Iniziamo la recensione de L'Uno, il film disponibile in streaming su Chili dal 23 novembre, e quando possibile nelle sale, dalle regole per un Capodanno sicuro che leggiamo all'inizio del film. Il coprifuoco vieta di uscire nelle strade dopo le 5 del pomeriggio. Si deve festeggiate in casa, in compagnia di soli parenti e amici stretti. Sono vietati droni, botti e fuochi d'artificio. Sono vietate feste ed eventi non ufficiali. Tutto queste prescrizioni vengono adottate a causa dell'Uno di Ogimomo, un oggetto volante non meglio identificato che da quattro mesi è apparso nei nostri cieli. È un evento immaginario, straordinario, quello che vediamo nel film. Ma, se leggete quelle prescrizioni, sembra di assistere alle nostre vite di oggi. È per questo che L'Uno, tratto dall'omonimo spettacolo teatrale del 2018 della compagnia Contrasto, scritto e girato prima della pandemia scoppiata nel 2020, in attesa di arrivare al cinema non appena sarà possibile, esce in questo momento in streaming. A conti fatti, si tratta di un film profetico, che ha anticipato molti aspetti di quello che stiamo vivendo in questi giorni. Ed è questo a renderlo un film suggestivo, intrigante, anche se, a conti fatti, irrisolto e incompiuto. Ma, in fondo, non è così anche il mondo che stiamo vivendo oggi?
La trama: L'ultimo Capodanno dell'Uno di Ogimomo
Il 14 agosto, nel cielo, è apparso un enorme, rotondo oggetto volante non meglio identificato. Lo chiamano l'Uno di Ogimomo, dal nome del suo scopritore. Uno, una volta arrivato, si è fermato lì, nel cielo, si muove su se stesso, ma ai nostri occhi rimane immobile. Forse è pericoloso. O forse no. Ma è qualcosa che incombe sulla nostra vita e sulle nostre abitudini. E su quelle di Marta (Elena Cascino) e Tommaso (Matteo Sintucci), lei architetto, lui studente, che per la vigilia di Capodanno organizzano una festa in casa, un affascinante loft arredato con gusto vintage. Con loro ci sono Giulio (Stefano Accomo), il miglior amico di Marta, che a sorpresa si è portata una sua nuova conquista, Claire (Anna Canale), una ragazza francese conosciuta appena la sera prima. E poi c'è Cecilia (Alice Piano), la giovane sorella di Marta. Arriverà ancora qualcuno. E qualcosa sta per succedere...
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L'Uno: la forza profetica
La particolarità de L'Uno, scritto da Anna Canale, Paolo Carenzo, Elena Cascino, Carlo Alberto Cravino, Alice Piano e Matteo Sintucci, che sono quasi tutti gli attori che mettono in scena la storia, e diretto da Alessandro Antonaci, Stefano Mandalà, Daniel Lascar e Paolo Carenzo, è proprio in questa sua forza profetica, in questa sua intuizione che, a causa degli eventi accorsi quest'anno, lo ha reso qualcosa di speciale. L'Uno, questa entità silente e sconosciuta, da simbolo universale delle nostre paure e di tutto ciò che ci condiziona, è diventata una metafora precisa, perfetta, del Covid-19. Un qualcosa che non conosciamo, che potrebbe ucciderci ma anche no, che forse non ci farà niente, ma che è lì fuori, incombe su di noi. Ci condiziona, ci limita, ci tiene sulle spine. È una spada di Damocle. È qualcosa che limita i nostri movimenti: le intuizioni sul coprifuoco nel tardo pomeriggio, delle serate in casa in quattro o cinque persone e non di più, sono sorprendenti. È la nostra storia di oggi, c'è poco da fare. Battute come "pensi che questa sia una situazione normale?", ma anche "la gente ha dovuto iniziare a pensare a qualcosa che non fossero le solite cazzate", "ha messo tutti alla prova", sembrano scritte in questi giorni, eppure sono state scritte prima. Merito degli attori/sceneggiatori, che comunque sono stati bravi a intuire come, nella nostra società super sicura di sé, basta un avvenimento per scombussolare tutto.
