La concessione del telefono, la recensione: La Sicilia del 1800 dal romanzo di Camilleri

La recensione di La concessione del telefono, film Tv tratto dal romanzo omonimo di Andrea Camilleri, commedia satirica ambientata nella Sicilia del 1800.

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La concessione del telefono - C'era una volta Vigata: Fabrizio Bentivoglio in una scena

Dopo La mossa del Cavallo e La stagione della caccia, un nuovo romanzo di Andrea Camilleri, tratto da quelli ambientati a Vigàta nel 1800, ha trovato la sua trasformazione cinematografica, in onda in prima serata su Rai1 il 23 marzo. Come sveleremo in questa recensione di La concessione del telefono, l'ambientazione storica, l'impianto teatrale e una scrittura dal buon ritmo, riescono ad evidenziare il carattere attuale e satirico del testo originale dello scrittore scomparso a luglio del 2019.

A dirigere questo nuovo adattamento, Roan Johnson, qui alla sua seconda regia di un film tratto dai romanzi di Camilleri dopo La stagione della Caccia. Questa volta Johnson si unisce a Francesco Bruni nella scrittura della sceneggiatura con la supervisione dell'autore di Montalbano. Il titolo ci introduce già al filo conduttore delle vicende e gli enigmi che coinvolgono i personaggi di questa fiaba siciliana: Pippo Genuardi (Alessio Vassallo), commerciante di legnami di Vigàta vorrebbe tanto possedere un telefono. Scrive cosi tre lettere al prefetto, pretendendo una risposta. Quel che sembreranno allo spettatore dei semplici capricci di un uomo, porteranno ad una catena di eventi ed equivoci che condenseranno l'anima satirica del genio di Camilleri: sottolineare quanto la stupidità umana sia divertente, autolesionista e senza tempo.

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Cose scritte e Cose dette

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La concessione del telefono - C'era una volta Vigata: un'immagine del film

Non era impresa facile quella di portare sul grande schermo (il film sarebbe dovuto uscire come evento per tre giorni al cinema) e in prima serata un romanzo dalla struttura narrativa complessa e per dirla citando lo stesso Roan Johnson, "originale". La concessione del telefono è infatti un libro che si divide letteralmente in "cose scritte" e "cose dette" facendo in modo che il lettore abbia i retroscena, una sorta di dietro le quinte su ciò che muove veramente le azioni e i pensieri degli interlocutori della storia. Johnson e Bruni riescono a sostenere narrativamente questa divisione e il film ne giova quasi subito perché non fa che solleticare la curiosità dello spettatore. L'unico quesito a cui il pubblico non potrà rispondere fino alla fine è il perché dell'ostinazione di un bamboccione come Genuardi per questo telefono a cui nessuno, a parte lui, nella piccola cittadina di Vigàta, è interessato.

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Azioni reazioni ed equivoci

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La concessione del telefono - C'era una volta Vigata: Corrado Guzzanti in una scena

Nel guardare la concessione del telefono dopo un po' ci si rende conto di essersi fatti trasportare dal meccanismo del film: coesistono una tranquillità paciosa da spettatore teatrale, chi seduto sulla sua poltrona si gode il susseguirsi di equivoci, azioni (paranoie, invidie, colpi alle spalle) e reazioni e quella ansietta da piccoli cliffhanger, derivante dalla consapevolezza acquisita maggiormente ad ogni minuto che passa, che non andrà a finire come immaginavi. Al Pippo Genuardi che insiste sul telefono infatti corrisponde la reazione del prefetto, napoletano paranoico che parla con i numeri della smorfia, un Corrado Guzzanti chiaramente esaltato dal ruolo. Il vedere cospirazioni in ogni dove del prefetto Marascianno genererà azioni avventate che un più calmo e razionale Questore Monterchi (Thomas Trabacchi) dovrà tenere a bada. E che dire invece del "cattivo" di Vigata, Don Lollò Longhitano (Fabrizio Bentivoglio)? Farlo felice potrebbe essere cosa utile per il Genuardi e la sua missione telefonica.

Un film corale

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La concessione del telefono - C'era una volta Vigata: una scena del film

C'è spazio per tutti i personaggi e le loro particolarità e fissazioni in La concessione del telefono. Il tocco di Camilleri nell'estremizzare le caratteristiche e le qualità dei suoi protagonisti per renderli un modello di un'Italia che pensiamo non ci sia più ma che è tutt'altro che dimenticata, regala al cast grandi possibilità interpretative seppur nel range della satira. Indimenticabile il siparietto che coinvolge, in confessionale, padre Macaluso ( Ninni Bruschetta) e la parrocchiana Taninè Schilirò (Federica De Cola), moglie dell'irrequieto Genuardi: una confessione-discussione sul piacere, il debito coniugale e una nota cattolica sugli orifizi "vasi" giusti e quelli contro natura.

L'italia di oggi nella Sicilia di ieri

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La concessione del telefono - C'era una volta Vigata: Dajana Roncione in una scena

Vengono in mente le lezioni che a scuola ci facevano su I Promessi Sposi, sulla morale derivante dalle conseguenze delle azioni di molti dei personaggi principali o sull'attualità-archetipica di figure come quella di Don Abbondio. Camilleri possedeva quella capacità lì, sapeva fotografare l'essere umano, i suoi pregi e i suoi mille prevedibili difetti. La maggior parte dei personaggi di La concessione del telefono si sentono più furbi degli altri, sentono di saperne di più, di essere migliori.

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La concessione del telefono - C'era una volta Vigata: Alessio Vassallo durante una scena

Quest'attitudine e velocità nel tradire, sparlare, presumere di sapere se catapultata da Vigàta all'Italia di oggi, a quella piccola città che è il mondo social, diventa la chiave per vedere La concessione del telefono sotto la luce dell'attualità. Dal 1800 torniamo al momento attuale e ci facciamo una bella risata amara. Una piccola nota alla sorpresa finale: anche se le conseguenze sono nefaste, sono sempre le passioni il movente di tutto.

Conclusioni

Concludiamo la recensione di La concessione del telefono con la consapevolezza che il genio narrativo di Camilleri diventa tesoro nelle mani di chi ha la capacità di trasformarlo efficacemente in immagini. Roan Johnson confeziona una commedia satirica che ha il sapore di uno spettacolo teatrale classico e di quei film in costume perfetti per la prima serata di Rai1. Chi saprà coglierne anche l’attualità del messaggio ci avrà guadagnato anche una riflessione prima della buona notte, per tutti gli altri, 1 ora e 50 di intrighi e colpi di scena tra cavalli, carrozze, lettere e tradimenti.

Movieplayer.it
3.5/5
Voto medio
2.9/5

Perché ci piace

  • Alternare le lettere ai dialoghi stimola la curiosità dello spettatore.
  • C’è un buon ritmo dato dai continui intrecci e incastri.
  • L’ostinazione del protagonista è tanto irritante quanto coinvolgente.

Cosa non va

  • L’impianto teatrale e il dialetto siciliano possono stabilire troppa distanza con uno spettatore distratto.
  • Ha bisogno di qualche minuto perché ci si abitui a stare in quel mondo.