Gabriele Mainetti si fa attendere, ma quando poi arriva è una goduria. La sua terza opera da regista, La città proibita, è un mix sorprendente di cinema italiano e film di kung fu. Siamo ancora nella sua Roma, precisamente all'Esquilino, a piazza Vittorio, ovvero la Chinatown della Capitale.

Il quartiere è sempre più multiculturale e un giorno, all'improvviso, nella cucina del ristorante "da Alfredo", baluardo della romanità, irrompe una ragazza cinese dalla furia incontenibile, Mei (Yaxi Liu). Il cuoco Marcello (Enrico Borello), tra un colpo e l'altro, capisce che sta cercando suo padre, l'Alfredo dell'insegna. I due cominciano così un percorso per le strade della città all'inseguimento della verità.
Nel frattempo anche la madre di Marcello, Lorena, interpretata da una Sabrina Ferilli notevolissima, si chiede che fine abbia fatto il marito. Su di loro c'è l'occhio attento di Annibale, un Marco Giallini strepitoso, che ha sempre le mani in pasta in qualche affare losco. Cuori spezzati, grattugie, echi di Shakespeare, un'infinità di cravatte: nella nostra intervista Mainetti e Ferilli ci danno un assaggio di quel piatto a metà tra tradizione e innovazione che è La città proibita.
La città proibita: intervista a Gabriele Mainetti e Sabrina Ferilli
Probabilmente siamo di parte, perché, da quando ci ha folgorato, ormai dieci anni fa, con il suo esordio Lo chiamavano Jeeg Robot, vogliamo bene a Gabriele Mainetti e alla sua idea di cinema. Però, esattamente come è stato per quel film e poi per il successivo, Freaks Out, anche stavolta non possiamo non dire: una cosa del genere non è mai stata fatta in Italia.
Senza rivelare troppo, possiamo dire che il combattimento iniziale di La città proibita è da perdere la testa. Soprattutto quando viene coinvolta una grattugia. Ecco come ci ha lavorato: "Avevo in mente questo inizio ancora prima di incontrare Stefano Bises e Davide Serino, gli sceneggiatori. Volevo fare questo gioco di ingannare lo spettatore. Poi il mio amore per il cinema di arti marziali e per il cinema d'azione, per le scene di combattimento e per quello che significano nella storia di questa arte, pensiamo a Buster Keaton e a Chaplin nel cinema muto, o anche a Griffith, mi ha guidato".
"Ho lavorato con Liang Yang, che è un grandissimo coreografo: gli ho spiegato quello che volevo fare e lui mi ha seguito. Avevo bisogno di un'artista marziale vera, che capisse come raccontare questo personaggio, quindi ho lavorato con una stuntwoman, non con un'attrice, che poi in realtà, secondo me, ha dimostrato di essere capace di fare anche quello. La grattugia è una conseguenza dell'intelligenza fisica e istintiva del personaggio: quello che trova a portata di mano lo usa per difendersi".
Sabrina Ferilli tra Roma e Shakespeare

In La città proibita (recensione qui) ci sono più anime. Una è quella immortale di Roma, l'altra viene da lontano, dall'Asia. E poi c'è anche il grande dramma universale, come ci spiega Sabrina Ferilli: "Non credo che Gabriele mi abbia preso come simbolo di romanità: serviva una donna con una forte romanità. Questa è una Roma multietnica, interculturale. Si sente tantissimo nel sapore, nel clima, nella temperatura. Però levati i monumenti, che si vedono nei giri che fanno i ragazzi, da cui si capisce che stai a Roma, in realtà sei nel mondo. La nostra storia è la storia degli uomini: c'è amore, guerra, tensione, sangue e poesia. C'è Shakespeare qui dentro: c'è Iago, la gelosia che porta alla morte. Sono temi fondamentali dell'essere umano. E poi ci sono un'infinità di cravatte!".
Mangiare l'amatriciana con le bacchette
A sottolineare questo discorso, se vogliamo, l'immagine simbolo del film è l'amatriciana mangiata con le bacchette: unisce sia la fusione di generi cinematografici, sia questa idea di Roma come specchio del mondo. Come è venuta in mente a Mainetti? Il regista: "Ho viaggiato tanto nella mia vita e ho conosciuto tante parti di Roma. Abito a 150 metri da piazza Vittorio e quindi mi piace raccontare gli esseri umani. Piazza Vittorio è uno spazio interculturale incredibile: ho pensato che una storia che si ibridasse con il genere di arti marziali potesse essere ambientata unicamente lì".

"L'immagine dell'amatriciana con le bacchette nasce proprio dall'unire gli ingredienti che si usano in due cucine diverse nello stesso piatto. È un'immagine molto divertente, un gioco molto cinematografico, che non so quanto abbia senso nella vita, però racconta molto il film_".