L’oro del Reno, recensione: un viaggio tra mito e realtà

Dopo il premio per la miglior regia all'ultimo Bif&st l'esordio alla regia di Lorenzo Pullega arriva in sala. Un viaggio sulle sponde del Reno italiano, tra antiche leggende e realismo magico.

La scena di apertura del film 'L'oro del Reno'

Un debutto alla regia ambizioso e stratificato, che intreccia mito e contemporaneità, visioni oniriche e ricordi, in un viaggio fantasmatico lungo le sponde del Reno italiano. Premio per la miglior regia all'ultimo Bif&st, L'oro del Reno di Lorenzo Pullega si presenta come una sinfonia visiva e concettuale sul tema dell'invisibilità e dell'identità. Il giovane regista bolognese, forgiatosi sui set dei Manetti Bros (L'ispettore Coliandro, Diabolik), fa proprie le suggestioni mitologiche del folklore emiliano e delle storie che al fiume della sua infanzia appartengono, costruendo un'esperienza cinematografica che lavora sulla potenza archetipica delle immagini e sull'incontro tra mito e memoria personale.

Tra miti, credenze popolari e realismo magico

L Oro Del Reno Lorenzo Pullega Photo Credits Nicole Manetti
Il regista Lorenzo Pullega sul set del film.

L'idea alla base è quella contenuta nella sequenza manifesto de L'oro del Reno, scena di apertura del film: un manipolo di melomani giapponesi agghindati da vichinghi risalgono il Reno agitando uno stereo che suona il primo dei quattro drammi musicali della tetralogia L'anello del Nibelungo di Richard Wagner di cui sono fan sfegatati e che vogliono così omaggiare. Peccato che siano sul Reno sbagliato: non quello cantato dal compositore teutonico, ma il fiume omonimo e ben più piccolo che bagna l'Emilia Romagna. È da questo errore paradossale che parte il racconto di Lorenzo Pullega, un viaggio dalla sorgente alla foce del fiume nell'Adriatico popolato da bizzarri personaggi, credenze popolari, miti persi nella notte dei tempi e un presente che trascolora nel realismo magico.

L Oro Del Reno Frame
Rebecca Antonaci su un letto alla deriva in una scena del film.

Il compito di viaggiare e testimoniare i racconti ambientati lungo le sponde del Reno spetta a un regista invisibile, incaricato da uno strambo circolo locale di realizzare un documentario. Per tutto il film lo spettatore sarà accompagnato solo dalla sua voce narrante (Neri Marcorè) e dal suo sguardo intento a raccogliere appunti e impressioni di viaggio. Un peregrinare in cui le storie si susseguono una dopo l'altra senza soluzione di continuità; quasi un film a episodi abitato da sogni, favole d'altri tempi, racconti horror, presenze fantasmatiche, momenti romantici, memorie dal sottosuolo e un'umanità variegata.

L'oro del Reno, Rebecca Antonaci: "Sono interessata alle storie. Proteggo la mia vita all'infuori del lavoro"

Il potere delle immagini

L Oro Del Reno Sequenza
Uno dei membri della comunità "Il popolo del sole" sulle sponde del Reno.

L'oro del Reno si muove per accostamenti, simboli, frammenti in parte provenienti dal vissuto di Pullega intento a costruire una sorta di mitologia personale, che celebra la terra in cui è cresciuto tra ricordi e incubi d'infanzia. Un susseguirsi di scene a tratti sorrentiniane, sospese tra il grottesco e l'onirico, il realismo e il fiabesco: ci sono le anziane signore che si godono i benefici dei fanghi miracolosi delle terme di Porretta, una coppia litigiosa, una stravagante comunità di bagnanti (il Popolo del sole) che di quelle sponde ha fatto il proprio habitat naturale, un lavoratore che si muove tra i tunnel sotterranei di Bologna, "una città sotto la città". Stralci di realtà si alternano a scorci di paesaggi lunari, che arrivano da chissà dove persi nella nebbia, mentre antichi miti si mescolano a fatti realmente accaduti: capita così di passare dal racconto dei cercatori d'oro nella notte, "ombre di sonnambuli che si muovono nel buio", all'oscura leggenda dei bambini annegati nel Reno, o che il coro delle mondine di Bentivoglio accompagni le memorie di un gruppo di donne, che ricordano il lavoro nelle risaie intonando canti antichi.

L Oro Del Reno Scena
Un gruppo di ragazzi fa il bagno nel Reno

Succede anche che la sinistra immagine di un Grand Hotel abitato da presenze fantasmatiche ceda il passo ai corpi nudi di un gruppetto di ragazzi che fa il bagno nel fiume, e che un solitario campanile (simbolo di tutto ciò che rimane della piccola località contadina di Durazzo distrutta dalle alluvioni) preceda l'immagine di una impavida e giovane sposa (Rebecca Antonaci) alla deriva su un letto galleggiante. Sul piano visivo il film rivela una straordinaria eleganza formale, complice la fotografia di Alessandro Veridiani e una regia che lavora per sottrazione e rimandi. Cinema come atto poetico e esercizio di memoria: L'oro del Reno si colloca proprio in questa terra di mezzo, diventando riflessione sul tempo e le proprie_ radici. Il racconto si fa atto salvifico, come ci ricorda una delle battute finali: "Solo le storie si muovono al di là di questo orizzonte, solo così riusciamo a ricordare e a vivere ancora"_.

Conclusioni

L’oro del Reno è un’opera prima intima e visionaria, un viaggio tra mito e memoria collettiva che segna il promettente esordio alla regia di Lorenzo Pullega. Il film costruisce un mondo fatto di simboli, reminiscenze, immagini del folclore emiliano e storie della tradizione orale. Un equilibrato mix di generi dall’horror al mockumentary attraverso i quali il giovane regista bolognese esplora diversi registri narrativi: l’onirico, il grottesco, il comico o il romantico. Un raro esempio di cinema sperimentale, che dimostra una sua precisa identità e mai artificioso.

Movieplayer.it
3.0/5
Voto medio
N/D

Perché ci piace

  • Uno sguardo autoriale autentico.
  • La giusta combinazione tra antichi miti, suggestioni personali e realismo.
  • Il coraggio di una narrazione libera da schemi predefiniti.

Cosa non va

  • La struttura frammentaria può risultare ostica per chi cerca una storia lineare.