10 storie. 10 corti. 10 parti di un'antologia che è un importante progetto da parte di Disney+ per far arrivare sulla piattaforma Kizazi Moto: Generazione di Fuoco, dal 5 luglio in esclusiva streaming 10 episodi provenienti da Egitto, Kenya, Nigeria, Sudafrica, Uganda e Zimbabwe per mostrare tutti i colori e le sfaccettature dell'Africa, che è fatta di tanti Paesi e di tanti punti di vista insieme alle loro culture e tradizioni, finalmente mostrati al pubblico in un'ottica diversa, guardando al futuro. Alieni, spiriti e mostri: non manca nulla a questi 10 piccoli gioielli d'animazione che sperimentano e osano, parlando anche di tematiche attualissime come il cambiamento climatico, l'innalzamento degli oceani, il controllo sugli animali, il rapporto con la natura, il rapporto con la tecnologia e i social network.
Ecco quali sono i 10 titoli che compongono Kizazi Moto, insieme ai loro registi e Paesi di provenienza: Polvere di stelle (Ahmed Teilab, Egitto), Mkhuzi: il pilota spirito (Simangaliso "Panda" Sibaya e Malcolm Wopé, Sudafrica), Hatima (Terence Maluleke e Isaac Mogajane, Sudafrica), Enkai (Ng'endo Mukii, Kenya), Mọrèmí (Shofela Coker, autore anche del poster dell'antologia, dalla Nigeria), Surf Sangoma (Nthato Mokgata e Catherine Green, Sudafrica), Mukudzei (Pious Nyenyewa e Tafadzwa Hove, Zimbabwe), I problemi del primo totem (Tshepo Moche, Sudafrica), Herderboy (Raymond Malinga, Uganda) e Tu mi dai il cuore (Lesego Vorster, Sudafrica). Abbiamo incontrato produttori e registi per una lunga chiacchierata su Zoom ed ecco cosa ci hanno raccontato in quest'intervista.
Da Spider-Man: Un nuovo universo a Kizazi Moto
A fare da collante Peter Ramsey, co-regista del film vincitore dell'Oscar Spider-Man: Un nuovo universo e ora produttore esecutivo di Kizazi Moto: Generazione di Fuoco, insieme a Tendayi Nyeke e Anthony Silverston di Triggerfish, lo studio principale di questa antologia. Proprio da Ramsey siamo partiti nella nostra intervista per capire la direzione intrapresa dal progetto che ancora una volta gioca e sperimenta con l'animazione e il multiverso: "Penso che fosse semplicemente arrivato il momento per quest'idea. Sono venuto in Sud Africa nel 2019, invitato al Festival dell'Animazione di Città del Capo, ho conosciuto molte delle persone che hanno lavorato a Kizazi Moto, ho incontrato il Triggerfish Studio e sono rimasto folgorato dall'energia creativa che sprigionava. Sono tornato a casa con la convinzione di aver assistito a qualcosa di veramente speciale e volevo che il resto del mondo avesse la possibilità di vederlo. Sono rimasto sorpreso quando qualche mese dopo sono stati i ragazzi di Triggerfish a contattare me perché volevano creare un'antologia di film realizzati da registi e animatori africani e io sentivo di doverne far parte. È stato un viaggio emozionante durato tre anni veder nascere il progetto e vederlo diventare ciò che è ora".
Sfide e soddisfazioni animate
Qualsiasi produzione porta con sé innumerevoli sfide ma altrettante soddisfazioni. Nell'animazione ancora di più. Lo conferma il regista di Mukudzei, Pious Nyenyewa: "La più grande sfida per noi è stata sicuramente scegliere di cosa parlare attraverso il film, soprattutto avendo solamente una decina di minuti a disposizione. E dico 'solamente' liberamente perché in quel minutaggio puoi raccontare qualcosa di fantastico. Ma la difficoltà sta nel riuscire a condensare tutto in quella durata in modo che il messaggio appaia chiaro, e quindi tendi a dire 'Vorrei dire anche questo ma lo farò in un altro progetto'. La più grande soddisfazione è invece essere riuscito a farlo quasi interamente come ci eravamo prefissati all'inizio. E poi mi piacerebbe che alcuni personaggi che sono davvero fighi diventassero cosplayer al prossimo Comic-Con... chissà!" Tocca a Nthato Mokgata, dietro la macchina da presa per Surf Sangoma: "Per me la sfida è stata sicuramente l'essere abituato a piccoli progetti indipendenti ed essermi ritrovato qui a collaborare con un team molto grande e sparso per tutto il mondo. Quindi un lavoro molto più corale in cui bisognava riuscire ad allinearci tutti sulla stessa lunghezza d'onda. La soddisfazione è in fondo esserci riusciti, anche per quanto riguarda il colore e i capelli dei personaggi, non avendo esperienza nell'illuminare a livello animato la pelle africana".
