Il bisogno forte di rinnovare il nostro cinema, legandosi a quel linguaggio e a quei generi che, in Italia, faticano a convincere i produttori. Eppure, e nonostante lo scetticismo, il terreno è fertile. Certo, dall'altra parte, e dietro la lodevolissima intenzione, non tutto funziona. Resta però vitale e fondamentale la voglia di cambiare, mischiando i generi, superando la zona di comfort. Come nel caso de La Guerra del Tiburtino III, opera terza di Luna Gualano presentata in anteprima ad Alice nella Città (a proposito, recuperato l'ottimo film d'esordio, Go Home - A casa loro).
La Guerra del Tiburtino III è in qualche modo puro nella sua commistione, ma anche profondamente debitore a opere come L'invasione degli ultracorpi di John Carpenter e, ancora di più, debitore ad Attack the Block - Invasione aliena, film del 2011 con John Boyega. Come in quel film sci-fi, anche qui c'è lo sfondo di una periferia ben definita e delimitata, diventando il microcosmo di una (dis)avventura bislacca e scorretta (ma fino ad un certo punto), che preme sul dinamismo della fantascienza piuttosto che sull'organicità dello script. Dietro l'azione, infatti, c'è l'aspetto più interessante de La Guerra del Tiburtino III; nascosta dalla coltre da b-movie, c'è un ritratto interessante sulla forma sociale delle periferie, divenute in qualche modo il nuovo centro delle metropoli.
La Guerra del Tiburtino III, la trama: se gli alieni atterrano a Roma Est
Lo avrete capito fin dal titolo: la periferia in questione è quella di Roma, nell'estremo est. Lì, tra i palazzi grigi che si innalzano verso il cielo, piomba uno strano meteorite. Nel quartiere c'è fermento, anche perché Leonardo De Sanctis (Paolo Calabresi) sembra prendersela con i soliti "stranieri". Lo stesso Leonardo che raccoglie il meteorite, venendo così "infettato" dalle enormi larve aliene contenute nel sasso spaziale. Nel Tiburtino le persone iniziano quindi a comportarsi in modo decisamente strano (o almeno, più strano del solito).
Ad indagare - si fa per dire - c'è Pinna (Antonio Bannò), il figlio spacciatore di Leonardo. Con lui gli amici Chanel (Francesca Stagnì) e Panettoni (Federico Majorana), oltre all'intrusa di turno, ossia Lavinia Conte (Sveva Mariani), influencer di Roma Nord che si ritrova bloccata nel quartiere. Ma come estirpare un pericoloso avamposto alieno, precursore di una guerra tra mondi? Magari, potrebbe venire in soccorso il primer di mamma Marica (Paola Minaccioni) che fa l'estetista...
Se la periferia diventa cinema pop (ma forse troppo stiracchiato)
Quello che rimane di positivo è la tecnica e il gioco estetico di Luna Gualano, che dimostra una certa dimestichezza e un certo linguaggio, sapendo prendere il meglio dai propri attori (Antonio Bannò e Sveva Mariani sono perfetti per i ruoli), e angolando il tono generale in funzione della sceneggiatura. Come detto, ne La guerra del Tiburtino III viene risaltato anche l'approccio pop all'orizzonte della periferia (e la Periferia Est di Roma ha un certo fascino), giocando con i cliché e con i luoghi comuni, volutamente enfatizzati in chiave quasi fumettistica. Ecco, il film della Gualano sembra uscito da una graphic novel indipendente, tanto per personaggi quanto per indole, sfruttando i colori saturi e le vibes analogiche da cinema anni Ottanta e Novanta, di cui la regista si fa in qualche modo testimone.
Ciononostante, è la scrittura che si inceppa in un meccanismo che non va né avanti né indietro (e la frettolosa reunion di Boris perde immediatamente mordente, inserendo forzatamente i camei di Carolina Crescentini e Francesco Pannofino), probabilmente gracile per sorreggere una struttura davvero importante e teoricamente promettente. O meglio: ne La guerra del Tiburtino III accade ben poco, e alcune dinamiche non vengono supportate (la figura dell'influencer "pariola" Sveva Mariani avrebbe meritato più spazio). Accade poco in poco tempo (novanta minuti), arrivando comunque ad un finale attuale: l'unione fa la forza, e tutti dovremmo ritrovare un essenziale senso di comunità. Del resto, l'idea de La guerra del Tiburtino III resta affascinante, ma forse eccessivamente stiracchiata.
Conclusioni
Digressione pop per un film di genere dalla buona idea ma dalla struttura fragile. Come scritto nella recensione de La guerra del Tiburtino III, l'opera mischia lo sci-fi alla black comedy in salsa romana, mescolando anche l'estetica analogica ai guizzi fumettosi. Un buon cast e un buon pretesto, ma l'azione diventa fin troppo stiracchiata per reggere. Resta l'intenzione di portare in Italia un archetipo ampiamente battuto all'estero.
Perché ci piace
- L'estetica pop.
- La cornice.
- L'idea.
- Antonio Bannò e Sveva Mariani...
Cosa non va
- ... ecco, il personaggio di Sveva Mariani avrebbe meritato più spazio.
- L'idea c'è, ma viene fin troppo stiracchiata.
- Un cinema italiano in qualche modo nuovo, ma estremamente derivativo. E il pubblico di riferimento lo capisce subito.