Recensione Días de gracia (2010)

Poco originale dal punto di vista narrativo, il film di Everardo Gout punta su trovate visive anche affascinanti dal punto di vista tecnico e un montaggio frenetico che però finisce presto con lo stancare soprattutto considerati i molteplici livelli temporali e narrativi e la durata notevole di una pellicola che ne esce eccessivamente appesantita.

La città del dio pallone

Una metropoli, Città del Messico; tre mondiali di calcio, quelli del 2002, 2006 e 2010; tre storie di ordinaria violenza che si intersecano, si confondono e spesso si ritrovano. Tutto questo e molto di più è Dìas de gracia, esordio al lungometraggio per il regista Everardo Gout, presentato fuori concorso al 64. Festival de Cannes, una pellicola hard boiled in salsa messicana caratterizzata da uno stile moderno, iper-stilizzato.
In Messico il calcio è un qualcosa di sacro, e durante il campionato del mondo perfino l'altissimo tasso di criminalità si abbassa un po', perché l'intero paese è troppo preso dalla squadra del cuore o quella sulla cui vittoria hanno puntato: sono appunto i "giorni di grazia" a cui il si rifà il titolo del film, giorni in cui sia poliziotti che criminali approfittano di questa condizione "ideale" per fare un po' di pulizia, anche all'interno della loro casa.

Nonostante questa premessa, il calcio non va mai oltre l'essere un semplice background, in alcuni casi un vero e proprio rumore di sottofondo, un vero peccato se consideriamo che le storie raccontate, benché vagamente ispirate a fatti realmente accaduti, non sono particolarmente originali: due rapimenti - uno vissuto dal punto di vista del rapito, l'altro da quello della sua famiglia impegnata nel racimolare i soldi del riscatto - e la storia di un coraggioso poliziotto che nel combattere la corruzione presente nel proprio distretto si trova coinvolto in una vendetta personale. Quest'ultima storyline è decisamente la più coinvolgente ed ispirata, anche se ha non pochi debiti verso altre pellicole, non ultima quel La notte non aspetta di qualche anno fa.

Forse è proprio a causa di questa poca originalità che Gout abusa di trovate visive anche affascinanti dal punto di vista tecnico (piani sequenza acrobatici e improbabili, inseguimenti con steady-cam, fotografia sporca, lens flare, etc.) e un montaggio frenetico e quasi da videoclip che però finisce presto con lo stancare soprattutto considerati i molteplici livelli temporali e narrativi e la durata notevole di una pellicola che ne esce eccessivamente appesantita.

Movieplayer.it

3.0/5