La nostra strada è il titolo provvisorio del nuovo film di Pierfrancesco Li Donni, presentato come evento speciale alla Festa del Cinema di Roma 2019 nella sezione Alice nella città. Si tratta di un film documentario sulla periferia, ambientato nello specifico in quella del quartiere Zisa di Palermo, ma che più in generale racconta quella umana e territoriale di un intero sud Europa.
Calarsi nella periferia senza moralismi
I protagonisti sono dei ragazzi durante il corso della terza media, che devono decidere se continuare gli studi o andare a lavorare (anche se non dovrebbe essere una scelta: la scuola è obbligatoria fino a sedici anni). Abbandono scolastico, lavoro minorile e sopravvento delle regole del quartiere su quelle dello stato sono i temi più centrali, ma la vera potenza di questo film prezioso, sta nell'umanità che Li Donni mostra e protegge, e ci riesce entrando davvero in contatto con le persone che incontra e racconta, ma soprattutto sospendendo qualsiasi tipo di giudizio moralistico.
Li Donni: 'esplorare il quartiere con un film corale'
Di questo e di tutto il lungo (e non ancora terminato) lavoro che ha portato a questo film abbiamo parlato con il regista Pierfrancesco Li Donni. "Le mie intenzioni - ha iniziato Li Donni - erano esplorare il quartiere facendo un film corale, e ho pensato che la scuola e una singola classe potessero essere una finestra su questa realtà. Per cui a metà della seconda media, sono entrato in classe come uditore, senza macchina da presa, senza che i ragazzi sapessero qual è il mio mestiere, e mi sono messo all'ultimo banco per tre mesi. Questo mi è servito anche per individuare alcune figure particolarmente carismatiche con cui mi potessi calare poi nella strada per raccontare il quartiere".
La scuola come protezione dalla strada
Per fare un film del genere, per stabilire un contatto intimo con degli adolescenti che vivono in un contesto sociale tutt'altro che facile, e per ottenere la fiducia loro e delle famiglie, ci sono volute diverse chiavi d'accesso. "Con loro - ha continuato Li Donni - ho stretto una relazione molto forte. Ho la fortuna di vivere a Palermo, quindi ho seguito il loro percorso di crescita per un periodo molto esteso, e capivo anche quali erano i momenti per tornare a filmare e quali fossero quelli in cui lasciar decantare la relazione. Devo dire poi che la figura del professor Mannara (l'insegnante di italiano dei ragazzi ndr) è stata fondamentale, perché per loro rappresenta un punto di riferimento al di là della scuola, e lo stesso vale per le famiglie. In questo senso, il professore è stato utile anche da un punto di vista produttivo, perché senza la fiducia che le famiglie ripongono in lui, non mi avrebbero aperto le porte di casa. Certo c'erano dei rischi, e la mia paura era, per esempio nelle scene in cui si assiste alle lezioni, che si andasse verso un certo tipo di artificialità. E invece mi sono spesso stupito del fatto che, per quanto potessimo concordare con il professore alcuni temi da trattare in classe, poi lì per lì succedeva sempre qualcosa, si instaurava un botta e risposta inaspettato tra intervistatore e intervistato, che faceva sparire la macchina da presa".
La seconda parte del film, un anno dopo
Il film è diviso in due parti, e la seconda si svolge un anno dopo la fine delle scuole, con i ragazzi che hanno preso le loro decisioni sulla loro carriera scolastica. In questa sezione, c'è un cambiamento anche formale, come rilevato da Li Donni. "Nella seconda parte ho lavorato sulla carne, con un contatto uno a uno. In un anno sono cambiati tanto, e questo ha molto a che fare col fatto che questi ragazzi quando escono dalle medie acquisiscono la lingua del quartiere, è come se in venissero risucchiati da un ecosistema che fino a quel momento era stato tenuto a distanza perché esiste l'istituto scolastico. Quando crolla l'argine dell'istituzione, il quartiere prende il sopravvento e imparano a comportarsi secondo le regole del quartiere stesso".
Sospensione del giudizio, dicevamo, e niente più di questo fattore era necessario per offrire uno sguardo su questo mondo difficile e complesso senza cedere a pietismi o rimproveri. "Stando così a contatto con i ragazzi e con quello che li circonda - ha continuato il regista palermitano - sono arrivato a capire che, nella loro ottica, in qualche modo hanno ragione, che andare a lavorare può davvero essere una soluzione valida, perché l'alternativa potrebbe davvero essere il niente. Chiaramente li ho disincentivati ad abbandonare la scuola, ma poi mi sono anche detto: chi sono io per dargli dei consigli, per spiegargli come vivere? Il contesto in cui vivono è tutto, perché si parla spesso del diritto di andare a scuola, tralasciando però l'altrettanto sacrosanta parte relativa al dovere. C'è tutto un sistema che nasconde questo dovere, a partire dalle famiglie".
È il classico cane che si morde la coda, perché i genitori di questi ragazzi, come raccontato da Li Donni, sono essi stessi dei ragazzi che hanno avuto dei figli in età giovanissima, dopo aver avventatamente scelto di lasciare gli studi per guadagnarsi la propria autonomia economica. "Un elemento molto interessante è che loro capiscono il loro status sociale, però quasi ne ridono, e questa leggerezza serve a esorcizzare la paura di un futuro incerto".
La suggestione alla Linklater
Il film è, come detto, un work in progress, che il regista definisce "concluso all'80%", ma non è detto che non sia ancora più incompleto, perché Li Donni ha un sogno ambizioso e interessantissimo. "Vista la strettissima relazione che si è instaurata tra me e loro - ha concluso - mi piacerebbe continuare a seguirli fino a quando non faranno famiglia, fino a quando non avranno dei figli. D'altro canto il mondo dell'audiovisivo si sta sempre più spostando verso la serialità, quindi immaginare un prodotto molto lungo non è così impossibile...".