È super entusiasta Raymond Malinga, regista di Herderboy: "Per me la sfida più grande si è rivelata, dopo essere stati così affamati a lungo di opportunità di rappresentazione come filmmaker africani, aver avuto in fondo davvero troppo poco tempo per imparare tutto (ride), però è stato anche soddisfacente per il duro lavoro svolto e per esserne uscito come un regista migliore di quando ho iniziato. In questo viaggio mi sono fatto degli ottimi amici, e non è un aspetto da sottovalutare. Ero molto curioso di confrontare ciò che facciamo noi in Uganda e ciò che viene fatto a questo livello di animazione nel resto del mondo e sono molto contento di essere stato il più possibile una spugna di apprendimento sotto questo punto di vista".
Tocca dire la sua alla produttrice di Tu mi dai il cuore: "Dover gestire personalità diverse è stata la più grande sfida, ma si è rivelata anche la nostra forza, poiché sentire tutte quelle voci e opinioni diverse, esplorando quella tensione e aprendo una discussione, ci ha permesso di esplorare spazi inediti, trovare soluzioni creative". Le fa eco il regista: Lesego Vorster: "L'animazione scelta per il nostro corto rendeva tutto molto semplificato a livello di resa tecnica. Questo significava concentrarsi soprattutto sulla storia. Di nuovo, una soluzione elegante per ciò che poteva essere percepito come un problema. Ci siamo concentrati su ciò che avrebbe reso forte il racconto piuttosto che sulla resa di un dettaglio in animazione. Ciò che importa alla fine secondo me è ciò che devi dire non come lo dici". Chiude il discorso il filmmaker Isaac Mogajane, dietro Hatima: "Sia io che il co-regista eravamo alla nostra prima esperienza, impari a confrontarti in modo nuovo con gli altri della troupe stando sulla sedia del regista, in modo che tutti possano capire la tua visione del quadro completo. Ma ad essere onesto abbiamo avuto un'ottima produzione (ride). Lo Studio in Irlanda con cui abbiamo lavorato era molto eccitato all'idea e aveva compreso il nostro film. Le sfide sono diventate opportunità per noi alla fine".
Tu mi dai il cuore, un corto animato quasi Black Mirror
Andando maggiormente nello specifico, in Tu mi dai il cuore sono i followers a dettare la vita dei protagonisti. Quanto è importante essere visti nella società di oggi? Il regista Lesego Vorster ci racconta il suo rapporto con i social media: "Abbiamo discusso molto sul come dettare la morte, perché c'è un Dio che cade ma non volevamo usare la parola morte, e ci è venuto in mente di usare la cancel culture. Ci siamo resi conto che la terminologia che ci serviva, in realtà esisteva già. Non sono morti, sono stati cancellati. Diventava sempre più evidente cosa la storia avrebbe dovuto essere e come avrebbe dovuto essere rappresentata, anche ad esempio attraverso le emoticon. I social media sono insomma diventati sinonimo di vita e morte nel corto, anche perché io stesso ho difficoltà nel relazionarmi con quello strumento e il film ne è diventato un riflesso. Avevo chiuso i miei account molto prima del livello 5 durante la pandemia e il lockdown. Molti della troupe hanno iniziato a mettere in dubbio il proprio uso dei social media. Ad esempio se stai scrollando sullo smartphone prima di andare a dormire, ti stanno influenzando".
