Recensione Maria Full of Grace (2004)

Per questo suo esordio nel lungometraggio, lo statunitense Joshua Marston sceglie un tono duro e realistico, ma tuttavia non privo di momenti di dolcezza, di "aperture" a un senso di fiducia che sopravvive nonostante il degrado rappresentato.

L'inferno e la grazia

Colombia, una piccola città rurale nel bel mezzo delle colline. Maria ha 17 anni, un lavoro noioso con un capo dispotico, una famiglia che contribuisce a mantenere, un fidanzato con cui non tutto va per il verso giusto, dal quale tuttavia sta per avere un bambino. La povertà unita alla voglia di evadere da una routine soffocante portano la ragazza ad accettare la proposta di un giovane appena conosciuto, che le offre di fare la mula per un trafficante di droga locale: Maria dovrà ingoiare delle capsule contenenti eroina, e trasportarle nel suo stomaco fino a New York. Il guadagno è allettante, tale da cambiere la vita della ragazza, ma naturalmente non tutto va come previsto.

Per questo suo esordio nel lungometraggio, lo statunitense Joshua Marston (già giornalista e autore di cortometraggi) sceglie un tono duro, realistico, non conciliatorio ma tuttavia non privo di momenti di dolcezza, di "aperture" a un senso di fiducia che prende corpo e si rafforza nel film nonostante l'estremo degrado rappresentato. Maria full of grace è principalmente la storia di un'adolescente che lascia il suo microcosmo per scoprire il mondo esterno, venendo a contatto soprattutto con i suoi lati peggiori: è molto convincente la rappresentazione che il regista fa della vita del villaggio colombiano, dura ma "calda", fatta di contatti umani reali e duraturi, contrapposta all'alienazione metropolitana vista dagli occhi di una diciassettenne, che per anni aveva sentito parlare della "terra promessa" statunitense. Così, in quello che è un vero e proprio romanzo di formazione, Maria, accompagnata dalla sua migliore amica Blanca, dovrà attraversare un inferno fatto di violenze, di inganni e di morte (quella di un'altra mula con cui aveva fatto amicizia), mostrando tuttavia un'insperata forza, trasmessale dal coraggioso sacerdote Don Fernando e rafforzata dal bambino da lei portato in grembo.
La regia di Marston si caratterizza per l'estremo realismo della messa in scena (coadiuvata in questo da un'ottima fotografia, sgranata e dall'aspetto volutamente "povero"), e per un rigore e un controllo ineccepibili, anche nelle sequenze a più alto contenuto emotivo. Lo script ben descrive le istanze diverse e a volte contrastanti che muovono le azioni della giovane protagonista, creando un climax che coinvolge in modo semplice e diretto. Gran parte del lavoro, in questo senso, viene fatto dagli attori, tutti non professionisti e tutti in grado di rispondere ottimamente alla sfida di un film molto "impegnativo" dal punto di vista attoriale: oltre alla protagonista Catalina Sandino Moreno, esempio di fragilità e forza che si rivela perfetto per il personaggio di Maria, sono da ricordare Yenny Paola Vega nel ruolo della spaventata e sperduta Blanca, e Orlando Tobon, autentico sacerdote che nella realtà si occupa di dare assistenza ai "corrieri" e alle loro famiglie, e che nel film interpreta quindi sé stesso.

Meritatamente premiato in vari festival internazionali (citiamo il premio a Berlino per la migliore opera prima, e il premio del pubblico al Sundance Film Festival), questo film si rivela dunque un esordio importante, diretto con un rigore e una sicurezza che non sembrano propri di un esordiente, e soprattutto nato dalla genuina istanza di raccontare: dove il soggetto del racconto, in questo caso, è una storia che per stessa ammissione del regista ne riflette tante altre, con le quali era venuto a contatto e dalle quali era rimasto colpito. Cinema realistico nel senso più alto del termine, quindi, che riesce a fare denuncia senza "urlare", e che non perde di vista la sua funzione di narrazione della vita di uomini e donne: ce n'è ancora un gran bisogno.

Movieplayer.it

4.0/5