Recensione Jenifer - Istinto assassino (2005)

Un'opera che conferma, se ancora ce ne fosse bisogno, l'impasse creativo di Dario Argento, e dà ad esso un triste, ma innegabile, marchio di irreversibilità.

L'Argento che non brilla più

Ci si chiede da tempo, da reduci testardamente attaccati ai fasti di un italico cinema di genere che non esiste più, che fine abbia fatto il vero Dario Argento, dove sia finito quel regista visionario e dalle straordinarie capacità tecniche che per tanto tempo ha saputo rappresentare, come nessun altro, la materia degli incubi. Domanda ricorrente e, viene da pensare arrivati a questo punto, un po' oziosa. Anno dopo anno, film dopo film, emerge sempre più chiaramente un concetto semplice e, proprio in virtù della sua semplicità, capace di chiudere qualsiasi discussione o dubbio sull'argomento: quello che un tempo era un maestro dell'horror-thriller, apprezzato e invidiato da molti colleghi e critici all'estero, ha semplicemente (da tempo) esaurito la sua vena creativa, non ha più nulla da dire e da mostrare, e anche quando si limita a fare il mero esecutore di progetti altrui mostra ormai tutta la sua svogliatezza e il suo disamore per il fare cinema.

Un'ennesima conferma di questo assunto (che, per chi scrive, è anche quella definitiva e incontrovertibile), è questo Jenifer, secondo episodio della serie Masters of Horror vista al recente Festival di Torino, in cui Argento è stato messo in condizione di lavorare nel migliore dei modi: un cast tecnico di tutto rispetto (si pensi al truccatore Greg Nicotero, allievo di Tom Savini), una produzione di livello medio-alto, attori bravi e tali da far dimenticare le ultime, imbarazzanti performances dei protagonisti argentiani (si pensi a quelli di Non ho sonno e Il cartaio su tutti). La trama, ispirata a un fumetto della rivista Creepy Magazine, adattato dallo sceneggiatore Steven Weber, narra di una donna col volto mostruoso, Jenifer, che viene salvata dal poliziotto Frank durante un turno di pattuglia. Impietosito dall'aspetto di Jenifer e dalla sua solitudine, l'uomo finisce per ospitarla a casa sua, ma presto dovrà rendersi conto che la donna ha un animo mostruoso quanto il suo volto: presto, per lui, Jenifer diventerà un'ossessione tale da mettere in pericolo il suo equilibrio psichico.

La sceneggiatura scritta da Weber mostra dei limiti evidenti, principalmente in alcune vistose incongruenze di trama; ma Argento, da parte sua, non si dimostra minimamente in grado di risollevare le sorti dell'episodio, facendo anzi il possibile per affossarlo: la sua regia è scolastica, prevedibile, i tempi narrativi sono mal gestiti, la suspence latita in modo evidente. Sul tutto regna la noia e il piattume di un anonimo b-movie televisivo, mentre il regista si muove tra scene splatter per lui piuttosto inusuali e altre in cui regna il soft-core, altra componente nuova per i suoi film ma qui presente in dosi abbastanza massicce. Non c'è cura narrativa, non c'è tensione, non c'è, soprattutto, quel climax che dovrebbe essere componente essenziale di una storia di possessione, quale questo mediometraggio tenta (maldestramente) di essere.

Così, nonostante gli auspici degli inguaribili nostalgici, nonostante la produzione statunitense che gli ha dato un look più "presentabile" delle ultime opere argentiane, Jenifer finisce inevitabilmente per affondare nelle acque, profonde e stagnanti, dell'impasse creativa del suo autore: non solo incapace ormai di rappresentare i suoi incubi (ammesso che ne abbia ancora), ma anche svogliato e approssimativo quando si tratta di portare sullo schermo quelli altrui. E così, la serie ideata da Mick Garris ha assolto anche, tra le altre cose, il fondamentale compito di testimoniare la fine definitiva di quello che fu un grande regista.

Movieplayer.it

2.0/5