Poi continua parlando degli avatar degli dèi del film: "Anche quell'aspetto è venuto fuori durante la produzione e durante le discussioni con il Triggerfish Studio e gli sceneggiatori. Come ad esempio i filtri: che succederebbe se gli dèi in realtà usassero dei filtri per apparire giganti e bellissimi? Per essere percepiti dagli altri come vorrebbero in realtà essere visti, a volte addirittura l'esatto opposto di ciò che sono. Ci siamo potuti sbizzarrire tanto per la dèa della bellezza quanto per quello della creatività, ad esempio".
Hatima e il cuore del problema
In Hatima il cuore del racconto sembra essere rimanere in contatto con il proprio spirito, o più precisamente con se stessi, come racconta il regista Isaac Mogajane: "I personaggi sono in conflitto. Soprattutto il ragazzo protagonista si trova in un momento molto fragile e delicato, e il conflitto è la sua risposta alla guarigione. Vuole mettere in atto la violenza per poter guarire, pensando che sia la soluzione. Succede spesso anche nella realtà di finire in questi cicli eterni di violenza sperando ci facciano stare meglio. Ma ovviamente alla fine si rende conto che non è quella la soluzione. Quando parliamo degli spiriti, ci riferiamo alla nostra cultura e tradizione. In molte parti del mondo la nostra storia è stata disconnessa e cancellata da noi, ma è nella storia che possiamo trovare la saggezza per poter andare avanti. Penso parli di questo il nostro corto: capire chi siamo davvero per comprendere chi possiamo diventare, per poterci dirigere verso un posto migliore".
Il pubblico mondiale su Disney+
Uscire su una piattaforma fa sempre un certo effetto perché automaticamente si arriva a un pubblico molto più ampio che in tv (e in sala). Ma che sensazione dà ad un continente che finalmente può avere il giusto spazio e non la solita canonica rappresentazione? Ce lo dice Nthato Mokgata di Surf Sangoma: "Per me è stato davvero interessante nelle ultime settimane. Sono spesso su Twitter e vedere i commenti al progetto a volte cattivissimi mi ha sorpreso comunque in positivo per l'attenzione che gli veniva data. Alcuni mi lasciavano interdetto come 'In cosa stanno trasformando la Disney questi africani?' però è allo stesso tempo appagante essere dentro questa discussione di livello mondiale".
Gli fa eco Pious Nyenyewa di Mukudzei: "Per me è stata quasi un'esperienza extracorporea (ride) come se stessi assistendo alla vita di qualcun altro. Per ciò che abbiamo vissuto come Paese, non pensavo saremmo mai potuti arrivare ad opportunità simili, e invece eccoci qui. Ma durante la lavorazione mi sono assuefatto al lavorare per la Disney pensando all'incredibile occasione che avevo tra le mani, perché poi comunque si tratta di un lavoro. Ma quando vedi il trailer e il poster ti rendi conto che hai lavorato con le stesse persone che hanno realizzato dei veri e propri Classici. Il complimento più bello che abbiamo ricevuto finora dal pubblico è stato 'Non sapevamo di aver bisogno di vedere tutto ciò'".
È d'accordo anche l'altro produttore dell'antologia, Anthony Silverston: "Sapevamo che il progetto avrebbe attecchito a livello locale, perché si basa e celebra quella tradizione, ma che stiano già iniziando a farlo anche a livello internazionale è qualcosa di incredibile. L'animazione ha davvero il potere di cambiare la percezione delle persone e avere un impatto sul mondo". Si apre al futuro Raymond Malinga di Herderboy: "Per me è solamente l'inizio. Anche la musica africana ha raggiunto un pubblico così ampio nel resto del globo, l'AfroBeat è uno dei generi più ascoltati. Possiamo arrivare a quanti più spettatori possibili in un colpo solo. È uno dei primi passi e speriamo ce ne siano molti altri a seguire".
