La chiave della verità
Mike Enslin è uno scrittore di successo. Dopo i primi best-seller si è dedicato ad un lavoro singolare: recensire i luoghi più terrificanti del mondo e trarne dettagliate guide al terrore. Il suo ultimo lavoro è "10 notti nelle camere d'albergo infestate dai fantasmi".
Refrattario a qualunque suggestione paranormale, pernotta con spirito critico in questi luoghi decretandone fortuna o insuccesso, alla ricerca del luogo perfetto. Quando riceve il singolare invito a "non pernottare" nella stanza 1408 del Dolphin Hotel di New York, accetta inevitabilmente la sfida, gettandosi a capofitto in un'avventura dagli sviluppi inquietanti.
1408 è tratto dal racconto omonimo incluso nella raccolta Tutto è fatidico pubblicato nel 2002 e scritto da Stephen King.
Il cast tecnico che ne ha curato la realizzazione ha una vasta esperienza d'orrori e tensione, primo fra tutti il regista svedese Mikael Håfström che di recente s'è fatto notare con pellicole quali Derailed e Drowing Ghost. La sceneggiatura curata da Matt Greenberg ha le stesse note di presagio d'altri suoi lavori quali Profezia, Halloween 20 anni dopo e Il regno del fuoco. Importante il contributo del montaggio di Peter Boyle che ondeggiando tra l'onirico e il grottesco conferma un talento che gli valse la nomination all'Oscar nel 2002 con The Hours per la regia di Stephen Daldry. Le scenografie di Andrew Laws conferiscono realismo ad una vicenda pseudo-paranormale confermando le attese create in collaborazione con Joel Schumacker per The number 23. La sinergia di tali professionisti ha reso possibile la realizzazione di una pellicola che mantiene alta la tensione per tutta la prima parte, senza mai scadere nel ridicolo. Una volta che l'incubo è svelato, la vicenda prosegue senza troppe delusioni, fino ad un epilogo velatamente romantico.
Il protagonista è un uomo disincantato, ferito e deluso dalla vita che gli ha portato via gli affetti più cari; per sopravvivere, ha bisogno di misurarsi con un mondo surreale perché non è più in grado d'affrontare la realtà. La psicologia spicciola che cerca di descrivere in via universale l'amante del terrore come un individuo fragile, prendendo spunto da Enslin, è apprezzabile poiché passa attraverso l'interpretazione di un ottimo John Cusack. Il suo personaggio passa da una prima fase di scetticismo quasi divertito, in cui la sfida lo spinge a sottovalutare qualunque ammonimento, ad un secondo tempo in cui, il dubbio inizia ad insinuarsi nella sua mente, lasciando il posto alle paure ataviche, fino a concretizzarle nel terrore puro. Il crollo delle certezze scientifiche dell'uomo moderno, lo lascia nudo di fronte a forze soprannaturali incontrollabili, costringendolo ad un confronto con i fantasmi soffocati per troppo tempo. Di fronte alle sue fragilità irrisolte, emerge la paura dell'ignoto, materializzata nella perdita degli affetti e nella solitudine.
Il film non si sofferma troppo sulla spiegazione del perché la stanza generi il male, cosiccome non cerca di chiarire se ciò che accade a Mike è reale o sono solo allucinazioni; evidente è il degrado emotivo che gli scava dentro durante la permanenza nella stanza, rappresentato visivamente dai fenomeni che si manifestano. Il muro che sanguina, la finestra che scompare e il ghiaccio che subentra sono correlati agli stati emotivi di Mike che, chiuso fra quelle mura, deve superare i suoi drammi interiori; limiti che non conosceva. La solitudine è l'unico espediente per affrontare le spaventose prove emotive che per troppo tempo ha rifiutato. Solo accettando la sfida potrà superare la paura di vivere.
Il delicato ruolo di John Cusack ne conferma il talento, poiché egli riesce a tratteggiare il suo personaggio coi toni lievi di un bohemienne un po' retrò, il quale tormento interiore affiora con l'evolversi della vicenda in maniera impercettibile ma via via più concreta. Mike cresce, a costo delle ore di terrore trascorse nella stanza e la conclusione liberatoria lascia intendere che non ci sia paura tanto grande da poter essere vinta in nome dell'amore.
A fianco di Cusack, impegnato in un monologo per quasi tutta la durata del film, Samuel L. Jackson: è affidato a lui il ruolo fondamentale di creare tensione nella presentazione della stanza. Il suo direttore del Dolphin Hotel tenterà di dissuadere Enslin dal pernottare nella stanza ma, ogni avvertimento, ogni divieto, non faranno altro che accenderne la curiosità di conoscere da vicino la 1408. L'aura di mistero che circonda il manager Oslin insinua il dubbio che abbia attirato lui stesso Enslin per disinfestare la stanza o per ucciderlo. Il senso di premonizione che trasmette in poche battute ne conferma le doti interpretative.
Nonostante le ottime referenze 1408 soffre di un grande limite: l'autore del soggetto, Stephen King, in evidente crisi ispiratrice ha scritto un racconto troppo evocativo di vecchie glorie legate a fantasmi ed alberghi che, per gli appassionati del genere, non può che fare pensare a Shining. Troppi gli elementi in comune: un albergo maledetto, uno scrittore stralunato, fantasmi legati a morti misteriose avvenute nell'albergo... persino il direttore di colore!
Nonostante qualche lifting ed una conclusione un po' diversa, l'opera è concettualmente identica con l'aggravante che non ci sono né Kubrik né Nicholson dietro e davanti alla macchina da presa; il triste effetto nostalgico è dietro l'angolo.