Ancora una volta Gabriele Mainetti ci ha stupiti. Dopo Lo chiamavano Jeeg Robot e Freaks Out, il regista romano continua a sfruttare il genere e proporre un cinema dall'approccio internazionale, ma dal sapore così incredibilmente e autenticamente locale con La città proibita. Un terzo film, ora al cinema, che merita di essere approfondito anche per la sua colonna sonora, che potete ascoltare su tutte le piattaforme streaming. Un sound che ha la capacità di accompagnarne le immagini in modo puntuale, efficace. Corretto, con una propria dignità, ma senza la deriva di prendere il sopravvento.

Ne abbiamo parlato con il suo autore, il compositore Fabio Amurri, con cui avevamo già avuto modo di parlare in occasione del suo lavoro per Call My Agent 2 e che ci aveva colpiti per il suo approccio alla musica pensata per accompagnare le immagini, che abbiamo ritrovato anche in questa occasione. Una chiacchierata iniziata da una curiosità: come gli ha raccontato Mainetti un film così unico per il nostro cinema? E la curiosità è presto soddisfatta: il lavoro sul film è iniziato tardi rispetto alla produzione, tanto che al suo arrivo esisteva già un montaggio a cui ispirarsi. Due note le ha però avute da subito: non andare sull'elettronica troppo spinta e di non giocare troppo con i cliché del genere, di non lasciarsi ingannare da esso.
Immagini che parlano da sole
Della colonna sonora de La città proibita colpisce subito la coerenza stilistica, quel filo conduttore che accompagna sequenze molto diverse tra loro come quelle di combattimenti rispetto per esempio alla bellissima gita turistica romana in motorino. "Quello era l'obiettivo, è sempre importante trovare una chiave di lettura più coesa. Come nel film c'è il cibo, lo stesso ho dovuto fare io: trovare una ricetta con ingredienti molto diversi. Se ci siamo riusciti è perché ci sono dei temi, come quello di Mei, che tornano e per lo stile. Abbiamo lavorato molto sul dettaglio, perché quando riesci a trovare una palette sonora che funziona per le varie situazioni, la sfida è vinta."

E lo possiamo confermare, convinti da questi colori che Amurri ha saputo trovare, che avevano ben chiare anche le fonti d'ispirazione: "Se pensi al Kung Fu in Italia, può venire in mente più Jackie Chan che Bruce Lee, ovvero un approccio più leggero al combattimento. Invece, a parte un paio di momenti, il tono è molto drammatico. Ed è un dramma che emerge dall'attrice che interpreta Mei, che porta il dramma in ogni colpo. La musica non fa che accompagnare" ed enfatizzare quella carica di tensione della bravissima Yaxi Liu. Non è però solo combattimento La città proibita e la musica di Fabio Amurri doveva funzionare "anche con il personaggio di Annibale, un elemento di rottura che incarna quell'Italia che ci ha stancato, e la parte romantica e il finale. Quello di cui sono contento, e che credo che siamo riusciti a fare, è che nella parte finale che pure è molto romana la musica è più asiatica che in precedenza, come a dire che Mei ha portato questo dramma a Roma, che ha portato la sua voglia di vendetta su Marcello."
Le difficoltà della musica de La città proibita
Ed è evidente questa intenzione, riascoltando la musica di Amurri in quest'ottica, ma che difficoltà ha avuto nel comporre lo score del film per arrivare a questo risultato? "C'è stato qualche problema di tuning all'inizio, perché Gabriele fa un cinema unico e come compositore sono fortunatissimo a lavorare a un suo film, ma è stato necessario trovare un equilibrio per far sì che la musica potesse 'competere' con la potenza delle immagini e l'abbiamo fatto puntando sull'aspetto drammatico invece che enfatizzare la spettacolarità."
Una difficoltà che si è concretizzata maggiormente nel decidere come trattare il personaggio di Annibale: "ha tante scene in cui è sempre attivo e parla molto, avevamo bisogno di un tema molto italiano e melodico, ma che si prestasse a essere trasformato in vesti diverse. Se vuoi un tema che possa evolvere insieme al personaggio, che lo accompagni, c'è bisogno che il pubblico lo senta più volte e lo riconosca, ma in un film così variegato è stato difficile da bilanciare."

Un lavoro che è sicuramente evidente ascoltando più volte la musica o guardando più volte il film, ma, come sottolinea Amurri, "quel che conta è la prima visione!" E non vale solo per la musica, ma per ogni aspetto del film. Ed è stato così anche per lui, visto che quando è arrivato ha potuto vedere il film già montato? "La percezione è importante. Se da compositore voglio fare una musica tensiva e il regista mi dice che quella scena non ha quella caratteristica, allora c'è un problema. Se invece ho quella intenzione ma il regista mi dice che la tensione in quella particolare scena la ha già dal montaggio, per esempio, allora è un discorso di direzione ed è il bello del lavoro. Ed è in quei momenti che bisogna ragionare sulla comprensione della storia e tornare ad analizzarla. All'inizio quello che volevano era la mia visione, perché la musica è un altro livello e può aggiungere altri elementi, poi ovviamente ci si confronta per trovare l'equilibrio tra tutte le parti."
Attingere al mare della musica

