Nicolangelo Gelormini, per quasi due ore, ci trascina in un buco senza fondo, fetido e terrificante. Estrapola l'orrore, lo plasma, lo addomestica portandolo ad un livello più alto, sfiorando i picchi del miglior racconto cinematografico ispirato al vero. La gioia - presentato alle Giornate degli Autori 2025 - è un ottimo film. Lo è nella regia, nella scrittura, nelle interpretazioni. Il tempo e lo spazio, e poi l'ossatura gigantesca di un film capace di "produrre un'irreversibile collisione", per citare le note dell'autore napoletano. Sì, come nelle migliori pellicole horror. Tra i gesti e i raccordi di scena, l'intreccio velenoso in cui l'irruzione del male plagia e corrompe la purezza dell'animo. Come un virus, masticando cellula dopo cellula. La gioia funziona perché muove e smuove, contorce e inquieta, artiglia e mozzica, diventando instantanea fuori fuoco di un'umanità senza redenzione.
La gioia, dietro la cronaca c'è un grande film

La gioia, scritto dai giovani e bravi Giuliano Scarpinato, Benedetta Mori, in collaborazione con Chiara Tripaldi e con Nicolangelo Gelormini (a dimostrazione di quanto esista, viva e ragioni un nuovo cinema italiano) è ispirato implicitamente ad un fatto di cronaca - drammatico, triste, meschino - avvenuto qualche anno fa: il delitto di Gloria Rosboch. Uno spunto, una traccia, un'interpretazione a favore di narrazione, mentre Gloria diventa Gioia, interpretata da Valeria Golino. Fa l'insegnate di un liceo dell'hinterland torinese, tifa Juve, "non ha mai conosciuto l'amore", e vive ancora con i genitori anziani. Sguardo incantato, sguardo leggero di un'esistenza senza tempo.

Dall'altra parte c'è Alessio (Saul Nanni), studente avvelenato e velenoso: da "grande vuol fare i soldi", intanto si "traveste da sogno" facendo le marchette, spinto dall'amico di famiglia, nonché suo amante (Francesco Colella). A proposito di famiglia: Alessio è il frutto di una "madre che ha dimenticato di fare la madre" (Jasmine Trinca, mai così spietata), diventando quindi il pretesto e il contesto per l'elevazione di Alessio verso la cattiveria più sordida. Incapace di amare, spinto da un effimero riscatto, il ragazzo, tra l'assurdo e il proibito, si avvicina a Gioia, anima di cristallo che finirà, irrimediabilmente, per rompersi.
Un incubo travestito da sogno

A metà tra il gesto e il raccordo, nello sbilenco anzi obliquo sguardo di Gelormini, La gioia avanza stretto nel montaggio teso e frenetico di Chiara Vullo, e avanza alternando le quattro facce degli interpreti, che si prendono la scena, ragionando di sottrazione (splendido Saul Nanni) e quindi ragionando seguendo una logica ferrea che non rinuncia all'istinto e alla pancia. Merito della direzione di Gelormini, merito di un casting che non sbaglia un nome. Sullo sfondo, una provincia immobile. Gabbia onirica, patina oleosa esaltata dalla fotografia di Gianluca Rocco Palma. Dietro, l'incongruenza dei sentimenti rispetto ad un mondo secco e torbido, in cui gli incubi si travestono da sogni. Proprio come nei film dell'orrore, da consumare con la luce accesa, perché i mostri sono lì, annidati nell'ombra pronti a saltar fuori.
Mostri e diavoli, reali e vicini, eppure riscritti in funzione di una fantasia che rilegge il nostro presente, le nostre esistenze. Esistenze sperdute, isolate, irrequiete. E cosa c'è di meglio quando un film rifiuta il genere per esaltare la storia, il contesto e i personaggi, assottigliando le motivazioni, e quindi la logica, senza aver l'ardire di definire oggettivamente il male? Ma come nei film di paura (e ne La gioia c'è anche un inaspettato utilizzo del jumpscare), la musica diventa il perfetto spartito per l'orrore (orecchie dritte al sound di Tóti Guðnason, dai tratti jazz), organizzando una tensione che martella senza lasciar scampo, e anzi alza il tono di attimo in attimo, fino a stringersi in un silenzio attonito che non prevede respiro. Resta solo il canto di una tortorella, ignara testimone di un mondo brutale e spaccato, in cui ogni sacrificio non porta speranza ma solo indicibile dolore.
Conclusioni
Come funziona l'orrore. Nicolangelo Gerolmini traccia un quadro teso e movimentato di un sogno trasformato in un incubo. Fragilità e dolcezza, i mostri e gli angeli. Da un fatto di cronaca rivisto e interpretato al servizio di un cinema strutturato e compiuto, capace di inquietare e, addirittura, spaventare. Perfetto il cast, a cominciare da Saul Nanni e Jasmine Trinca. Mai così cattiva.
Perché ci piace
- Saul Nanni, strepitoso. Come tutto il cast.
- Il tono che cambia, senza punto di riferimento.
- Le venature orrorifiche.
- La colonna sonora.
Cosa non va
- Forse la prima parte incide meno della seconda.