Non possiamo che iniziare la recensione de La mia prediletta con una conferma, nonostante forse ci farà sembrare un po' ripetitivi: i tedeschi sanno scrivere le serie tv. La serialità, soprattutto quella intinta nel mistero, sembra proprio nel loro DNA, così come accade agli inglesi e agli americani oltreoceano. Poche settimane dopo avervi consigliato Souls, vi invitiamo ad approcciarvi alla visione di questo nuovo prodotto teutonico, disponibile dal 7 settembre su Netflix, in questo modo: preparatevi a rimanere sorpresi e sbigottiti.
Chi è Lena?
Tratta dal romanzo omonimo, successo d'esordio della scrittrice tedesca Romy Hausmann, che a sua volta prendeva spunto non solo dai casi di cronaca relativi a donne rapite e tenute in cattività, ma in particolare dal caso Fritzl, La mia prediletta è stata adattata per la tv da Isabel Kleefeld e Julian Pörksen. La protagonista di questa storia è Lena, una donna che dopo aver vissuto per anni segregata insieme ai due figli, Hannah e Jonathan, in una casa fuori dal mondo, riesce a fuggire ma viene investita da un'automobile nel bosco. In ospedale, il suo caso porta subito molte domande ai medici e agli infermieri di turno, così come allo psicologo infantile che prova a carpire maggiori informazioni dalla dodicenne Hannah mentre la madre è operata d'urgenza.
Questo perché la bambina, a differenza di altri casi simili che abbiamo già visto in tv e al cinema - due su tutti, pensiamo a Maid sulla stessa piattaforma e a Room con Brie Larson sul grande schermo - conosce moltissime cose del mondo esterno, pur avendo vissuto sempre tra le quattro mura domestiche, nonostante non le abbia mai effettivamente viste e vissute. Eppure dà informazioni contrastanti sulla madre. E la donna potrebbe non essere Lena, la studentessa scomparsa 13 anni prima il cui caso si riapre improvvisamente, facendo accorrere in ospedale il detective del caso, rimasto legato ai genitori che non hanno mai perso la speranza.
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Un'altra valida serie tedesca
Fin da queste prime informazioni, in cui abbiamo cercato di spoilerarvi il meno possibile sulla trama de La mia prediletta per non rovinarvi la sorpresa e la visione, avrete intuito come in questa storia ne siano raccolte tante altre, come una matrioska televisiva. Quella di una coppia che subisce un rapimento, che in casi come questo fanno il giro del mondo anno dopo anno. Quella di una donna separata dai propri cari e costretta a seguire determinate regole a determinati orari, tanto da esserne fortemente condizionata anche una volta "libera". Quella di due bambini nati e cresciuti in cattività e che quindi come degli animali in gabbia non conoscono le "regole" del mondo esterno e pensano che quelle stabilite dal genitore/rapitore rappresentino il normale corso della vita e della giornata. Quella di una "famiglia" che deve sembrare felice e perfetta a tutti i costi, e può farlo solo dentro le mura di una casa, che si può chiamare tale perché vi si trova la suddetta famiglia, generando una sorta di ricircolo ideologico. Tutte queste linee narrative sono sapientemente mescolate insieme tra di loro, senza dimenticare le storie personali dei due principali detective che seguono il caso a distanza di 13 anni: quello di Lena a suo tempo e quello della Lena di adesso.
Per Lena
La mia prediletta funziona forse più nel suo svolgimento che nelle conclusioni che trae dalla propria tesi. Sono più appassionanti i colpi di scena che si susseguono nel corso delle sei puntate che compongono la miniserie, rispetto alla vera e propria risoluzione finale, nonostante assesti comunque qualche bel colpo. La tensione narrativa regge bene tra un cliffhanger e l'altro, tra una parola sussurrata e l'altra, (di)mostrando come funzionino bene la recitazione di sottrazione degli interpreti, i loro sguardi sommessi e corrucciati, l'incedere della macchina da presa sui loro pensieri sottoforma di ricordi spesso falsi e falsati, amplificati da un montaggio forse a volte troppo confuso e ipercinetico.
Poiché dopo un forte trauma la memoria può giocare brutti scherzi. I pezzi del puzzle sono forniti allo spettatore ma sarà lui a doverli rimettere insieme alla fine, trovando una risposta a praticamente tutte le domande principali del mistero. Un caso e una storia che propongono svariati punti di riflessione per il pubblico: quanto può essere deleterio un imprinting che ci ha condizionato così tanto la vita fin dal nostro primo respiro? Perché gli uomini hanno un tale bisogno di controllo sull'altro sesso? Ci possiamo davvero sentire sicuri in una società in cui siamo costantemente sorvegliati da qualsiasi telecamera? Il rapitore è quasi come il regista di questa storia drammatica e tristemente attuale, di questo thriller pieno di suspense, e sembra non voler lasciare la presa sulla telecamera fino alla fine.
Conclusioni
Abbiamo parlato della tematica dei rapimenti e relative prigionie di giovani donne nella recensione de La mia prediletta, perché al centro del racconto e del messaggio che si porta dietro. La nuova serie tedesca originale Netflix però conferma la bravura di quella serialità, che ha tutte le carte in regola per appassionare un ampio pubblico sulla piattaforma, tanto quello che si sentirà catturato dal thriller pieno di colpi di scena, quanto quello che sarà attratto dal lato psicologico e intriso di dilemmi morali.
Perché ci piace
- Scrittura e regia tengono alta la tensione per tutti i sei episodi.
- La bravura degli interpreti che lavorano di sottrazione.
- La storia che richiama tanti casi di cronaca diversi e le relative riflessioni sulla nostra società che questi comportano.
Cosa non va
- La risoluzione con un po' meno pathos rispetto alle precedenti puntate.
- Un montaggio a volte un po’ troppo caotico e confuso.
- Alcuni snodi narrativi poco chiari o poco realistici.