I'm afraid of Americans/ I'm afraid of the world/ I'm afraid I can't help it
Nell'anno 2040, alla vigilia della notte dello Sfogo (The Purge in originale), gli Stati Uniti si trovano nel pieno dei dibattiti in vista delle imminenti elezioni presidenziali, che vedono schierata in prima fila la Senatrice Charlie Roan (Elizabeth Mitchell), determinata nel proposito di abolire questa pratica sanguinaria una volta arrivata alla Casa Bianca. Il candidato del fronte opposto è il Ministro Edwidge Owens (Kyle Secor), fiero sostenitore della necessità dello Sfogo.
La nuova "notte del giudizio" diventa così un'occasione irripetibile, per i Nuovi Padri Fondatori, per sbarazzarsi della Senatrice Roan. La donna, ignara della minaccia che grava su di lei, ha deciso di trascorrere la notte nella propria abitazione, affidando la sua sicurezza all'ex ufficiale di polizia Leo Barnes (Frank Grillo). Ma nonostante gli scrupoli di Barnes e la presenza di alcune guardie del corpo, lo scoccare della fatidica "ora X" segnerà l'inizio di un lungo incubo a occhi aperti...
Strade violente
A tre anni di distanza dal film capostipite della serie, La notte del giudizio, le tematiche al cuore della saga distopica di James DeMonaco hanno conservato una sinistra attualità, quanto mai evidente in questo terzo capitolo, La notte del giudizio - Election Year. Un'attualità che si misura non tanto nell'idea di sfruttare la coincidenza temporale con le prossime elezioni per la Casa Bianca, con un personaggio - la Senatrice Charlie Roan - che adombra in parte la figura di Hillary Rodham Clinton e il suo impegno contro la lobby delle armi; quanto, invece, nell'eterno dramma delle esplosioni di violenza che minano a più livelli la società americana, accentuate di recente da rinnovate tensioni razziali e alimentate tragicamente dalla facilità con cui, in terra statunitense, è possibile dotarsi di veri e propri arsenali privati. Una vecchia piaga per gli USA, sulla quale si continua a discutere aspramente, e che DeMonaco - ancora una volta nella doppia veste di regista e sceneggiatore - sembra collegare in senso metaforico al dibattito, nell'universo narrativo del film, sulla proposta di abolire lo Sfogo: quella notte di furia selvaggia in cui tutto è permesso, in cui i cittadini sono autorizzati a scatenare i loro peggiori istinti e in cui non esiste crimine troppo atroce da essere vietato.
Se il primo La notte del giudizio, nel 2013, contava sull'effetto novità dell'idea alla base del soggetto e sull'atmosfera claustrofobica di un "assedio casalingo" alla Funny Games, un anno più tardi il sequel Anarchia - La notte del giudizio evitava l'effetto fotocopia moltiplicando personaggi e punti di vista e portando l'azione nelle strade di Los Angeles, con scenari da guerriglia urbana che rievocavano i gloriosi B-movie stile I guerrieri della notte. Con Election Year, DeMonaco si mantiene prossimo alla struttura di Anarchia: una rapida presentazione dei personaggi, due linee narrative destinate ad intrecciarsi e una catena di circostanze che porteranno i malcapitati comprimari ad abbandonare le fortezze domestiche per affrontare la metropoli: il teatro, tenebroso e spettrale, di un gioco gladiatorio di scioccante efferatezza, in cui per sperare di sopravvivere bisogna correre senza sosta, guardarsi costantemente le spalle e, a mali estremi, rispondere al fuoco dei propri avversari.
Afraid of Americans
A dispetto di qualche inevitabile sensazione di déjà-vu rispetto a quanto già visto finora, DeMonaco mantiene un'innegabile abilità nel costruire la suspense e nel dosare la quantità di azione e di 'pause' senza incrinare l'equilibrio del racconto (attenzione, però: questa formula è ormai arrivata al punto di saturazione, e dal prossimo episodio sarà opportuno apportare delle sostanziali modifiche). Se dunque, preso come mero prodotto d'intrattenimento in salsa da B-movie, questo terzo capitolo funziona più o meno quanto i precedenti, è nel suo sottotesto politico, ancora più esplicito di quello di Anarchia, che risiede il "valore aggiunto" del film, con un'amara riflessione sulle divisioni sociali e razziali degli Stati Uniti di domani (e a quelli di oggi) e sull'immoralità di una classe dirigente desiderosa di sfruttare tali divisioni a proprio esclusivo vantaggio. E non a caso fra gli 'eroi' della pellicola, oltre alla coraggiosa Senatrice e al suo fedele bodyguard (personaggio già presente in Anarchia), troviamo vari afroamericani appartenenti alla working class, facili capri espiatori della furia collettiva, e il giovane immigrato messicano Marcos (Joseph Julian Soria).
Va comunque da sé che questo Election Year, pur con i suoi richiami alla contemporaneità, non vada certo preso per una satira sottile e raffinata (e forse è un bene). DeMonaco, infatti, non perde la consapevolezza dell'anima da thriller della sua creatura, e pertanto non rinuncia alle esigenze dello spettacolo, a qualche battuta che suona un po' ridicola e, di tanto in tanto, ad elementi talmente eccessivi e pulp da stemperare la tensione nell'ironia: dalla bislacca banda di taccheggiatrici con abiti succinti, eloquio volgare e mitra spianati che prendono d'assedio l'emporio di Joe Dixon (Mykelti Williamson), coadiuvate da sodali travestiti da enormi peluche, all'epilogo granguignolesco della cerimonia pseudo-religiosa a base di sacrifici umani, con tanto di scontro finale nella cattedrale con un sadico sacerdote dall'inquietante aria vampiresca. Mentre alla voce di David Bowie, sulle note di I'm Afraid of Americans, è affidata nei titoli di coda l'angoscia per un'America e un mondo sempre più simili a una gigantesca polveriera.
Movieplayer.it
3.0/5