La misura del dubbio, la recensione: una riflessione sulla giustizia in un polar nella media

Daniel Autiel torna dietro (e davanti) la macchina da presa per portare sul grande schermo una storia vera ispirata al racconto dell'avvocato penalista Jean-Yves Moyart.

Grégory Gadebois e Daniel Autiel  in una scena de La misura del dubbio

Uno dei volti più conosciuti e rappresentativi del cinema francese, Daniel Autiel dal 2011 con La Fille du puisatier, remake di Patrizia di Marcel Pagnol, è anche regista. E a sei anni dal suo quarto lungometraggio, Sogno di una notte di mezza età, è tornato dietro la macchina da presa per La misura del dubbio. Un film, presentato a Cannes 77, ispirato ad una storia vera che si muove suoi binari del polar e del cinema procedurale.

La misura del dubbio: un film ispirato a una storia vera

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Daniel Autiel in una scena de La misura del dubbio

La scelta di tornare a dirige è da imputare a sua figlia Nelly, produttrice del film insieme a Hugo Gélin. È lei che fa scoprire al padre il blog dell'avvocato penalista Jean-Yves Moyart che, sotto lo pseudonimo Maître Mô, raccontava storie di giustizia poi trasposte nel romanzo Au guet-apenssids: chroniques de la justice pénale ordinaire. Tra quelle racchiuse nel volume anche la storia di una padre di famiglia accusato di aver ucciso sua moglie.

Un padre definito esemplare da tutti chiamato Nicolas Milik e interpretato da un ottimo caratterista come Grégory Gadebois che si ritrova a doversi difendere da un reato che, tristemente, costella la nostra cronaca. A difenderlo l'avvocato Jean Monier (Auteuil) che, dopo un processo particolarmente difficile, ha scelto di non accettare più casi di giustizia penale. Almeno fino a quando la sua ex moglie e giudice con il volto di Sidse Babett Knudsen non lo convince a difendere l'uomo.

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Sidse Babett Knudsen in una scena del film

Ambientato nella Francia del sud, a la Camargue, - zona che detta anche l'atmosfera del film -La misura del dubbio fin dal titolo svela il suo intento. Provare cioè a far venire a galla la verità facendosi strada nell'incertezza che contraddistingue un processo e la sua giuria spesso chiamata a dare un verdetto alla luce di prove non così nette.

Una riflessione sulla giustizia nelle aule di tribunale

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Grégory Gadebois in una scena de La misura del dubbio

Carrelli, movimenti di macchina lenti, primi piani e la fotografia satura di Jean-François Hensgens scandiscono il tono visivo del film che copre un arco narrativo di tre anni. Quelli necessari ad arrivare al verdetto. Un percorso lungo in cui l'avvocato difensore di Daniel Autiel dà tutto se stesso convinto dell'innocenza del suo assistito. Appesantito in determinati passaggi dal voice over, _La misura del dubbio_non sceglie la struttura narrativa lineare preferendo che il montaggio di Valérie Deseine giochi con i flashback.

Un film che rimane sospeso a metà tra l'interessante riflessione sulla giustizia dibattuta nelle aule di tribunale e la mancanza di quello scarto in più necessario per trasformarlo in un titolo fuori dalla media. L'aspetto più riuscito del film è la dinamica che si crea tra l'accusato e il suo avvocato. Un rapporto che dovrebbe basarsi sulla sincerità e la fiducia. La sceneggiatura scritta a quattro mani da Autiel e Steven Mitz riesce nell'intento, rendendo proprio "la misura del dubbio" così palpabile fino ai minuti finali del film.

Conclusioni

Daniel Autiel parte da una storia vera di cronaca, raccontata dall'avvocato penalista Jean-Yves Moyart, per portare sul grande schermo una riflessione sulla giustizia. Quella che si dibatte nelle aule di tribunale e che porta ad un verdetto spesso basato su elementi dai contorni sfumati. Un film nelle atmosfere dettato dall'ambientazione del sud della Francia e da una regia fatta di primi piani, lenti movimenti di macchina e carrelli. Interessante anche il rapporto tra l'accusato e il suo avvocato per un polar che resta nella media.

Movieplayer.it
2.5/5
Voto medio
4.1/5

Perché ci piace

  • La scelta di un caratterista come Grégory Gadebois
  • La riflessione sulla giustizia dibattuta nelle aule di tribunale
  • L'ambientazione francese “inusuale” che dona al film un'atmosfera precisa
  • La dinamica tra l'accusato e il suo avvocato

Cosa non va

  • L'uso del voice over
  • Il film non fa mai lo scarto necessario per elevarsi dalla media