Recensione La donna dello scrittore: Christian Petzold e i conflitti fuori dal tempo

La recensione de La donna dello scrittore: arriva in sala il nuovo, interessante film del pluripremiato regista tedesco presentato in concorso a Berlino.

Transit: Franz Rogowski in un'immagine del film
Transit: Franz Rogowski in un'immagine del film

La donna dello scrittore è il nuovo lungometraggio scritto e diretto da Christian Petzold, presentato in concorso alla Berlinale 2018. Protagonista della vicenda è Georg (Franz Rogowski), costretto a fuggire dalla Francia insieme ad altri rifugiati durante un conflitto non precisato. Arrivato a Marsiglia, zona di transito per chi spera in un futuro migliore, si ritrova ad assumere l'identità di uno scrittore defunto di cui ha ottenuto i documenti. Bloccato nella città marittima, fa la conoscenza della giovane Marie (Paula Beer), che aspetta l'arrivo del marito di cui si sono perse le tracce. Ironia della sorte, si tratta dell'uomo che Georg sta impersonando...

Transit: Paula Beer in una scena del film
Transit: Paula Beer in una scena del film

Passato, presente e futuro

L'unico difetto maggiore de La donna dello scrittore, ottavo lungometraggio del cineasta tedesco Christian Petzold, è proprio quel titolo italiano, che banalizza un soggetto tutt'altro che elementare e continua il trend di dare ai suoi film appellativi inadatti nelle nostre sale (il precedente Phoenix divenne Il segreto del suo volto, mentre Barbara fu inutilmente allungato in La scelta di Barbara). Così facendo si travisa in parte il senso dell'opera e si perde anche l'efficacia del titolo originale, Transit, e delle sue sfumature: da un lato c'è il vero passaggio, fisico, a Marsiglia per fuggire verso terre più accoglienti, dall'altro la transizione da un'identità all'altra. Ma c'è anche un senso più profondo, legato alla cronologia ambigua del racconto: in teoria siamo nella Francia occupata dai nazisti, ma altri elementi suggeriscono un'ambientazione contemporanea. Un anacronismo voluto che colloca il film in una zona intermedia, di transito appunto, dove un conflitto reale del passato si tramuta in una guerra ipotetica nel presente o in un futuro prossimo.

Transit: Franz Rogowski in un momento del film
Transit: Franz Rogowski in un momento del film

Una scelta dettata, secondo lo stesso Petzold, dalla realtà in cui viviamo: sebbene il film sia liberamente basato su un romanzo autobiografico dell'autrice tedesca Anna Seghers, dato alle stampe nel 1944 e incentrato sui rapporti tra rifugiati in una Francia sotto occupazione nazista, l'ispirazione per portare questa storia sullo schermo sarebbe nata anche dal rischio, in tempi recenti, che i partiti di estrema destra tornassero al potere in Germania. Da lì nasce la natura duplice e ambigua di un film che si muove costantemente tra passato e presente, recuperando gli orrori di ieri per ricordarci che non vanno ripetuti oggi. Da quel punto di vista La donna dello scrittore, anzi Transit, diventa anche un'opera di transizione nella filmografia del regista, che ha sempre affrontato le questioni storiche e politiche direttamente (basti pensare proprio a Il segreto del suo volto, sulle esperienze di una donna ebrea in Germania subito dopo la Seconda Guerra Mondiale) e qui invece si muove in territori più astratti ma non per questo meno terrificanti, scaraventandoci in un non-luogo e un non-tempo fin troppo riconoscibili.

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Attrazione doppia

Transit: Paula Beer e Franz Rogowski in un momento del film
Transit: Paula Beer e Franz Rogowski in un momento del film

Si muove su un doppio binario anche la performance di Franz Rogowski, nei panni di un personaggio che, scaraventato in mezzo al conflitto senza luogo e senza tempo messo in scena da Petzold, è quasi un non-individuo, dall'identità altalenante, come se la sua vita fosse soggetta agli impulsi creativi dell'artista di cui ha ripreso il nome. Incarna fisicamente il clima incerto che attraversa tutto il film, con l'unica parziale ancora di salvezza rappresentata da Paula Beer, attrice-rivelazione degli ultimi anni grazie a Frantz di François Ozon e qui calata nuovamente in un contesto sentimental-misterioso su sfondo bellico. La sua presenza spiega quel titolo italiano ingannevole, che rende giustizia a un ruolo non indifferente ma sminuisce il messaggio generale di un lungometraggio ambizioso, intelligente e a tratti inquietante che non si riduce alla sola storia d'amore. Difatti tale elemento è solo una minima parte di un discorso più complesso, meravigliosamente astratto, sul ripetersi implacabile della Storia. Che sia il 1942 (anno in cui è ambientato il testo originale) o il 2018, poco importa: i problemi rimangono gli stessi, e noi, il più delle volte, siamo solo di passaggio, transitiamo.

Movieplayer.it

3.5/5