Per iniziare la nostra recensione di Just Charlie, esordio nel lungometraggio di Rebekah Fortune, confessiamo di essere rimasti piacevolmente colpiti dalla capacità della regista di unire in maniera magistrale toni, stile e contenuti a prima vista agli opposti. Narrando una storia dai temi delicati, il film sembra coeso e compatto, anche se non tutto fila per il verso giusto.
Una trama di stampo classico
All'apparenza Charlie è un quattordicenne modello. Futura promessa del calcio (il film si apre con la possibilità di essere comprato dal Manchester City), brillante negli studi, vive un ottimo rapporto in famiglia con i genitori e la sorella. Tuttavia nasconde un segreto: nonostante una forte amicizia con Tommy, si trova a disagio con i suoi coetanei maschi e di nascosto si veste da donna. Quello che sembra un capriccio si dimostra essere una presa di coscienza: Charlie è una donna intrappolata in un corpo che non le appartiene. La decisione di affrontare questa consapevolezza porterà stravolgimenti nella vita e nei rapporti di Charlie e la sua famiglia.
Trattando un argomento così delicato, unendo un classico racconto di formazione con una storia d'identità sessuale, Just Charlie - Diventa chi sei si propone di raccontare persone autentiche che lottano per uscire dalla propria "zona di comfort" e arrivare all'accettazione di sé. Non si può dire che l'intenzione non venga riconosciuta, anche se spesso il racconto sembra procedere nella maniera più prevedibile e scontata possibile sia per quanto riguarda la narrazione in senso stretto sia per quanto riguarda la caratterizzazione dei personaggi. In particolare il modo in cui sono definiti i genitori di Charlie, con la madre più comprensiva e amorevole e il padre più severo e poco incline ad accettare il cambiamento del figlio, ricordano un po' troppo dinamiche già note e riscontrabili nei film più disparati, da Billy Elliot a The Tree of Life.
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Lo sguardo della regista
Ciò che, però, rende Just Charlie un film riuscito che spesso mette in secondo piano il senso di "già visto" è lo sguardo di Rebekah Fortune. Al suo primo lungometraggio cinematografico, la regista riesce a dosare perfettamente lo sguardo più autoriale e intellettuale (spesso dimostrato più a livello visivo tramite inquadrature ricercate) e la capacità di parlare a un pubblico variegato senza, però, scadere in facili sentimentalismi. Anzi, fa piacere notare come spesso i toni del film si facciano poco accomodanti non risparmiando momenti più forti con scene di violenza fisica o dialoghi che colpiscono per la loro schiettezza. Il film non presenta virtuosismi particolari in ambito tecnico, ma non deve essere considerata una mancanza. È proprio nell'assenza di filtri - senza mai risultare crudo e duro come in certe opere di Larry Clark - che il film trova quell'ottima capacità di non risultare mai noioso e mantenere l'attenzione dello spettatore sempre attiva.
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Il doppio eroe
Quando si racconta la storia di una crescita, di un cambiamento, di una maturazione, è facile identificare il protagonista come l'eroe della storia. Nel caso di Just Charlie, abbracciando una collettività (la famiglia, i compagni di scuola, il paese dove vive), l'eroe si fa duplice. Una dualità che si ripercuote per tutto il film: la madre e il padre, la squadra di calcio maschile e femminile, il corpo di un ragazzo e l'identità di sentirsi una ragazza, i vestiti maschili (che causano disagio) e i vestiti femminili. E anche, in definitiva, crearsi un'identità come specchio dell'estraneo ed essere sé stessi. Prendendo coscienza di sé, Charlie vince la paura del suo sentirsi diverso e accoglie la sua vera identità. Nel momento in cui questo accade il suo umore si fa più solare e torna ad essere felice. Così, quello che il film ci chiede raccontando non solo la storia del protagonista, ma anche quella di chi vive intorno a lui, è di accettare ciò che definiamo "diverso" per diventare eroi noi stessi.
Conclusioni
Concludiamo la nostra recensione di Just Charlie constatandone i maggiori pregi: nel raccontare la storia del personaggio principale, il film riesce a essere sia un feel good movie che un dramma, alterna momenti più distesi a sferzate più cupe e, soprattutto, tiene in considerazione le aspettative del grande pubblico senza eccedere nei facili sentimentalismi. Un risultato non facile per una storia che, nonostante le ottime intenzioni, presenta dinamiche e situazioni che sembrano già raccontate in più occasioni.
Perché ci piace
- L’interpretazione degli attori, specialmente quella del protagonista.
- Il messaggio del film che si dimostra attuale.
- Lo sguardo della regista che unisce temi e toni diversi con invidiabile equilibrio.
Cosa non va
- La trama e la caratterizzazione dei personaggi sono un po’ troppo archetipici.