Sarà che sogna un futuro come membro del Congresso degli Stati Uniti, ma a Kelsey Grammer, stella del firmamento televisivo americano e protagonista indiscusso di Boss, in onda da domani sera su Rai Tre, il ruolo del politico riesce benissimo. L'interpretazione di Tom Kane, influente sindaco di Chicago, condannato da una malattia neurologica mortale, gli è valso un Golden Globe, oltre al plauso unanime della critica per l'ennesima perla di una carriera attoriale con tante luci e qualche ombra. E' un ruolo potente quello di Kane, un uomo che di fronte alla prospettiva di perdere il potere ingaggia una personale battaglia contro i rivali per non uscire di scena, mentendo all'intera comunità cittadina e ai colleghi politici sulla sua salute e arrivando ad acquistare da uno spacciatore le medicine che dovrebbero ritardare i sintomi della sindrome che lo affligge. Abbiamo incontrato il leggendario Frasier, il nome del protagonista della sitcom di culto che gli ha dato la celebrità, a margine della Mastercass che si è tenuta oggi al RomaFictionFestival. Con lui qualche parola sull'attuale momento della sua vita artistica e anche di politica. Repubblicano convinto, non fa mistero di sostenere Mitt Romney nella corsa alla Casa Bianca.
Signor Grammer, la prima cosa che salta all'occhio è che il personaggio di Kane abbia una forte connotazione shakespeariana. E' stata una decisa volontà da parte vostra in fase di scrittura?
Assolutamente sì. Volevamo che Boss fosse una sorta di rilettura moderna del Re Lear, aspetto questo che sarà più evidente nella seconda stagione. Lo schema tradizionale della tragedia di Shakespeare è chiaro. Abbiamo un personaggio che sappiamo da subito non poter essere redento. Prendiamo il Riccardo III, ad esempio. Quando la vera natura umana del personaggio esce fuori, cioè nel momento della sua prigionia, è troppo tardi per cambiare, non c'è più tempo, tutto è finito. Solo in Macbeth seguiamo il protagonista, originariamente positivo, e la sua lenta e inesorabile discesa agli inferi, venti anni di regno che marciscono sotto i colpi dei suoi atti nefasti. Il mio Kane si inserisce nella prima scia. All'inizio è uno stronzo, un essere umano sgradevole e spregevole come quando decide di tradire sua figlia, un atto assolutamente incomprensibile. Man mano che la storia procede iniziano ad emergere i pezzi mancanti e si comincia a vedere il suo cuore e ci poniamo la domanda, quando diventerà un essere umano? Troppo tardi.
Certamente. Così come il Kane di Welles, anche il mio personaggio si sente un dominatore, uno che è nato per essere un governante. Altro tratto in comune fra loro è l'ironia. Detto questo però i paralleli si fermano qui, anche se Tom avrà il suo momento 'Rosebud'.
Cosa si aspetta dal primo confronto tra i due candidati alla Casa Bianca, Barack Obama e Mitt Romney?
Io sono un conservatore e credo nei valori tradizionali della cultura americana. Per questo mi aspetto che Romney confuti tutto quello che Obama sostiene di aver raggiunto e ottenuto fino ad ora, mettere in dubbio quelli che sono i suoi risultati e soprattutto mostrare una certa competenza che possa essere di ispirazione per gli elettori.
Questo è il pensiero di Kelsey. E cosa direbbe Tom Kane?
Tom sa che quella di questa sera è semplicemente una battaglia e sa che da un momento all'altro può arrivare il colpo del KO, non importa chi lo sfodera. Il motto di Kane è trova il punto debole del tuo avversario e colpiscilo fino a quando non crolla.
Ci racconta il suo incontro con Gus Van Sant, regista del pilot della serie?
Stavo andando all'aeroporto JFK a prendere i miei bambini e sono stato colto in flagrante da un poliziotto mentre parlavo al cellulare. Stavo parlando proprio con il mio agente che mi stava spiegando che Gus era molto interessato a lavorare per la TV. Gli ho intimato di mandargli subito il copione. Gus mi ha raggiunto a New York, ha visto un mio spettacolo a Broadway e poi ci siamo incontrati. E' stato entusiasta dello script. Ci siamo subito intesi sui tempi di lavorazione, perché non amo i ritmi massacrati, in genere la sera voglio tornare a casa dalla mia famiglia e lui si è detto concorde, perché non ama fare molte riprese. Peccato che da allora non l'abbia più visto, perché mi piacerebbe molto fare assieme qualche altra cosa.
