure così pure, ma la loro ambizione e il loro desiderio di stupire, di fare qualcosa di grande, viene da quello stesso sentimento, inconsapevolmente altruista, di voler consegnare alla Storia e alla gente un qualcosa che possa cambiare (in meglio) la loro vita. Lo Zuckerberg di The Social Network lo fa per impressionare la ragazza che l'ha lasciato, che non l'ha capito; Jobs lo fa per farsi perdonare quella sua incapacità di essere un padre amorevole e giusto; Aaron Sorkin, per sua stessa ammissione, lo fa per continuare a stupire la figlia che, paradossalmente, non ha ancora visto le sue serie capolavoro, ma che attraverso queste nuove opere più moderne può apprezzare comunque l'ingegno paterno.
In fondo non è poi troppo differente da quel "Metterò la musica nelle tue tasche" che Steve dice a sua figlia Lisa; in fondo non è troppo differente da quel ti amo che tutti noi diciamo ai nostri figli e ai nostri cari; è solo un modo diverso - più creativo, vulcanico, geniale, forse - di esprimere veramente quello che proviamo, in modo che realtà e ideale possano per una volta combaciare.