La natura teatrale de L'Uno
La natura teatrale de L'Uno si sente tutta, ed è allo stesso tempo la forza e la debolezza del film. Partiamo da questo secondo aspetto. Molto spesso la recitazione degli attori è ancora prettamente teatrale: lo si nota in tutta la prima parte, dove spesso le battute sono urlate, enfatizzate come se si fosse davvero a teatro e la voce dovesse raggiungere la platea e impressionarla. Siamo al cinema, una battuta si può anche sussurrare, che i microfoni e la macchina da presa riescono comunque a coglierla. Anche la regia, che giustamente cerca di seguire l'azione senza strafare, sembra pensare molto all'insieme, descrivendo ciò che accade in campi lunghi o in piani americani, e rinunciando alla possibilità di avvicinarsi - e avvicinarci - agli attori, di cogliere i primi piani, i dettagli, le sfumature.
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Una compagnia affiatata
L'altro lato della medaglia di un film che nasce da un'opera teatrale è il grande affiatamento della compagnia, i perfetti tempi comici, una macchina oliata che va avanti alla perfezione. I protagonisti di Uno sono proprio una compagnia che si scrive le proprie piece e le mette in atto, cosa più usuale a teatro, più rara al cinema, dove di solito a scrivere le sceneggiature sono un paio di persone, e non sono le stesse che le interpretano. Questo affiatamento, questa sintonia tra i protagonisti è una delle cose che tiene vivo il film, soprattutto dopo una prima mezz'ora che è molto interlocutoria, apparentemente superficiale, ma serve per introdurci i personaggi e portarci in quelli che, a tutti gli effetti, sono un secondo e un terzo atto più sorprendenti del primo.
Alice Piano, la rivelazione
A proposito di teatro, i protagonisti de L'Uno sono "sei personaggi in cerca d'autore", se per autore intendiamo un proprio senso, un proprio posto nel mondo. Sono Uno, come recita il titolo, ma anche nessuno e centomila: non sanno ancora chi sono, e sono molte persone diverse a seconda di chi le guarda. Ne L'Uno quindi c'è Pirandello, il Covid-19, la fantascienza, e forse anche il Beckett di Aspettando Godot. È un film claustrofobico, tutto girato in interni, a parte tre flashback che ci portano all'esterno, e riescono ogni volta a cambiare tono rispetto a quello grottesco e sopra le righe dell'azione principale: è comico il primo, drammatico il secondo, sentimentale il terzo. Da questi flashback capiamo come i registi sappiano lavorare sui colori: c'è del verde nei primi due, e il rosso e il blu nell'altro. Dalle note di regia apprendiamo che il verde significa pericolo e sfortuna in un caso, immaturità e ingenuità nell'altro. Il rosso e il blu sono amore e passione il primo, malinconia e isolamento il secondo. È un flashback che chiude il film, e approfittiamo per segnalare l'attrice che è al centro della scena, e che spicca in un cast tutto di ottimi attori: è Alice Piano, nei panni della giovane Cecilia, il personaggio più bello del film. È l'attrice dall'estrazione più cinematografica, e anche questo le fa gioco. Uno è un film da vedere subito, perché sta raccontano la nostra vita, qui e ora.
Conclusioni
Nella recensione de L’Uno vi abbiamo raccontato che il film, tratto dall’omonimo spettacolo teatrale del 2018, scritto e girato prima della pandemia scoppiata nel 2020, è un film profetico, che ha anticipato molti aspetti di quello che stiamo vivendo in questi giorni. Ed è questo a renderlo un film suggestivo, intrigante, anche se, a conti fatti, irrisolto e incompiuto. Ma, in fondo, non è così il mondo che stiamo vivendo oggi?
Perché ci piace
- La forza profetica che ha anticipato la situazione che viviamo oggi.
- L'affiatamento tra gli attori, che hanno portato già questa storia a teatro.
- La cura nella fotografia, che colora in modo deciso l'azione principale e i flashback.
Cosa non va
- La natura teatrale dell'opera si sente in alcuni aspetti, come la recitazione.
- Anche la regia guarda più alla visione d'insieme, come a teatro, più che sui dettagli e i primi piani.
- Tutta la prima parte, anche se funzionale, rimane piuttosto superficiale.