E cosa ha ascoltato mentre componeva la musica per La città proibita? "Tante cose, perché è stato un lavoro pieno di tanti elementi diversi" ma ha anche cercato di andare "sulla musica pura" evitando di ascoltare altra musica per immagini, perché quella a sua volta è stata ispirata da altro ed è come "andare a prendere un bicchiere d'acqua da un secchio che è stato preso dal mare", attingere a quella che è già di per sé una sintesi. "Il compositore che è un po' riscoperto e che ho ascoltato tanto, anche se lui è giapponese, è stato Takashi Yoshimatsu, perché scrive principalmente musica pura che però è anche molto tradizionale e ha quelle sonorità sicuramente che io personalmente interpreto come asiatiche, ma tenendo presente la sua origina e rispettando le differenze culturali che possono esserci rispetto alla Cina. Poi ho ascoltato molto anche Antonín Dvořák, che anche Mainetti adora, perché ci serviva a capire come inserire quell'aspetto folkloristico. Insomma cercare di andare a prendere musica fuori dall'immagine."
Il ruolo della musica

Sia in Call My Agent che ne La città proibita la musica è molto presente, ma una musica molto presente può essere un potenziale difetto di una colonna sonora? "Può esserlo come può esserlo in contrario. La regola oggi è non guidare troppo lo spettatore, che oggi è molto più preparato di quanto potesse esserlo negli anni '90. Prima la musica doveva veramente dirti molto prima che quello era il cattivo, mentre adesso se fai quell'errore madornale già hai spoilerato prima di cominciare. Però in realtà c'è anche il rischio di non fare abbastanza." Equilibrio anche in questo caso. "Questo film ha tanta musica e in questo caso parliamo di una storia molto semplice nella sua struttura che porta dei messaggi molto complessi e penso che la musica aiuti a far passare quell'elemento favolistico che ti permette di accettare molti aspetti, di non farti fare troppe domande."
Miss Fallaci e la forza di Oriana
Restando sull'attualità, non possiamo non citare anche il lavoro fatto su Miss Fallaci, che ha da poco terminato il suo passaggio televisivo. Una sovrapposizione casuale, perché a quel progetto aveva lavorato diverso tempo fa, ma la cui programmazione sulla Rai l'ha reso contento perché ha permesso alla serie di trovare un pubblico ampio. "Con quel lavoro sentivo la responsabilità di andare a mettere musica su quel personaggio. Mi sono immaginato Oriana molto determinata, e non ce la vedevo in Oriana che avesse una melodia vera e propria, perché lei pensa solo al lavoro in quella serie finché non si innamora e anche quando lo fa lei lo prende quell'amore come fosse lavoro. È un'ossessione e ci va con la sua determinazione nello stesso modo in cui insegue la verità. Per quella serie ho suonato i temi come se fossero scritti a macchina: ha quattro o sei note in varissime versioni, ma vanno sempre a scendere e poi salgono, che è qualcosa che mi ricordava un po' quel movimento delle macchine da scrivere."
Non è però l'unico elemento che ha caratterizzato la colonna sonora di Miss Fallaci: "mi interessava molto il discorso ritmico che nella musica ti fa pensare a un personaggio che usa molto la mente, che deve ingegnarsi. E poi un'altra particolarità è che c'è una musica quando è in redazione che non è propriamente da battaglia, ma caratterizzata da dei rullanti molto ritmici. Quel tema l'avevo pensato più per un altro aspetto ma il montatore ha avuto l'idea di usarlo lì e ho apprezzato la scelta, perché prepara a capire perché Oriana è in certo modo e giustifica le sue scelte successive in cui aiutava i partigiani, perché la musica ti portava già in quel contesto di guerra nella sua vita lavorativa quotidiana. È uno di quei casi in cui la musica effettivamente riesce un po' a mettere su schermo quello che il regista non può mettere in altro modo."
Lavorare per il cinema e la televisione
In che si differenzia il lavoro per il cinema rispetto a quello per la televisione? "Io credo che un tempo fossero ancora più diverse. Adesso le serie TV hanno il problema di essere stradilatate, ma io sono cresciuto con serie che erano episodiche, poi hanno iniziato a mettere alcuni elementi che si sviluppavano sull'arco di più episodi e degli strascichi di quello ce l'abbiamo ancora. La prima differenza infatti è che in una serie ci sono delle situazioni musicali che tu scrivi e tornano e poi il montaggio segue, è anche un discorso proprio tecnico, per tempistiche, per comodità. Quindi per esempio c'è un tema che rappresenta la parte investigativa, e tu sai che quando c'è la parte investigativa c'è quel tema. Poi nelle serie con un budget un po' più elevato, allora vai sempre a cucire bene sulla singola scena. Questo è qualcosa che con i film non succede."

Questa la differenza di base di metodologia di lavoro, ma oggi le serie tv sono diventate molto più preponderanti per lo spettatore, che è "molto più esposto a esse di quanto lo sia stato in passato e inoltre quel metodo di lavoro". Questa familiarità, oltre che l'effettiva comodità sia per montatore che compositore di lavorare in quel modo, fa sì che spesso i metodi di lavoro si interscambino. Capita quindi di usare un approccio da serie anche nei film, perché "il pubblico è abituato a una musica che non si leghi in modo così stretto alla singola scena, che sia più un tappeto." Quindi oggi la musica per film finisce per essere influenzato dall'ambito della servilità.
Ma lui in che ambito si trova più a suo agio? "Quando lavori a Serie TV e c'hai tempi strettissimi, dici cavolo voglio fare solo film, poi fai i film e stai una settimana a fare tre secondi e ti dici che vuoi fare serie. Quello che posso dirti è che mi trovo meglio quando ho le sceneggiature forti." E in fondo alla fine sempre lì si torna, alle grandi storie, come può essere quella de La città proibita.