Libero De Rienzo, col suo primo film da regista, vuole lanciare un messaggio preciso: un altro cinema è possibile. Il suo Sangue - La morte non esiste, racconto in acido di una generazione di ribelli innamorati dell'arte e stufi di una società senz'anima, arriva nelle sale dopo aver diviso critica e pubblico al Festival di Locarno. Alla conferenza stampa romana per la presentazione del film, regista e cast ci raccontano la sua genesi e le solite difficoltà distributive per un cinema italiano low-budget, ma ricchissimo di idee.
Il suo è soprattutto un film di immagini. Come ha lavorato alla sceneggiatura?
Libero De Rienzo: Essendo un attore, ho un pizzico di esperienza da lettore di sceneggiature e bisogna dire che da una sceneggiatura non è possibile capire fino in fondo un opera cinematografica. La sceneggiatura del mio film è stata pensata essenzialmente come un racconto che permettesse ai finanziatori di conoscere i temi che volevo trattare. Ero intenzionato ad una defibrillazione del cinema italiano, sia dal punto di vista visivo che narrativo. Il film ha un budget bassissimo, ma delle ambizioni molto alte. Si dice che i film d'autore siano noiosi perché troppo lenti, mentre quelli più dinamici e coinvolgenti spesso mancano di contenuti. Io ho voluto fare un film d'amore per le immagini e per il cinema. Ogni aspetto è stato curato nei minimi dettagli, dal sound design al colore, alla fotografia. E' un film in cui abbiamo lasciato che la vita entrasse, limitandoci soltanto ad interagire con essa.
Non sarà stato facile, per gli attori, lavorare in un film in cui la sceneggiatura ha un ruolo secondario rispetto alle suggestioni visive.
Elio Germano: E' stata un'esperienza molto esaltante, proprio perché nel suo vocabolario mancava la parola "sicurezza". Non era il solito film fatto di mondi ricostruiti, confezionati. Per la prima volta ci siamo trovati liberi di lavorare a un'aderenza totale con i personaggi e c'è voluto tempo per prepararsi, perché volevamo immergerci nella storia. Non è il solito film con una grande produzione, ma è fatto di situazioni reali, come ad esempio le scene del rave, la festa a cui andavamo per rubare cose vere.
Emanuela Barilozzi: Sì, quello che si vede nel film è tutto vero. Sono cambiata molto con questo film, mi ha dato una bella botta. Libero ha creato le condizioni per entrare totalmente nella storia, ma volevo spezzare una lancia a favore della sceneggiatura, perché anche solo leggendola io ho sentito il potenziale mostruoso di ogni sua componente.
Luca Lionello: Ho avuto il privilegio di veder nascere una cosa, che poi è viva e ti guarda. Trovo che Sangue sia un film che tende all'arte, una cosa così bella già dalla sceneggiatura, che avevo il terrore evaporasse. E' stato molto emozionante lavorare con De Rienzo perché molto coraggioso e totalmente disarmato.
Libero De Rienzo: Questo è stato un film a cui tutti hanno lavorato con grande partecipazione. C'era un vero e proprio senso di appartenenza al set. Il film è per un lungo periodo un pezzo di carta e poi, per sempre, un fascio di luce. Abbiamo fatto questo film tutti insieme e tutti quelli che hanno collaborato alla sua realizzazione, dagli attori ai macchinisti, sono proprietari del film.
Al centro del film c'è il rapporto incestuoso tra due fratelli. Perché questa scelta?
Libero De Rienzo: Sì, teoricamente il film parla di un incesto, che eppure non è trattato. Avevamo la necessità di raccontare una storia che per sua natura fosse votata alla tragedia e quindi abbiamo scelto due fratelli, ma le ragioni del film sono nella macchina da presa, non nella sua bocca. Il dato narrativo era una cosa secondaria rispetto alle immagini. Ripeto, io credo che il cinema vada defibrillato, che vadano liberate le potenzialità enormi che ha nel raccontare quella terza dimensione che manca allo schermo.
Ha fatto un film perché attualmente al cinema non c'è nulla che rappresenti realmente la sua generazione?
Libero De Rienzo: Il film nasce da degli spettatori, dei cinefili, prima che da cineasti. La nostra vita, che è un fatto di ore, di minuti trascorsi, non la incontri mai al cinema, o in politica. Sentivo il bisogno di fare un film che rappresentasse un altro modo di stare al mondo, di amare il cinema e desiderare l'arte. Eravamo come zingari che quasi si emarginano per stare insieme. Ora c'è da capire che possibilità abbiamo di superare il confine del ghetto. Il mio è sicuramente un film che può dar fastidio, che può inorridire il caro Benedetto sotto il Cupolone, ma avevamo bisogno di fare un film che urlasse la nostra identità, il nostro modo diverso di stare nel mondo. Questo film è dedicato a tutti i disadattati che non trovano un posto loro nella società.
Il film esce in sole otto sale. Pensate che in Italia non ci sia spazio per un cinema "alternativo"?
Elio Germano: L'uscita in così poche sale è un mio grande rammarico. Chi è a Roma potrà vedere il film in un solo cinema. E' davvero triste vedere tutto il nostro lavoro buttato così, soprattutto per chi, come me, vi ha partecipato praticamente gratis, quando poi ci sono film che escono in 650 sale. C'è bisogno di leggi che in Italia mancano. Un film italiano non può uscire in così poche copie, le sale non posso riempirsi soltanto di Mission: Impossible III e Il Codice Da Vinci. E il problema non è solo cinematografico, la differenza di 650 a 8 può essere ritrovata in tutti i campi artistici, come per esempio quello musicale. La qualità è sempre più nascosta a chi la deve scoprire.
Libero De Rienzo: Il problema è capire se c'è un criterio etico alla base. Trovo sia giusto che convivano sia il commerciale che l'avanguardia, ma è sempre dai risultati di quest'ultima che si sposta l'orizzonte del visibile del commerciale. Se scompare l'avanguardia il cinema muore. Ormai se uno vuole emozionarsi con le immagini deve andare in un museo e non è giusto perché ci dovrebbe essere il cinema per questo. Una volta un film passava in tv dopo quattro anni, dopo essere stato digerito in sala. Ci viene detto che le cose vanno così perché il pubblico vuole vedere film come Il mio peggior nemico e Mission Impossible, ma io non ci credo. Sento tanta gente che si è stufata di andare al cinema perché non ci passa più nulla di stimolante. Mi piacerebbe che queste persone si facessero sentire, uscendo fuori e tornando in sala, a vedere cose diverse, come il nostro film, che ha come uniche, grandi ambizioni l'arte e il desiderio di alzare il livello del cinema italiano. Voglio dare un messaggio preciso, voglio urlare che un altro cinema è possibile, e vorrei tanto che ci fosse una possibilità concreta di democrazia e che tutti quelli che desiderano cinema abbiano modo di vedere questo film, anche se poi finiranno per sputarmi addosso perché non gli è piaciuto.