Ho un'idea molto semplice a riguardo. Il produttore deve rompere le scatole il meno possibile, non incasinare o interferire. Deve limitarsi a scegliere le persone migliori nei vari campi, guidarli verso la sua visione del prodotto, aiutandoli nel contempo e concretizzare la loro. In questo caso è stato fondamentale il lavoro che abbiamo fatto con Farhad Safinia. E' stato bellissimo dare forma al materiale che avevamo. Prima che iniziasse a scrivere abbiamo discusso tantissimo di come avrebbe dovuto essere la storia. Kane all'inizio non doveva essere per forza un politico, ma anche un magnate del settore immobiliare o il leader di una multinazionale. Farhad ha giustamente deciso di far scendere la storia nel 'locale', ambientandola a Chicago e non a Washington, perché più piccolo era il palcoscenico, maggiore sarebbe stata la risonanza del personaggio. Per tornare alla domanda iniziale, dico no, non è affatto complicato. Se non recito cerco di guidare il team al meglio, offrendo una soluzione in caso di problemi, tenendo conto che non mi piace mai essere il personaggio dominante, semmai amo essere quello che nutre. Cerco qualcuno che racconti una storia e gli do l'occasione giusta.
E quale deve essere per lei la qualità imprescindibile per una storia?
Deve suonarmi vera, ci devo credere. Attenzione, non parlo di naturalismo, ma di verità.
Secondo lei c'è una maggiore attenzione verso quei personaggi che in un certo modo dichiarano guerra alla retorica, come il James McAvoy di The Newsroom?
No, non lo credo. Nel caso specifico The Newsroom rappresenta l'idea di Aaron Sorkin. Qui noi non abbiamo un'idea precostituita. Non vogliamo salvare l'America.
Quindi lei non crede nel cosiddetto cinema militante...
Non credo che possa essere un film a fare la differenza. La gente non ama sentirsi dire quello che deve fare. Ci sono persone che amano comportarsi come pecore e altre che invece seguono le proprie convinzioni.
Frasier è un personaggio indelebile e capisco perfettamente che per il pubblico sia stato difficile separarmi dal ruolo, perché in un certo senso sentivano di avere una proprietà su di esso. Non è come al cinema, insomma. Sapevo quindi che sarebbe stata una sfida tornare alla comicità e all'inizio avevo creduto molto nel progetto di Back to you. Il protagonista era una bambinone che ad un certo punto scopriva di avere un figlio e questa cosa lo disturbava. Come faceva Frasier a non amare suo figlio? Questo è quello che si sono chiesti tutti. Nonostante fosse un buon prodotto, ho lentamente lasciato che gli eventi facessero il loro corso, con l'ulteriore difficoltà legata allo sciopero degli sceneggiatori del 2007. E' stato lì che ho capito che era arrivato il momento di far vedere qualcosa di diverso e sono arrivato al personaggio di Kane, un uomo di grande intelligenza che capisce e legge gli altri. Come Frasier è un giocatore di scacchi, ma a differenza di Frasier lui vince sempre.
A proposito di Frasier, perché il pubblico lo amava così tanto?
Perché per lui tutto era vita o morte, viveva in crisi perenne e quindi potenzialmente era in grado di creare un numero impressionante di casini.
E non ha mai avuto paura di interpretare un cattivo di razza come Kane?
No, mai. Se Kane non fosse stato così tanto cattivo, non ci sarebbe stata alcuna redenzione, questa era la grande sfida.
Cosa ha sempre ritenuto fondamentale per il lavoro di attore?
L'esperienza di vita. E' stata questa la mia fonte di ispirazione. Quando mio nonno morì, avevo solo dodici anni e mi sentii abbandonato. Poi lessi per la prima volta il Giulio Cesare di Shakespeare e compresi come non avrei dovuto lasciare che le tragedie compromettessero il sentiero della mia vita.
Quando è salito sul palcoscenico la prima volta?
A 17 anni. Prima avevo fatto il surfista e mi ero dato parecchio da fare con le ragazze, ma quando ho iniziato a recitare resi conto che quella cosa mi piaceva parecchio. Andai a New York a studiare nella prestigiosa Juilliard School. E' cominciata così.
Non ci girerò intorno, avevo bisogno di soldi perché era nata da poco la mia prima figlia. In America vedete non è un delitto voler guadagnare ed essere creativi allo stesso tempo, così ho iniziato a guardarmi intorno e dopo sei mesi di ricerca ero nel cast di Cin Cin.
I prodotti seriali americani hanno una grande qualità, sia dal punto di vista tecnico che da quello della scrittura. Perché?
Perché gli scrittori sono liberi. Mentre i film sono obbligai ad incassare e quindi c'è una minore attenzione alla storia, in favore di effetti speciali sempre più invadenti. E poi con il fiorire delle TV via cavo si sono moltiplicati i modi di raccontare e questo ha dato più opportunità agli attori. Tuttavia si guarda ancora con sospetto alla televisione, c'è ancora un pregiudizio molto forte.
Ci è rimasto male per l'esclusione dagli Emmy?
Sono sorpreso, ma sono cose che succedono. Penso sinceramente di aver fatto il lavoro migliore di tutta la mia carriera e in questo senso dico he si è trattato di una svista terribile. Non c'è dubbio, era la mia l'interpretazione migliore.
Qual è il ruolo che le manca?
Vorrei fare Sean Connery (attimo di pausa). Sì, vorrei proprio interpretare lui.