Ecologia e animazione
Kizazi Moto: Generazione di fuoco non avrebbe avuto lo stesso impatto sul pubblico in live action, ne sono certi produttori e filmmaker, anche a livello produttivo sarebbe stato molto più complesso realizzare i corti, come dice Silverston: "L'animazione è più accessibile sia per gli spettatori sia a livello produttivo di budget per creare mondi fantastici. Inoltre paradossalmente l'animazione può creare mondi molto più veri e realistici dei live action a volte quando si tratta di fantascienza". Gli fa eco Malinga: "L'animazione è un medium molto potente. Avremmo potuto comunque avere un certo impatto sul pubblico con il live action se avessimo voluto ma l'animazione è stata la scelta migliore e più funzionale per il progetto". È importante anche l'aspetto ecologico raccontato nei vari film sotto forme e storie diverse. Dice Mokgata: "Penso che come continente viviamo una grande pressione industriale che ha un impatto folle sull'ambiente, sulla società, sugli oceani ma allo stesso tempo è parte della cultura. In Surf Sangoma lo sciamanesimo vede il proprio centro cosmologico nel cuore dell'oceano. Se inquini il mare, danneggi la cultura".
Aggiunge Malinga: "Nel mio film ci sono lo spirito animale e la grande distesa verde. Ciò che volevo raccontare era quanto lontano pensiamo di doverci spostare per ottenere ciò che ci manca come continente per poi scoprire che c'è qualcosa che ci blocca davanti a noi. L'Herderboy del mio film è quello che è racchiuso in ognuno di noi e vuole dimostrare semplicemente quanto vale". Dice Nyenyewa: "Il nostro corto Mukudzei parla di disconnessione. Sappiamo che l'Africa è stata fortemente colonizzata ma c'è molto che non so delle campagne che vennero fatte in Zimbabwe ad esempio, il protagonista soffre proprio delle informazioni che gli mancano, per poter comprendere la propria identità. Soprattutto quando vede un lato del proprio popolo che non conosceva. È una sorta di allegoria del nostro rapporto oggi con la tecnologia e di come ci allontani in un certo senso dai nostri cari, riportandoci a ciò che ci lega e ci rende orgogliosi della nostra cultura".
L'animazione salverà la sala?
Proprio come abbiamo fatto al Cartoons on the Bay, vista la portata e l'importanza di questo progetto per il continente africano e per i suoi artisti, non potevamo non chiedere ai registi se secondo loro l'animazione possa essere un linguaggio e uno strumento per salvare la crisi della sala cinematografica. Sono tutti concordi ed ottimisti a riguardo, a partire da Mokgata: "Per quanto mi riguarda mi sta aiutando con una mia personale crisi cinematografica (ride). Un tipo di film che vorrei fare in futuro ma che in live action potrebbe crearmi dei problemi a far comprendere la storia e il messaggio, mentre con l'animazione e il team che ho costruito forse sarà davvero realizzabile. Un problem solver. Per la crisi del cinema africano tendiamo a non uscire dalla nostra comfort zone coi generi, ad esempio l'horror, nonostante la realtà che viviamo ogni giorno lo sia spesso e volentieri".
Tocca poi a Nyenyewa: "Per me l'animazione è cambiata nella percezione comune da quando era associata solamente a Braccio di Ferro, quindi qualcosa di molto semplice solo per bambini, ad un prodotto molto più profondo con tematiche anche importanti e delicate. Quindi penso ci sia un'area che l'animazione potrebbe dominare nel cinema contemporaneo rispetto al live action. Che non conosco così a fondo a livello produttivo se non come spettatore ma ad esempio non si è limitati dall'aspetto dell'attore o dell'attrice con cui si lavora ma in animazione si può sbizzarrirsi sulla caratterizzazione dei personaggi esattamente come li avevamo pensati. L'unico limite è ciò che hai nella tua mente, e ovviamente nel budget (ride), però siamo molto aiutati dallo sviluppo delle nuove tecnologie. È un linguaggio potenzialmente senza limiti".
Infine la parola va a Mogajane: "Ne sono fermamente convinto, penso che siamo all'inizio di qualcosa di eccezionale, film come quelli dello Spider-Verse hanno creato un prodotto che finalmente sta facendo rendere conto le persone che si tratta di un linguaggio per raccontare e non solamente di un genere per bambini. In Giappone e Francia l'avevano già capito, e spero che stiamo entrando in un'epoca in cui finalmente questo pensiero sia stato sdoganato e tutti questi diversi tipi di animazione rinvigoriscano il cinema e riportino in massa le persone a riunirsi per vederli, grazie all'immaginazione e alla creatività che l'animazione trasuda come linguaggio".